Due
punti:
l'opinione
di Progetto Comunista
Quindicinale dell'Associazione marxista rivoluzionaria Progetto Comunista - sinistra del Prc
n. 3 - luglio 2005 |
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I COMUNISTI RIVOLUZIONARI E LE "PRIMARIE"
di Marco Ferrando
Il centrosinistra sembra aver ricomposto, almeno temporaneamente, un punto di equilibrio interno. Di fronte al rischio concreto di una dissoluzione della coalizione e soprattutto di una compromissione della sua leadership, Romano Prodi ha fatto un decisivo passo indietro: accettando la decisione della maggioranza della Margherita di presentare una propria lista alle prossime elezioni politiche, e rinunciando all’ipotesi di una propria lista (che i Ds, in quel quadro, non avrebbero potuto sostenere). In cambio di questo passo indietro Romano Prodi ha chiesto e ottenuto da tutte le forze dell’Unione una propria investitura “popolare” attraverso il ricorso alle primarie. Con un fine dichiarato: non solo rilanciare la propria immagine, alquanto appannata dal lungo trascinarsi delle dispute interne all’Ulivo, ma soprattutto ottenere una pubblica assicurazione preventiva di stabilità alla guida del governo per tutta la prossima legislatura.
UN PATTO PRESIDENZIALISTA
Il
punto è di grande rilevanza, persino dal punto di vista politico
formale. Prima ancora di aver concordato anche solo una forma di
programma comune, tutti i partiti dell’Unione, Prc incluso, hanno
pubblicamente siglato il 20 giugno un accordo politico di legislatura,
largamente pubblicizzato da tutta la stampa borghese, secondo il quale
nessun partito della coalizione potrà votare contro i provvedimenti del
futuro governo, limitandosi in caso estremo all’astensione; ed ogni
partito della coalizione sosterrà Prodi come premier sino alla fine del
mandato, escludendo ogni ricambio di leadership (come nella
passata legislatura), pena lo scioglimento del Parlamento e il ricorso
alle elezioni anticipate. Incredibile.
Dopo aver formalmente criticato il presidenzialismo di Berlusconi e le
riforme istituzionali del governo delle destre, il centrosinistra ha
unilateralmente programmato, in base a un patto politico interno, una
riforma “presidenzialista” ancor più radicale di quella
berlusconiana. A Prodi si assegnano infatti i pieni poteri sulla sua
maggioranza parlamentare: l’unica libertà di cui questa dispone in
caso di divergenza col premier, è quella del proprio
autoscioglimento. Ciò significa assegnare al premier un potere
di condizionamento pesantissimo sui partiti della maggioranza e sullo
stesso parlamento. Del
resto le fatidiche “primarie” americane non sono forse per
definizione, un’espressione classica del presidenzialismo? Un
presidente eletto direttamente dal popolo, fosse pure dal popolo del
proprio partito o coalizione, perché dovrebbe poi sottomettersi
ai negoziati con la sua maggioranza? Il
fatto che questa riforma “presidenzialista” rappresenti ad oggi
formalmente il primo e unico punto d’accordo programmatico
nell’Unione aggiunge alla gravità del fatto, un aspetto semplicemente
grottesco.
LA VALENZA DI CLASSE DELLE PRIMARIE
Ma
al di là del sottofondo reazionario di questo accordo sotto lo stesso
profilo democratico, quel che va compreso e denunciato è il suo
contenuto politico sostanziale. Questo patto presidenzialista di
legislatura non è solo una forma di assicurazione personale a Romano
Prodi contro il ripetersi di un nuovo '98. Non è solo il prodotto
dell’impuntatura personalistica di un candidato premier un po’
bizzoso e inseguito dalle ombre del passato. No. Sotto la coltre di
questa rappresentazione giornalistica
si cela una precisa sostanza di classe. Prodi chiede pieni poteri
al centrosinistra per poter gestire, in un quadro di stabilità, una
nuova stagione di misure antipopolari imposte dalla gravità della crisi
economica recessiva e dal dissesto del bilancio pubblico, dopo gli anni
della finanza creativa di Berlusconi-Tremonti. “Dovremo assumere
decisioni difficili”: è quanto lo stesso Prodi va ripetendo da mesi,
con tono monocorde, di fronte a tutte le composite platee del proprio
blocco di riferimento (dalle assemblee degli industriali, agli incontri
con
UNA COMPETIZIONE FINTA
Ma
come? Non si deve festeggiare l’imminente accesso del Prc alle
primarie, con la candidatura di Bertinotti? Non è questo il momento in
cui la “democrazia partecipativa” può finalmente piegare a sinistra
l’orientamento del centrosinistra? Queste leggende metropolitane
propagandate a piene mani nel corpo (disorientato) del partito con
l’intento di rianimarlo, hanno come unica funzione quella di
nascondere la verità delle cose. Certo: il Prc e il suo Segretario
otterranno la passerella della visibilità pubblica e mediatica.
Sfrutteranno la rendita di posizione di unica reale candidatura di
sinistra nella competizione. Potranno anche riscuotere un discreto
successo di voto, a fronte di un Prodi piuttosto decotto e in assenza di
candidature competitive. E non si può escludere che una candidatura
Bertinotti nelle primarie possa catalizzare una domanda di sinistra e di
svolta di settori operai e popolari nauseati dagli attuali gruppi
dirigenti del centro liberale e gravati da un malessere sociale
crescente. E allora? Il punto sta esattamente qui: quale prospettiva
politica Bertinotti offre a chi lo vota in alternativa a Prodi, se non
l’obbedienza a Prodi per l’intera prossima legislatura? Questa è la
contraddizione decisiva che smonta l’inganno delle primarie. La
cosiddetta competizione Prodi-Bertinotti è solo la maschera di un
accordo già raggiunto, per di più blindato da un patto di fedeltà
futura. Peraltro la competizione è talmente finta che, a precisa
domanda, lo stesso Bertinotti ha chiarito che non presenterà alle
primarie un “programma alternativo” a quello di Prodi, ma solo un
programma “distinto”. Comprensibile: come si potrebbe motivare un
accordo di governo per la legislatura, presentando un programma
alternativo, per di più presumibilmente perdente nelle urne? Peraltro
se un programma “distinto” non è alternativo, per la stessa
ammissione di Bertinotti, ciò vuol dire che già oggi
Bertinotti assicura che non si contrapporrà al programma di
risanamento finanziario e al rilancio della concertazione, limitandosi a
differenziazioni di accenti, di valori, di bandiere. Se questa
dichiarata rinuncia alla contrapposizione avviene al piede di partenza
della competizione è possibile immaginare il livello di subalterneità
del Prc nel quadro operante di un governo dell’Unione. L’inganno
verso il partito e il popolo di sinistra risponde tuttavia, a suo modo,
ad una razionalità profonda: alla razionalità della divisione dei
ruoli nella coalizione di centrosinistra. Una coalizione di
centrosinistra, quali che siano le sue infinite forme e variabili
interne, prevede inevitabilmente una collaborazione di governo tra un
centro - rappresentanza dei poteri forti e degli interessi
dominanti- e una sinistra, quale rappresentanza a diverso livello, dei
lavoratori e delle masse subalterne. Il centro, che detiene normalmente
la guida del governo e il controllo dei ministeri fondamentali, chiede
alla sinistra di coprirgli il fianco verso i lavoratori. E la sinistra
porta in dote al centro il proprio controllo (maggiore o minore) dei
lavoratori e dei movimenti. L’Unione di governo tra Ulivo e Prc
risponde esattamente a questa logica tradizionale. Le primarie sono
semplicemente la rappresentazione scenica di questo scambio, a vantaggio
degli attori protagonisti: Prodi le usa per consolidare oggi il proprio
potere sulla coalizione, e domani la propria forza d’urto contro i
lavoratori; Bertinotti le usa per scalare la vetta della sinistra
italiana quale forza di collaborazione col centro liberale e di futura
concertazione politica dei suoi programmi.
IL NOSTRO INTERVENTO CONTRO LE PRIMARIE
Abbiamo
la necessità di spiegare l’inganno del centrosinistra e la sua
“razionalità”. Nel partito, ma anche, nelle forme possibili, a
livello di massa, nei movimenti, nelle organizzazioni sindacali.
Denunciare e documentare il programma che Romano Prodi, le grandi
imprese, le grandi banche, stanno preparando contro i lavoratori
italiani: questo dev’essere il terreno centrale del nostro affondo
oggi. Oltre a ripetere che i comunisti non possono collaborare con la
borghesia o partecipare a un governo borghese -ciò che è la base di
principio di tutto il nostro lavoro e il terreno di demarcazione da ogni
altra tendenza- abbiamo oggi la necessità e opportunità di argomentare
la nostra politica di indipendenza di classe in uno scenario nuovo e in
una più agevole proiezione di massa. Non siamo più al Congresso del
Prc quando contorni e profilo dell’Unione erano ancora relativamente
indeterminati nei contenuti, almeno nella percezione diffusa. Qui siamo
di fronte all’annuncio di un programma antioperaio di sacrifici
dettato dall’emergenza della crisi, e a un patto di legislatura che lo
garantisce attraverso una blindatura presidenzialista di Prodi. Il
nostro punto d’attacco dev’essere: no al nuovo programma dei
sacrifici: “I lavoratori hanno lottato contro Berlusconi per porre
fine ai sacrifici, non per continuare a subirli sotto un altro governo.
I fatti dimostrano, in termini ormai inequivocabili, che l’annunciato
governo Prodi ha il marchio indelebile di Montezemolo e di Confindustria.
Solo rompendo con Prodi e i poteri che lo sostengono è possibile
costruire, nelle lotte, un’altra prospettiva. Un’intera stagione di
lotte contro Berlusconi non può essere tradita”. Qui
va posizionato il nostro attacco a Bertinotti e alle sue scelte. Non si
tratta di avvitarci in una semplice denuncia, pur necessaria,
dell’istituto delle primarie (come fanno l'Ernesto ed Erre). Né si
tratta di farci stringere nell’angolo e sulla difensiva dal gruppo
dirigente del Prc attorno al “cosa fate l’8 e 9 ottobre” in
rapporto alla disciplina di partito, indugiando
noi stessi su questo tema secondario. Si tratta invece di concentrare il
nostro attacco alla sostanza di classe delle primarie, nella forma
più utile per il nostro progetto. “Mentre Prodi annuncia un
programma di sacrifici e chiede l’investitura delle primarie per
poterlo realizzare, Bertinotti usa le primarie per rafforzare la
collaborazione con Prodi senza contrapporsi al suo programma, ed anzi
assicurandogli una “lealtà” di legislatura!” In questo quadro
possiamo persino utilizzare lo stesso scenario preparatorio della finta
competizione Prodi-Bertinotti, per una campagna d’attacco contro
Romano Prodi. Bertinotti usa la “competizione” con Prodi per
allearsi ad esso? Noi possiamo “usare” gli spazi indiretti che
quella finzione ci offre per rivendicare a livello di massa la rottura
con Prodi: quindi di fatto contro la politica di Bertinotti. Senza
prendere parte ai comitati per Bertinotti, possiamo intervenire in piena
autonomia in ogni assemblea popolare preparatoria realmente
significativa per dire la nostra: denunciando i programmi di Prodi,
spiegando la loro inconciliabilità con le ragioni dei lavoratori,
avanzando una nostra proposta di classe alternativa e l’esigenza di un
polo di classe indipendente. In conclusione: abbiamo interesse non ad
una sfida passiva alla “disciplina del partito”, ma ad una politica
attiva contro la collaborazione di classe.
UN’APERTA CRITICA A L'ERNESTO ED ERRE
PER
“Nessun
patto blindato con Prodi attorno a un programma di sacrifici può essere
imposto ai movimenti, magari attraverso il trucco delle primarie o
attraverso il filtro di Assemblee selezionate, dominate dagli apparati
liberali, dai funzionari di partito, dai parlamentari e assessori di
centrosinistra. Siano i lavoratori e il popolo della sinistra a
decidere, in autonomia, del proprio programma e della propria
prospettiva. Chiediamo a tutte le forze della sinistra e a tutte le
organizzazioni e rappresentanze di movimento di promuovere dal basso una
libera verifica democratica attraverso Assemblee di lavoratori e di
movimento, da tenersi in ogni realtà, aperte a tutti i protagonisti
della stagione di lotte di questi anni: sino ad una grande Assemblea
nazionale, democratica e di massa, di libero confronto e decisione.
Saranno i delegati liberamente eletti ai diversi livelli, dalle istanze
di base, a decidere. Entro quel vero confronto di massa i comunisti
proporranno il rifiuto del programma di Prodi, la rottura col
centro liberale, lo sviluppo di un’alternativa anticapitalista, a
partire dal rilancio di una mobilitazione unitaria e indipendente”.
LA
SEMINA PER
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n. 1 - giugno 2005 | ||
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