Due
punti:
l'opinione
di Progetto Comunista
Quindicinale dell'Associazione marxista rivoluzionaria Progetto Comunista - sinistra del Prc
n. 1 - giugno 2005 |
LA
CRISI DELL
’ULIVO
E IL NOSTRO INTERVENTO
di
Marco Ferrando Gli
sviluppi della situazione politica richiedono alcuni aggiornamenti e
approfondimenti, utili anche per il nostro intervento politico. Cosa
succede nel centrosinistra? Qual’è il senso della crisi interna al
campo liberale tra Prodi, Rutelli e Ds? Questa crisi cambia lo scenario
e le previsioni circa le linee di tendenza della situazione generale? A
questi interrogativi, peraltro molto diffusi, è necessario dare una
risposta orientativa, pur con gli elementi di cautela indotti dal
carattere ancora fluido del contesto in esame. I
LIBERALI SI CONTENDONO LE SPOGLIE DI BERLUSCONI E IL PROGRAMMA DI
MONTEZEMOLO Tre
sono le osservazioni di fondo che si possono fare. a)
La crisi interna al campo liberale dell’Ulivo sta tutta dentro la
contraddizione politica che da tempo abbiamo analizzato: tra
un’opzione neocentrista espressa dalla maggioranza della Margherita
che ripropone uno schema di centrosinistra basato sull’autonomia
politica del centro liberale quale partito distinto dai Ds e
un’opzione di Prodi e della maggioranza Ds che punta a una
unificazione organica in un unico soggetto delle diverse forze del
liberalismo italiano (“il partito unico riformista”), salvo
contendersi in esso l’egemonia. b)
Questa contraddizione, dopo le elezioni regionali, è alimentata dal
rafforzamento politico complessivo del centro liberale e dalla crisi
profonda del berlusconismo e di Forza Italia. Infatti proprio la crisi
del blocco berlusconiano spinge la componente maggioritaria della
Margherita a puntare sulla capitalizzazione diretta dei processi di
transumanza e trasformismo che soprattutto nel Sud si sono andati
moltiplicando nel campo del centrodestra; e a giocare la carta
dell’interlocuzione autonoma con i vertici di Confindustria e buona
parte dei poteri forti (vedi il recente convegno nazionale della
Margherita con la presenza di Montezemolo). Il rifiuto della lista
unitaria della Fed per le prossime elezioni politiche è il riflesso di
questa operazione. c)
L’avvicinarsi di un’alternanza di governo concorre a sua volta ad
approfondire la contraddizione. Prodi mira a un proprio controllo
diretto sulla coalizione di governo: sia perché vuole evitare l’esito
del '98, sia perché la gestione del programma antioperaio che la
borghesia gli commissiona, all’insegna del risanamento finanziario e
dei sacrifici, richiede di per sé un premier forte, dotato di una
diretta base d’appoggio politica e parlamentare, il più possibile
sottratto ai negoziati interni alla coalizione e alle loro incognite. La
lista unitaria della Fed corrispondeva a tale esigenza. Tramontata
questa ipotesi a seguito delle decisioni della Margherita, Prodi punta
su una propria lista ulivista che gli dia forza e autorità come futuro
premier. Da qui il soccorso richiesto ai Ds sotto la minaccia di un
proprio ritiro. I
Ds versano in una situazione difficilissima. La lista unitaria alle
politiche era la via prescelta per puntare in prospettiva a quel
soggetto unico liberale che concludesse il processo iniziato alla
Bolognina dando a Fassino e D’Alema la patente definitiva d’accesso
a una possibile futura leadership di governo. Il rifiuto della
Margherita e il successivo sostegno coatto della maggioranza Ds a Romano
Prodi, cambiano profondamente il quadro. I Ds possono prestare il
proprio partito a Prodi senza riproporre paradossalmente proprio quella
subalternità che la strada del “partito unico” liberale voleva
definitivamente superare? Lo stesso apparato Ds si divide su questo
interrogativo al di là dei vecchi confini congressuali. Da un lato
l’ala sinistra del partito (Mussi e Salvi) chiede il ritorno
nell’alveo socialdemocratico. Dall’altra settori dalemiani (Angius e
Bersani), la stessa corrente liberale di Morando e il quotidiano Il
Riformista criticano la lista ulivista con Prodi dal versante
esattamente opposto, chiedendo un’autonomia dei Ds sul terreno della
concorrenza con Come
si vede la situazione è in pieno movimento. La stessa candidatura di
Prodi per il 2006, seppur difficilmente sostituibile, non è più
“garantita”. Molto dipende dalle scelte dei Ds. Ad oggi Fassino e
D’Alema prendono tempo, puntando ad una ricomposizione dei cocci tra
Prodi e Margherita, magari attraverso un punto di equilibrio che passi
attraverso il rilancio della Federazione (Prodi prende atto della
decisione della Margherita, Questa
crisi del centro Ulivista sta compromettendo lo scenario di una
probabile vittoria del centrosinistra alle prossime elezioni politiche?
Di per sé no. Allo stato attuale delle cose la coalizione di
centrosinistra non è in discussione. La maggioranza della Margherita
non ha i margini di tempo da qui al 2006 per dare corso ad una propria
ricollocazione centrista fuori dall’Ulivo. E la autonomizzazione della
Margherita all’interno del centrosinistra può persino incidere
elettoralmente, in particolare nel Sud, sulla crisi di Forza Italia.
Peraltro gli stessi sondaggi sembrano minimizzare ad oggi gli effetti
della crisi dell’Ulivo sugli orientamenti complessivi
dell’elettorato. Al tempo stesso è indubbio che la lotta selvaggia
all’interno del campo liberale sulla futura guida e sui futuri
equilibri del prossimo governo antioperaio attutisce la dirompenza della
crisi del Polo e offre a Berlusconi una boccata d’ossigeno davvero
insperata. DILIBERTO
E BERTINOTTI A SOCCORSO DI PRODI In
questo quadro la sinistra italiana è e appare subalterna non solo al
centro liberale ma paradossalmente alle stesse dinamiche della sua
crisi. Tutte le forze della sinistra dell’Unione accorrono a difesa di
Prodi in funzione del proprio spazio. I Verdi aprono addirittura
all’ipotesi di un proprio ingresso nella lista Prodi nel nome del
primato della “società civile”. Il Pdci, spiazzato dai Verdi con
cui mirava ad un blocco elettorale capace di superare la soglia di
sbarramento del 4%, sostiene a spada tratta la candidatura di Prodi
contro Rutelli. Il Prc fa del sostegno a Prodi un elemento di
caratterizzazione pubblica, al punto di ignorare la sconfitta di Prodi
per opera del referendum francese, di tacere sugli apprezzamenti di
Prodi a Montezemolo, di sostenere un contratto degli statali apprezzato
da Prodi come propedeutico ai “necessari sacrifici” della prossima
legislatura. In cambio Bertinotti chiede a Prodi di fare l’arbitro
dell’Unione e non del centro ulivista, riaprendo un canale di dialogo
col Prc e il tradizionale gioco di sponda (il “prodinotti”). Ciò
che fa premio su tutto presso gli stati maggiori della sinistra è
sempre e comunque la propria valorizzazione di ceto, quale “sinistra
del centrosinistra”. Naturalmente cercando, gli uni contro gli altri,
di ottenere le attenzioni privilegiate del premier. Da cortigiani verso
il principe. IL
NOSTRO INTERVENTO DI FRONTE ALLA CRISI DEL CENTROSINISTRA Il
nostro atteggiamento, di fronte alle novità del quadro politico, dev’essere
naturalmente opposto. Non si tratta di ignorare le convulsioni interne
al liberalismo e il disorientamento che esse producono in vasti settori
di popolo di sinistra, preoccupati di una possibile rimonta di
Berlusconi. Si tratta al contrario di dialogare con quelle
preoccupazioni popolari ai fini dello sviluppo di una proposta di classe
indipendente. Possiamo
e dobbiamo dire che lo scontro Prodi-Rutelli è l’ulteriore riprova
dell’inaffidabilità del liberalismo borghese come forza dirigente
dell’opposizione alle destre: “di
fronte al collasso del berlusconismo, i dirigenti del centro liberale
non sanno far altro che disputarsi l’uno contro l’altro la
rappresentanza centrale dei poteri forti e l’egemonia nel futuro
governo antioperaio; col risultato oltretutto di regalare spazio e tempo
a Berlusconi. Non si tratta semplicemente di personalismi o
irresponsabilità. Si tratta del riflesso della loro base sociale
borghese. Il loro obiettivo strategico è sempre più chiaro: non è
battere Berlusconi (se non di riflesso), ma è realizzare il programma
di Montezemolo. Allora tanto più oggi bisogna rompere una volta per
tutte col liberalismo, muovendo da una posizione esattamente speculare:
l’obiettivo strategico per cui battersi non è la cacciata di
Berlusconi (se non di riflesso) ma l’affermazione di un’alternativa
di classe e quindi un ribaltamento dei rapporti
di forza che la consenta”. Da qui la sfida a tutte le forze del
movimento operaio e dei movimenti perché si liberino
dell’abbraccio mortale di Prodi, Rutelli, Fassino e recuperino una
piena libertà di azione e una completa autonomia di progetto. Va
da sé che questa nostra posizione va sostenuta sia nei movimenti e
nelle organizzazioni di massa, sia nella battaglia interna al partito.
Utilizzando ogni fatto politico significativo, capace di semplificarla e
rilanciarla. La
vittoria del No in Francia sulla Costituzione europea è, da questo
punto di vista, esemplare. Col sostegno determinante dell’80% dei
lavoratori salariati il No francese misura la sconfitta profonda di
tutto l’europeismo capitalista, a partire dalle sue vestali (Prodi).
Dunque va detto: “come
si può festeggiare il No in Francia e poi candidarsi a governare con
Prodi, tanto più nel momento in cui Prodi loda il “bellissimo
programma” di Montezemolo?”
In particolare va respinta l’argomentazione truffaldina oggi
rilanciata da Bertinotti attorno alla “partecipazione democratica”
come leva dello spostamento a sinistra dell’Unione. L’esempio
brasiliano, tanto citato, ci dice l’opposto. La cosidetta
partecipazione democratica nella elaborazione del futuro programma di
governo con i liberali non è solo una pia illusione, ma è lo strumento
mistificatorio con cui subordinare e integrare settori di massa dentro
la coalizione col liberalismo, a copertura del suo
programma. Peraltro l’esempio di Vendola che vede oggi la nuova giunta
pugliese impegnata nel taglio dei posti letto ospedalieri dimostra una
volta di più che persino nel contesto più propagandato e anomalo, ciò
che detta legge non è la cosidetta partecipazione democratica nella
costruzione del programma –in realtà sempre finta– ma il quadro
delle compatibilità borghesi, la natura del centro liberale alleato, la
rete materiale dei poteri forti e
i loro reali interessi. Per
questo il terreno da porre dev’essere sempre quello
dell’indipendenza del movimento operaio e dei movimenti e, in questo
quadro, dello sviluppo della loro autorganizzazione democratica di massa
quale base di un potere di classe alternativo. Sotto questo profilo
possiamo citare positivamente il concetto espresso da Cremaschi contro
la partecipazione della Cgil alla fabbrica del programma di Prodi, nel
nome dell’indipendenza della Cgil dal futuro governo di
centrosinistra. Salvo chiedere allo stesso Cremaschi di essere coerente
con quell’impegno. |