Mozione di Progetto comunista-sinistra del PRC presentata al Comitato Politico Nazionale del Prc del 22 gennaio 2006
Giorno dopo giorno, tutti gli accadimenti politici dimostrano che l’unione delle sinistre con il centro liberale della maggioranza DS e della Margherita non solo nega alla radice qualsiasi prospettiva di alternativa vera ma subordina la classe operaia e i movimenti agli interessi del grande capitale, a tutto vantaggio della borghesia italiana e della stessa demagogia reazionaria di Berlusconi e delle destre. Da qui la necessità e l’urgenza della rottura col Centro dell’Unione da parte del PRC e di tutte le espressioni del movimento operaio e dei movimenti di lotta.
Maggioranza DS e Margherita nella guerra per bande tra capitalisti
I casi Antoveneta, Bnl, Unipol sono la cartina di tornasole del capitalismo:
non dell’immoralità di un pugno di parvenues immobiliaristi e finanziari,
ma delle leggi della giungla della società borghese e della crisi
capitalista dove una minoranza privilegiata di parassiti sociali si contende
senza risparmio di colpi le ricchezze del paese e i gangli vitali dell’economia,
contro le ragioni dei lavoratori e della maggioranza della società;
ed anzi prendendo in ostaggio i loro posti di lavoro, i loro conto correnti,
i loro piccoli risparmi. Il tutto in una autentica guerra per bande, nella
quale ogni cordata capitalistica, l’una contro l’altra armata, usa a proprio
vantaggio settori dell’apparato dello stato, della magistratura, dei servizi
segreti, della guardia di finanza, della stampa, come scudo e leva dei
propri specifici interessi. E in cui ogni settore dello stato e dei partiti
borghesi, siano essi di centro destra o centro sinistra, si appoggia a
questa o a quella cordata capitalista nel nome dei propri interessi economici
e politici. La vera “associazione a delinquere” non risiede semplicemente
nel “quartierino dei furbetti” ma nelle classi dirigenti del paese, nella
grande industria e nelle banche.
Gli scandali finanziari sono parallelamente, una volta di più,
la cartina di tornasole del centro liberale dell’Unione e dei suoi legami
capitalistici: in una lotta interna per la conquista dell’egemonia nel
capitalismo italiano e nella costruzione della sua rappresentanza politica
centrale. D’Alema, Fassino e la maggioranza DS hanno fatto leva su un settore
capitalistico emergente – dai Colannino ai Consorte – per accrescere le
proprie quotazioni politiche nella concorrenza con la Margherita circa
la rappresentanza delle classi dominanti: ma con ciò stesso hanno
messo piede nel verminaio delle contraddizioni borghesi, esponendosi ai
rimbrotti del salotto buono del capitalismo italiano. La Margherita, a
sua volta, ha fatto leva su questa contraddizione dei DS per candidarsi
a guida del futuro partito democratico come portavoce diretta di Confindustria
e di un settore delle grandi banche. In ogni caso ciò che emerge
ormai in modo inequivocabile dall’intera vicenda è che le forze
del Centro dell’Unione sono parte organica del capitalismo italiano e del
suo blocco dominante.
Il programma dell’Unione: un programma di Confindustria
Il programma dell’Unione riflette inevitabilmente questa realtà.
Come era prevedibile la bozza di programma presentata, sia nella sua versione
iniziale sia in quella conclusiva, smentisce nel modo più netto
tutte le illusioni seminate per anni circa la possibilità di “spostare
a sinistra” i portavoce liberali del capitalismo italiano.
Nel campo della politica estera il programma dell’Unione ha un marcato
orientamento atlantista; rivendica la cooperazione tra UE e Stati Uniti,
nel quadro della difesa europea, la continuità delle missioni militari
nei Balcani e in Afghanistan e una soluzione truffaldina sull’Iraq. Laddove
“la proposta immediata di un calendario del ritiro in consultazione con
le autorità irachene” significa rifiuto del ritiro immediato delle
truppe.
Nel campo della politica economico sociale il programma si muove lungo
una linea di rilancio della competitività del capitalismo italiano.
Quindi non abroga la legge 30, difende esplicitamente il Pacchetto Treu,
prospetta un limitato allargamento degli ammortizzatori sociali come possibile
paracadute di un più ampia “flessibilità in uscita” (modello
danese); infine rivendica come asse centrale il risanamento dei conti pubblici
quindi una nuova stretta finanziaria, sia come rispetto dei parametri europei
in ordine al ridimensionamento del debito pubblico, sia come forma di finanziamento
di un nuovo travaso di risorse pubbliche a favore del profitto (crediti
all’esportazione, ristrutturazione, ricerca, nuove tecnologie); l’ulteriore
aperture a liberalizzazioni e privatizzazioni assieme all’aumento dell’età
pensionabile rientrano in questo quadro di nuova austerità e sacrifici.
Nell’insieme è la concretizzazione di quelle “riforme impopolari”
che già Romano Prodi aveva annunciato nel momento dell’investitura
plebiscitaria delle primarie, su dettato della grande industria e delle
grandi banche.
Rompere col Centro dell’Unione, recuperare l’autonomia dei lavoratori
Gli scandali bancari, le compromissioni dei DS, lo stesso programma
dell’Unione dimostrano una volta di più il carattere insostenibile
della attuale collocazione del PRC e della sua prospettiva di governo.
Più in generale dimostrano, una volta di più, che nessuna
delle ragioni sociali e politiche dei movimenti di lotta di questi anni
– della classe operaia, del movimento antiglobalizzazione, del movimento
per il ritiro delle truppe – può trovare il più pallido riflesso
nel programma del liberalismo borghese. Ed anzi tutto il programma del
liberalismo ha come obbiettivo l’attacco a quelle ragioni, la rimozione
del conflitto sociale, il recupero della concertazione come strumento di
imposizione “pacifica” dei sacrifici. Di più: la stessa prospettiva
di un governo con Prodi, Rutelli, Fassino e con il blocco degli interessi
materiali che li sostiene costituisce già oggi un fattore di demotivazione
di settori di avanguardia e di dispersione delle lotte. Mentre la compromissione
dei liberali con le speculazioni bancarie offre a Berlusconi uno strumento
di classica demagogia reazionaria, a difesa – per quanto disperata – del
proprio governo. Da ogni punto di vista dunque, sia di prospettiva che
immediato, la subordinazione delle sinistre ai liberali è ad esclusivo
vantaggio degli avversari dei lavoratori e dei movimenti.
Lo stesso contratto dei metalmeccanici prefigura, nei suoi contenuti,
il ritorno organico alla concertazione che la prospettiva dell’Unione trascina
con sé. La delusione sul recupero salariale con l’allungamento di
sei mesi dei tempi di vigenza del contratto; le gravi concessioni al padronato
in fatto di flessibilità ( allungamento dei tempi di apprendistato,
estensione dell’orario plurisettimanale in rapporto alla negoziazione delle
quote di precariato) rappresentano un atto di rientro della direzione FIOM
nelle politiche di concertazione in subordine alla linea Epifani, entro
il quadro delle compatibilità del centrosinistra e del padronato.
Per questo è tanto più negativo il consenso fornito ai contenuti
del contratto da parte del gruppo dirigente dell’Area 28 aprile nella CGIL
e del gruppo dirigente del PRC.
Il PRC deve uscire immediatamente dal vicolo cieco in cui lo ha cacciato
l’attuale corso politico della sua maggioranza dirigente. Non può
farlo attraverso assemblee regionali dell’Unione che avranno l’unico scopo
di fornire una legittimazione democratica al programma degli industriali
e dei banchieri. Ma non può farlo neppure – come ancora pretendono
i gruppi dirigenti di altre mozioni “critiche” (“l’Ernesto” ed “Erre”)
– attraverso un “negoziato più incalzante” con il centrosinistra
o una maggiore pressione di movimento sul centro sinistra. No. I fatti
dimostrano che il Centro dell’Unione è impermeabile alle ragioni
dei lavoratori per il semplice fatto che rappresenta le ragioni dei loro
avversari. E che solo la rottura con il centro dell’Unione da parte dei
lavoratori, delle loro organizzazioni, delle loro rappresentanze politiche
e sociali può aprire il varco ad una prospettiva nuova, ad un programma
di alternativa anticapitalista.
Cacciare Berlusconi dalla parte dei lavoratori, in direzione di un’alternativa anticapitalistica
Il PRC deve avanzare una proposta di immediato rilancio ed unificazione
delle lotte e delle mobilitazioni attorno a una piattaforma di vertenza
generale. In direzione di una prova di forza contro il governo Berlusconi
e le classi dominanti del paese. Collegando questa prospettiva di lotta
vera ad un programma più generale di rivendicazioni radicali, uguale
e contrario alla radicalità delle classi dominanti contro i lavoratori.
Non ha alcun senso chiedere a padroni e ai banchieri autoriforme morali
e codici etici. Ha senso porre sul tappeto la necessità della nazionalizzazione
delle banche e delle industrie in crisi, senza alcun indennizzo e sotto
il controllo dei lavoratori: perché solo questa misura può
recidere alla radice le basi materiali del capitale finanziario e della
sua immoralità di classe; restituire ai lavoratori e al popolo una
leva decisiva di riorganizzazione della società e dell’economia,
in base ai bisogni e non ai profitti, unire nella lotta contro i capitalisti
e i banchieri il più vasto blocco sociale e alternativo di lavoratori,
consumatori, piccoli risparmiatori, tutti interessati a farla finita con
i soprusi quotidiani di padroni e di strozzini vecchi e nuovi.
Parallelamente, questo programma di mobilitazione richiama l’attualità
di una alternativa di sistema. Il precipitare degli scandali bancari, la
crisi sociale e morale delle classi dirigenti del paese e dei loro partiti
pone la questione dell’alternativa di classe in forma più chiara
e diretta. Occorre sviluppare una vera campagna sul fallimento delle classi
dominanti del paese e quindi sull’esigenza della loro cacciata come condizione
necessaria per una autentica rifondazione sociale dell’Italia. Solo un
governo dei lavoratori e delle lavoratrici basato sulla loro forza, può
dare una soluzione vera e progressiva alla crisi italiana. Costruire fra
i lavoratori, nei movimenti di lotta, nella giovane generazione, la consapevolezza
che l’alternativa socialista è l’unica vera alternativa; ricondurre
a questa prospettiva tutte le rivendicazioni immediate di lotta; presentare
la necessità di una alternativa di sistema non in termini ideologici
o astratti ma in rapporto agli scandali quotidiani della società
borghese e all’esperienza concreta delle masse, con un linguaggio comunicativo
e popolare, è il compito generale dei comunisti. E della loro opposizione
ad ogni governo della borghesia italiana: un'opposizione irrinunciabile
per il PRC e, in ogni caso, per Progetto Comunista, in coerenza con la
sua mozione congressuale.
Marco Ferrando, Direzione del PRC
Franco Grisolia, Direzione del PRC
Ivana Aglietti,
Tiziano Bagarolo
Vito Bisceglie
Letizia Mancusi
Michele Terra
Marco Veruggio, (CNG)