La nuova collocazione del PRC al governo dell’Emilia-Romagna non dovrà
essere vissuta dal partito stesso come una catena al collo per la nostra
iniziativa politica, mai il PRC si farà fermare o rallentare nella
propria attività di rifondazione di una nuova teoria e pratica comunista.
La presenza al Governo regionale non può essere alibi per scelte
dannose per il partito e/o negative per la vita delle classi subalterne
, si tratta, quindi, di evitare il ripetersi dell’esperienza fatta appoggiando
il governo Prodi quando la nostra collocazione in maggioranza ci portò
a votare provvedimenti antipopolari.
Senza ribadire schematicamente analisi e proposte oggetto di dibattito
nel recente passato, bisogna prendere atto che la collocazione del
PRC al governo della regione non è comunque frutto di un mutato
rapporto di forza tra le classi a favore del proletariato, anzi tutt’altro,
le politiche che realisticamente saranno portate avanti in Emilia-Romagna
dalla giunta rischiano di avere, nella stragrande maggioranza dei casi,
un netto segno neoliberista, come dimostrato ad es. dall’assunzione di
42 lavoratori interinali presso la Regione.
E’ facile, allora, prevedere che presto questa giunta ci sottoporrà
provvedimenti antipopolari che non potranno essere avvallati dal PRC, si
tratta, quindi, di prepare il partito alla rottura con il centrosinistra
ed il passaggio all’opposizione della giunta Errani.
TESI ALTERNATIVA AL PUNTO 3
Il Prc oggi deve fare i conti con il fallimento storico dell’esperienza
governativa del centrosinistra, anche per quel che riguarda il periodo
di presenza in maggioranza del partito. Il centrosinistra lungi da aver
rappresentato un’alternativa alla destra si è fatto carico delle
necessità del sistema capitalista seguendo senza soste politiche
neoliberiste ed antipopolari, garantendo una pace sociale pressoché
assoluta, apprezzata perfino da Agnelli. D’altro lato le illusioni, alimentate
anche dal prc durante la presenza in maggioranza, rimaste inattese hanno
accentuato il processo di passivizzazione di buona parte dell’elettorato,
portando ad un’astensione massiccia, soprattutto di settori che prima si
riconoscevano a sinistra che ha in gran parte colpito il prc.
La destra si presenta, quindi, all’appuntamento delle elezioni politiche
del 2001 forte più che mai, non solo per il consolidamento di quella
che può essere definita una destra plurale (che va dalla lega a
Fi con l’appoggio di formazioni neofasciste come il Ms-Ft e Fn) ma grazie
anche ad una sempre più cospicua dote di voti popolari provenienti
da quei settori sociali che il centrosinistra non ha voluto tutelare.
Calibrare la risposta dei comunisti sulla base della costruzione di una sinistra alternativa dai contorni quanto mai indefiniti, risulta insufficiente e fuorviante. Come ha dovuto ammettere lo stesso segretario Bertinotti in una delle ultime DN le risposte ottenute sulla proposta di consulta della sinistra alternativa sono state deludenti. Non a caso la maggior parte degli interlocutori lungi dal riconoscere l’autonomia del prc ne richiede in varie forme e tempi lo scioglimento in favore di un qualcos’altro non necessariamente comunista ma genericamente anticapitalista (vedi ad es. Pintor e Magri sulla Rivista del Manifesto; Rudi Ghedini su “Zero in condotta”; Collettivo IWW, cioè l’area delle tute bianche e di Ya Basta, su “DeriveApprodi”, dove fra l’altro oltre a proporre la chiusura dei nostri circoli si richiedono esplicitamente posti in lista per le prossime elezioni).
Oggi il Partito della Rifondazione Comunista deve porsi l’obiettivo strategico di costruire un polo alternativo di classe che si ponga l’obiettivo di contendere con ai DS l’egemonia sulla classe, il contrario, quindi, di una scelta minoritaria e settaria ma una sfida per una direzione alternativa e anticapitalista del movimento operaio. Assume fondamentale importanza per i comunisti dotarsi di un programma anticapitalistico complessivo che possa unire le rivendicazioni più minimali alla prospettiva di un sistema economico e sociale alternativo a quello capitalista.
Elaborare e applicare una linea politica coerentemente anticapitalista
in Emilia-Romagna significa innanzitutto prendere atto delle trasformazioni
profonde avvenute nella nostra regione negli ultimi decenni. Il cosiddetto
modello emiliano che aveva, pur con profonde contraddizioni, distinto in
positivo questa regione non esiste ormai più. Il ramificato ed efficiente
welfare state emiliano-romagnolo ormai è solo un pallido ricordo:
le varie amministrazioni di centrosinistra hanno, nei fatti, privatizzato,
tagliato, posto sul mercato tutto quello che poteva essere utilizzato per
aprire la strada anche in E.R. a politiche di chiaro stampo liberista.
Non è possibile dimenticare le privatizzazioni delle farmacie comunali
di Bologna, l’aumento generalizzato del costo dei servizi a domanda individuale,
la chiusura di molti poliambulatori, i tagli ai posti letto negli ospedali,
mentre per pure manovre speculative si costruiscono cattedrali nel deserto
(o meglio nelle paludi) come il nuovo ospedale di Valle Oppio a Comacchio,
vero e proprio esempio di sperpero di denaro pubblico.
Il sistema stesso delle cooperative è diventato parte integrante
delle nuove politiche liberiste: basta ricordare le condizioni di chi lavora
nelle coop sociali o negli ipermercati, costretti ad orari massacranti
con salari ridicoli.
Anche in ER si pone l’urgenza quindi di lanciare una piattaforma per una “vertenza generale” di mobilitazione che unifichi le varie rivendicazioni economiche e sociali delle classe subalterne: dalla richiesta di forti aumenti salariali a quella del salario sociale e del salario minimo garantito, dalla riduzione d’orario all’abolizione del pacchetto treu, ecc..
Negli ultimi mesi abbiamo assistito a nuovi segnali positivi di disponibilità
alla mobilitazione da diversi settori sociali soprattutto giovanili: manifestazione
antifascista del 13 maggio a Bologna, mobilitazioni anti-ocse, ecc.
Si tratta di cogliere la positività di queste novità,
senza esaltarne acriticamente contenuti e forme, costruendo un rapporto
con questi movimenti basato essenzialmente sulla ricerca di comuni terreni
di azione politica, piuttosto che la ricerca di una fittizia comunione
fra ceti politici.
Allo stesso tempo è necessario che i militanti del PRC prestino
maggiore attenzione ad ogni conflitto, anche parziale e limitato, che si
crei sul territorio, essere quindi in prima fila nei vari comitati, associazioni,
ecc. che si battono per la difesa dei livelli di vita delle classi subalterne.
In questo campo l’esperienze non mancano: gli ultimi anni hanno visto in
Emilia-Romagna un fiorire di varie lotte, dalla sanità alla casa,
dall’ambiente ai trasporti, nelle quali purtroppo si è avuto un
ruolo limitato del PRC e dei suoi militanti; bisogna far sì che
ogni microconflitto veda la presenza dei comunisti del PRC, in un rapporto
sempre di correttezza e mai di strumentalizzazione.