Documento alternativo per la
Conferenza Regionale d’Organizzazione




. INTRODUZIONE

1.1 Da diversi mesi stiamo assistendo alla deriva del governo del centro-sinistra: prima le elezioni europee poi quelle regionali stanno a testimoniare come ormai operai, disoccupati e tutte le classi più disagiate non ripongono più alcuna speranza nel fatto che questo governo possa migliorare il loro tenore di vita. Da questo punto di vista l’uscita del nostro partito dal governo nazionale poteva darci grossi vantaggi in termini di consensi, anche elettorali, ma soprattutto di radicamento nelle scuole e fabbriche. Questo però a patto di proporre una chiara politica di classe per difendere e riconquistare quanto è stato perso negli ultimi anni. Un programma per mostrarci come un punto di riferimento allo scontento accumulato nella società doveva e deve partire dall'opposizione a qualsiasi tipo di lavoro precario, dalla lotta per il ripristino della scala mobile, la difesa della scuola pubblica, alla rivendicazione di ricostruire lo stato sociale e a garantire le pensioni d’anzianità a livelli accettabili. Tutto questo non è compatibile con le misure che sta portando avanti il centro-sinistra, sia a livello nazionale che nelle regioni. Questo è stato ben capito da molti militanti (di entrambe le mozioni congressuali) che si sono opposti alle alleanze per le elezioni regionali.
1.2 Nonostante tutto, gli accordi sono stati fatti e siamo entrati in diverse giunte regionali tra le quali quella dell'Emilia-Romagna. Ci è stato spiegato che era un passo necessario per non ripetere il risultato di Bologna con la vittoria della destra, che con la nostra azione avremmo spostato la giunta regionale a sinistra (argomenti confermati anche dall'intervento del compagno Masella al Consiglio Regionale del 22 giugno) e che comunque una giunta regionale è diversa dalla gestione del governo nazionale. In pratica il centro-sinistra a livello regionale porterebbe avanti una politica diversa da quella che nazionale. Questo viene però smentito dai fatti: in Emilia Romagna per quanto riguarda il mondo del lavoro più dell'80% delle nuove assunzioni sono precarie; nella sanità le cose non sono andate di certo meglio, sono stati chiusi ospedali, tagliati posti letto ed è peggiorata la qualità del servizio. Inoltre si è volutamente eliminata da ogni discussione tra il centro-sinistra e il Prc la parte riguardante i finanziamenti pubblici alle scuole private, sulla quale era ben evidente non si potesse trovare alcuna convergenza, sostituendola con l'accordo di arrivare a tenere presto il referendum regionale contro la legge Rivola (referendum che, per inciso, eliminerebbe solo parzialmente i finanziamenti alle scuole private previsti dalla legge Rivola).
 
 
 
 
 
 

1.3 Ora lo stesso corpo dirigente del partito è costretto ad ammettere, purtroppo senza dare spiegazioni ai militanti o a fare la minima analisi, che le cose non stanno andando come ci si sarebbe aspettato.
Al Comitato Politico Regionale (CPR) del 25 maggio, nella relazione introduttiva (cfr. resoconti della riunione) il segretario regionale Masella dice: "Avrete visto che noi pubblicamente abbiamo dato un giudizio complessivamente positivo sulla giunta. Abbiamo fatto bene, secondo me, ad esprimere all'esterno, sulla stampa, questa posizione. Tuttavia, al nostro interno la valutazione deve essere un po' più complessa ed articolata e anche un po' diversa. Al nostro interno mi dichiaro non pienamente soddisfatto della formazione complessiva della giunta. [..]". Il motivo di questa insoddisfazione era che, nonostante il Prc sia stato il secondo partito della coalizione in termini di voti, ha avuto un solo assessorato e sicuramente nemmeno tra quelli considerati inizialmente strategici. Il tutto a vantaggio di Democratici e Popolari che, pur usciti sconfitti dalle elezioni, hanno ottenuto posti chiave nella nuova giunta.
Successivamente, a luglio, abbiamo avuto un’ulteriore conferma di come la giunta di centro-sinistra, lungi dall'essere vicina ai problemi sociali e aperta al dialogo, dimostri di continuare a seguire la strada tracciata dai governi Prodi e D'Alema, contro le classi disagiate, gli operai e le loro famiglie. Come era facile prevedere c'è stata una forte ostruzione da parte del nuovo governo regionale, di cui facciamo parte, per provocare il rinvio del referendum contro la legge Rivola, posticipato all'autunno 2001. La manovra rischia di svuotare così il referendum d’ogni significato, facendo perdere credibilità al partito.
1.4 Questi esempi stanno semplicemente a dimostrare come il centro-sinistra fosse unicamente interessato ai nostri voti senza essere disposto a concedere niente in cambio. Una cosa che deve essere chiara è che se da un lato il Prc non può spostare a sinistra l'asse della giunta regionale, dall’altro, essendo associato – per la sua partecipazione alla giunta – alla politica che il centro-sinistra sta facendo e che continuerà a fare, perderà credibilità e consensi tra i lavoratori, proprio com’è successo in occasione dell'appoggio al governo Prodi. L'unico modo per aumentare il nostro radicamento nella società è di uscire da questa giunta e, per uscirne rafforzati, non dobbiamo assolutamente cadere nella trappola di offrire al governo regionale cedimenti sulle nostre posizioni "per non far cadere la giunta" o prendere posizioni pubbliche in difesa della stessa. Se vogliamo che i militanti del nostro stesso partito e tutti quei settori che ci guardano con simpatia, anche vicini ai DS, capiscano le ragioni della nostra uscita dobbiamo continuamente incalzare Errani e il suo partito per mostrare le reali intenzioni del centro-sinistra, invece di permetter loro di usarci, tenendoci dentro la giunta per impedire che emerga un’alternativa a sinistra. Dobbiamo esporre i loro attacchi nei confronti dei lavoratori ed incunearci così nelle contraddizioni dei Ds per rompere l'alleanza col centro borghese.
1.5 Dunque, quali obiettivi deve darsi questa Conferenza d’Organizzazione?
Come ha spiegato anche il compagno Masella al CPR del 25 maggio: "La Conferenza di Organizzazione non è, e non può essere, una finta. Abbiamo davvero bisogno, con una certa urgenza, soprattutto dopo le diversità manifestatesi sull'accordo con il centro-sinistra, di una discussione aperta e serena, di merito, sulla nuova fase che si è aperta con l'ingresso del Prc nella maggioranza e nel governo regionale".
Possiamo dirci d'accordo con le parole del segretario, dobbiamo però anche aggiungere che una discussione del genere, per essere veramente democratica, avrebbe dovuto avere tempi e modi tali da coinvolgere tutti i compagni nella discussione. Invece il percorso risulta coinvolgere a malapena i componenti dei Comitati Politici Federali (tenendo conto dell’assenza di dibattito nel periodo estivo e delle feste provinciali di Liberazione).
1.6 Il partito, nel prossimo periodo, avrà di fronte a sé diverse occasioni per estendere la propria influenza, a patto di seguire una politica di classe chiara e indipendente. La manifestazione anti-OCSE che si è svolta a Bologna ha dimostrato che le forze per lottare ci sono, i giovani sentono sempre più forte la necessità di trovare un’alternativa a questo sistema. La destra nonostante il suo programma demagogico non può e non vuole proporre un sistema alternativo a quello dominato dalle grandi multinazionali mentre i Centri Sociali, proprio a Bologna, hanno dimostrato dei limiti nel fornire, al di là delle manifestazioni, risposte convincenti alla crisi del capitalismo e nell’organizzare un movimento anticapitalista di massa.
Naturalmente il partito deve portare avanti iniziative di lotta comuni con i Centri Sociali, ma nello stesso tempo deve avere un programma e iniziative proprie, in modo da diventare punto di riferimento nelle lotte del futuro.
L'obiettivo di questo documento è di fornire un punto di partenza alla discussione che si sta avviando nel partito.
 

2. L'ACCORDO, LE REGIONALI E IL "MODELLO EMILIANO"

2.1 Il ripetersi dell'alleanza con il centro-sinistra e l'ingresso del partito nel governo della regione, dimostrano quali conseguenze può portare la mancanza di un serio bilancio della politica perseguita dal partito negli ultimi 4 anni. Chi non impara dagli errori commessi è destinato a ripeterli!
Fin dal '96 la borghesia ha sfruttato le illusioni che i lavoratori avevano verso il centro-sinistra (una coalizione in cui ponevano speranze poiché vedevano parteciparvi i propri partiti) per portare avanti attacchi alla classe operaia senza provocarne la reazione. Certo è stata costretta ad accettare i "tempi lunghi" della concertazione ma, nelle parole di Agnelli, "solo un governo di centro-sinistra poteva fare una politica così di destra [senza provocare i lavoratori]".
Il centro-sinistra in questi anni attraverso una politica completamente filo-padronale non ha fatto altro che demolire sistematicamente la fiducia che i lavoratori avevano riposto in esso, generando un clima di passività e disillusione: lo scenario migliore agli occhi della borghesia per scaricare una coalizione che vede venir meno la sua ragion d'essere e dare il via, nel prossimo periodo, ad un governo di destra che le permetta di ottenere "tutto e subito".
2.2 L'errore fondamentale del nostro partito è stato alimentare le illusioni dei lavoratori abbracciando senza remore la politica che il governo imponeva e diventando, di fatto, in certi frangenti il "paravento di sinistra", il garante dell'Ulivo agli occhi dei lavoratori. Abbiamo fatto credere che questo governo potesse, con la nostra presenza, essere davvero dalla parte delle masse. Invece l’assoggettamento alla politica concertativa e neoliberista del governo ha screditato il partito e ha generato sconforto, disillusione e crisi nei nostri ranghi, provocando un’emorragia di militanti, che tuttora stenta ad essere tamponata e che si è manifestata anche nella scissione di Cossutta e soci.
2.3 Per capire l'approccio e la tattica necessaria nei confronti dei DS dobbiamo partire da una premessa chiave: le masse lavoratrici a cui ci rivolgiamo presentano a tutt'oggi un’eterogeneità nel proprio livello di coscienza e comprensione che non possiamo trascurare né sottovalutare, ma che allo stesso tempo non dobbiamo considerare statico ed eterno bensì in continua evoluzione.
Oggi, molto schematicamente, possiamo dire che una parte, purtroppo ancora piccola, di lavoratori guarda al Prc, una parte più consistente (specie in Emilia Romagna) guarda ai DS e una parte, in deciso aumento, se ne sta fuori guardando ad entrambi con diffidenza.
Da ciò risulta evidente che non possiamo bollare semplicisticamente i DS come partito neoliberista borghese, basando la nostra analisi solo sulla politica che gli attuali dirigenti di quel partito stanno portando avanti, né a maggior ragione possiamo minimizzare la distanza che ci separa dalla politica che la direzione dei DS sta portando avanti, a livello nazionale ed in regione.
E' innegabile che ancor oggi i DS contino fra le proprie fila (se non tra gli iscritti, quantomeno tra simpatizzanti e votanti) una consistente maggioranza tra i lavoratori organizzati e noi da questa realtà dobbiamo partire e con essa dobbiamo interagire per conquistare alle idee del comunismo sia chi si rivolge a quel partito sia chi è sfiduciato nei confronti della sinistra, incluso il Prc.
2.4 La Segreteria propone di far fronte alle relazioni con i DS attraverso la costruzione della sinistra plurale. A nostro parere questa formula è piuttosto astratta e farraginosa; una formula che rischia di creare solo confusione (e quindi scetticismo) tra le masse. Dire infatti che si deve indicare "nella rottura del centro-sinistra la prospettiva politica di una sinistra plurale liberata dalle cappe delle politiche moderate e centriste" e poi, neanche una riga più in basso, affermare che "[la sinistra plurale] con il centro moderato si misura e si relaziona da posizioni distinte" (dunque non volendo rompere definitivamente con il centro borghese), risulta essere alquanto contraddittorio. Questo tipo di proposta non verrà percepita dalle masse come qualcosa di differente, se non in sottili sfumature, dal solito, sperimentato e fallimentare centro-sinistra e dunque non potrà portarci ad acquistare influenza e credibilità nei loro confronti.
Dov’è finita l’analisi che si faceva un anno fa della sconfitta del centro-sinistra alle elezioni comunali a Bologna? Quando dicevamo che non era stata la destra a vincere attraendo elettorato di sinistra (il Polo ha mantenuto i voti delle elezioni comunali precedenti), ma la sinistra che si era alienata con le politiche della giunta Vitali l’appoggio di una parte della propria base sociale, mentre Rifondazione non era stata capace di intercettare l’enorme astensione di protesta dell’elettorato diessino. Qualcuno può seriamente affermare che il centro-sinistra, o i dirigenti DS, abbiano cambiato rotta? Qualche cambiamento cosmetico giustificherebbe non solo un appoggio elettorale, ma l’entrata nella giunta regionale?
No, la vita del nostro partito – soprattutto in Emilia Romagna – è sempre stata condizionata dall’assenza di una politica coerente nei confronti del principale partito della sinistra moderata, i DS, verso cui abbiamo alternato posizioni settarie, come la minaccia di non votare il candidato sindaco dei DS, la Bartolini, al secondo turno (decisione che, se attuata, sarebbe stata un gravissimo errore), a posizioni conciliatorie, che spesso – come appare evidente oggi con la vicenda del referendum sulla legge Rivola - hanno comportato l’arretramento politico del nostro partito dalle sue posizioni.
In questo momento, a livello regionale, sviluppare un intervento che si proponga di intervenire nelle contraddizioni dei DS significa potenziare il nostro intervento sindacale, proporre assemblee comuni con la base e i dirigenti dei DS per tracciare assieme a loro un bilancio (che per parte nostra non può che essere molto negativo) del centro-sinistra e della sua politica.
Collegata a questa linea d’azione si possono senz'altro lanciare campagne comuni su temi come le morti sul lavoro (denunciando le responsabilità e le negligenze padronali oltre che rivendicando la formazione costante di tutti i lavoratori sui temi della sicurezza e proponendo finanziamenti per rafforzare all'ennesima potenza gli scarni mezzi e controlli dell'ispettorato del lavoro e dell'INAIL) e contro la flessibilità (proponendo mobilitazioni contro il lavoro interinale e il precariato e per le 35 ore), mentre sulla casa (proponendo la costruzione di case popolari e l'esproprio senza indennizzo degli appartamenti tenuti sfitti dalle finanziarie) e contro la privatizzazione dei servizi pubblici (proponendone la rimunicipalizzazione sotto il controllo dei lavoratori e l'aumento dei finanziamenti per offrire servizi pubblici gratuiti) il nostro partito dovrà muoversi necessariamente da solo, date le posizioni dei vertici DS, ma non dobbiamo sottovalutare l’impatto che possono avere campagne su questo terreno sulla base sociale dei DS.
Campagne che dovranno essere condotte prevalentemente nei centri di lavoro e di studio, piuttosto che su base genericamente territoriale e devono vedere i nostri militanti e i nostri delegati RSU come primi promotori nei posti di lavoro, nelle scuole, ecc., dimostrando così sul campo che il Prc, a differenza degli altri partiti, è in prima linea nell'affrontare questi temi non a parole ma coi fatti!
2.5 Dire, come fa la Segreteria Regionale, che "il nostro scopo nel governo della regione è quello di determinare un cambiamento verso sinistra e i bisogni popolari della politica della regione rispetto agli anni passati" significa, non solo non avere imparato nulla dal nostro recente passato, ma di non voler nemmeno guardare in faccia la realtà al programma, nero su bianco, di perfetta continuità con la precedente giunta, che il centro-sinistra [anche] in Emilia Romagna ha intenzione di portare avanti.
Si potrebbe controbattere (e il documento della Segreteria sembra proprio andare in quella direzione) che grazie a quest’accordo abbiamo guadagnato consensi e che, dopotutto, abbiamo raggiunto un'intesa sulla base di contenuti precisi.
Innanzitutto, affermare che il merito del risultato alle regionali è dell'accordo significa non guardare in faccia alla realtà, perché se davvero così fosse, come si spiegherebbe il disastroso risultato ottenuto al Sud, dove pure l'accordo è stato raggiunto? Rispetto alle regionali del 95, dove pure ci fu l'intesa con il centro-sinistra, il partito ha perso oltre un milione di voti che solo in minima parte sono andati a Cossutta; gli altri si sono riversati nell'astensionismo, che ha tutta l'aria di essere una punizione per la condotta politica del nostro partito. I lavoratori non hanno più fiducia, non credono più alle belle promesse, puntualmente disattese, e soprattutto non credono più al centro-sinistra, con o senza il Prc.
Certo, alle ultime regionali il partito ha avuto una piccola crescita al Nord (e questo indica delle potenzialità), ma usare in maniera strumentale questo risultato, enfatizzandone la portata, significa correre il rischio di prendere una grossa cantonata, non capendo la reale situazione nel paese e la direzione verso cui stanno evolvendo i rapporti di forza.
Una crescita di 90mila voti a livello nazionale vuol dire che il partito ha sostanzialmente tenuto le proprie posizioni e che una piccola parte di lavoratori, disillusi ma coscienti, pur non essendo andati a votare alle europee, vedendo concretizzarsi sempre più il rischio di una vittoria delle destre ha ritenuto proprio dovere tentare di porre un argine a questo processo, tornando a votare i propri partiti: Prc e DS. Altrimenti come si spiegherebbero gli oltre 200mila voti acquistati dai Democratici di Sinistra? Certo non grazie alla loro linea politica!
Questo non significa affatto che "l'accordo porti voti" o che sia la panacea per risolvere i problemi del partito. Ciò che determina il consenso e il radicamento di un partito Comunista sono in primo luogo i contenuti politici e il modo attraverso cui li si porta avanti tra le masse. Lo ripetiamo, e crediamo che su questo siamo tutti d’accordo: i lavoratori sono stanchi di promesse disattese, vogliono fatti!
2.6 Ed è proprio sulla questione dei contenuti che la Segreteria Regionale compie, o meglio ripete, gli errori più madornali sostenendo che: "l'orientamento con cui affrontare questa nuova fase di partecipazione al governo regionale dovrà basarsi sul binomio di unità e autonomia a partire dai contenuti". Cari compagni questo è un film che abbiamo già visto! Che fine ha fatto la nostra autonomia dal governo Prodi quando abbiamo votato il pacchetto Treu, le finanziarie per complessivi 120 mila miliardi di tagli (a scuola, sanità e pensioni) e le privatizzazioni per 50 mila miliardi? Quali contenuti il nostro partito può avere in comune con un centro-sinistra che in relazione allo stato sociale "riconosce i diversi soggetti (privati, cooperative, no-profit...) come attori necessari nel moltiplicare le opportunità e così rispondere a bisogni ed esigenze delle persone che non possono più essere risolte soltanto dal pubblico" [dal Documento programmatico del centro-sinistra in Emilia Romagna, p.9], che tradotto in linguaggio comprensibile significa privatizzare, privatizzare e ancora privatizzare?
Chiediamo: che fine la segreteria pensa possano fare il referendum sulla Rivola e gli altri "contenuti" promessi nell’accordo? Possibile che non ci si ricordi della misera fine delle 35 ore promesse da Prodi?!
2.7 Solo con la lotta il proletariato può conquistare diritti e migliorare la propria condizione. Ne è una prova la storia stessa del movimento operaio internazionale, dove ogni conquista è stata il prodotto di grandi mobilitazioni della classe lavoratrice.
Le istituzioni devono essere, per un partito comunista, principalmente un mezzo (e non un fine) attraverso cui far giungere il nostro messaggio al maggior numero possibile di persone; una cassa di risonanza per propagandare le idee del comunismo. Non si può illudere i lavoratori, e prima ancora i militanti, che le cose si possano davvero cambiare standosene comodamente seduti sulle sedie di un consiglio regionale o di un parlamento. Sono i rapporti di forza nella società, la presa di coscienza delle masse e la loro volontà di prendere in mano le redini del proprio destino che fanno la differenza; non un consigliere in più o in meno!
2.8 Compito dei comunisti non può essere quello di proporre una sorta di società capitalistica "buona", epurata delle contraddizioni che le sono insite; questa è una vera utopia contro cui già Marx ed Engels si scagliarono con veemenza nelle righe del Manifesto del Partito Comunista, oltre un secolo e mezzo fa. Sostenere che sia possibile creare sotto il capitalismo "una società che crei reti di sostegno e di promozione dei diritti inalienabili, dove alla possibilità del rischio si accompagni la certezza sull'approdo e sul futuro", attribuendo al capitalismo dell'Emilia Romagna (il cosiddetto "modello emiliano") doti "asettiche" di peculiarità che non ha (non più delle peculiarità di ogni altra regione), rappresenta il più grave degli errori.
L'Emilia Romagna non può "fare diversamente"; la borghesia emiliana non è più "progressista" delle altre, anzi è stata una delle prime promotrici della flessibilità, del lavoro interinale, delle privatizzazioni e, ultimamente, dei referendum antisociali della Bonino (per non parlare del numero di morti sul lavoro di cui è responsabile). Se in Emilia Romagna, e in altre regioni del Nord, per un certo periodo la classe lavoratrice ha goduto di condizioni migliori che altrove, questo è dovuto, da un lato, alla forza del movimento operaio in queste zone, dall'altro, al fatto che per un certo periodo la borghesia, grazie al cosiddetto miracolo economico del dopoguerra, ha avuto i margini per concedere qualche briciola (naturalmente non per bontà ma per le lotte operaie dell'autunno caldo).
Ora i padroni si stanno riprendendo tutto e con gli interessi. La borghesia non può, e non vuole, più concedere nulla a causa della soffocante pressione della concorrenza sul mercato mondiale. Per questo non vi può essere alcun margine per una politica Keynesiana e interclassista, tantomeno in una singola regione. Il venir meno di quel cuscinetto che è lo stato sociale, costantemente sotto i colpi di ingenti tagli alla spesa pubblica, e l'aumento continuo dello sfruttamento saranno i motori che porteranno ad una nuova esplosione del movimento operaio; in Emilia come nel resto del paese.
2.9 Rimanere in questa giunta significa essere identificati ed associati al resto del centro-sinistra; rappresentando agli occhi delle masse nulla più che un partito dai buoni propositi. Il Prc deve, nel prossimo periodo, preparare il terreno per uscire dalla giunta il prima possibile, sulla base di questioni politiche contingenti inerenti all’attività della giunta (es. futuri tagli, privatizzazioni ecc..) o di questioni di principio imprescindibili (es. rinvio del referendum sulla Rivola, i lager per immigrati ecc.).
Entrare in giunta è stato un errore! Dobbiamo prenderne atto ed agire di conseguenza e nel modo più chiaro possibile agli occhi della classe lavoratrice!
 

3. LA SINISTRA ALTERNATIVA IN EMILIA ROMAGNA

3.1 La costituente di un soggetto della sinistra alternativa, proposta dal compagno Bertinotti, ha un valore centrale anche nel documento proposto dalla Segreteria regionale.
Pensiamo che nell'elaborazione di quest'ultima siano contenuti tutti i limiti della proposta nazionale, ma ad essi se ne aggiungano altri di non secondaria importanza.
3.2 Tutti noi abbiamo ben presente sia le difficoltà che stanno attraversando le organizzazioni di sinistra, non solo in Italia ma in tutta Europa, sia le grandi potenzialità che offrono una serie di mobilitazioni, tra cui quella contro la globalizzazione capitalista. Ma pensiamo che le discriminanti per l'entrata nella costituente delineate da Bertinotti, l'opposizione alla guerra e la critica alle politiche neoliberiste, ribadite nel documento regionale ("...è necessario che si crei un più vasto e forte movimento mondiale antiliberista ed antimperialista che coinvolga tutte le forze che si collocano su un terreno di non omologazione ai dettami della globalizzazione neoliberista", Punto 1.5) non aiutino allo sviluppo del partito e del movimento.
3.3 In una costituente del genere, dai confini così sfumati, ci potrebbero stare un po' tutti, (anche forze reazionarie e nazionaliste non sarebbero contrarie a queste condizioni) e dato il carattere federativo che si vuole dare al progetto, nessuno accetterebbe un rapporto non paritario con il Prc,   accusandolo di prevaricare  le altre componenti con la forza del suo apparato. Anche la segreteria regionale d'altronde sottolinea la necessità di "un rapporto di parità e riconoscimento reciproco con altri" senza fare nessun accenno alla reale rappresentatività di queste altre forze. Si moltiplicherebbe così il rischio di scontri fra le varie anime per l'occupazione di posti di visibilità (leggi poltrone), senza alcuna base politica, portando la costituente a un luogo di riproduzione di ceti politici  (e di burocrazie) con sempre meno contatti con la base.
L'esperienza fallimentare di Izquierda Unida (IU) in Spagna ci dovrebbe insegnare qualcosa in proposito.
Alla metà degli anni ottanta un Partito Comunista spagnolo in grandi difficoltà fondava IU per "riunire le diverse realtà della sinistra". Ci si apriva a vari settori dell'intellighenzia progressista, ma la base fondamentale del partito rimaneva e rimane quella del Pc. Dopo un periodo di crescita elettorale nella fase finale del governo Psoe, l'ascesa al potere della destra ha segnato l'inizio della crisi di IU, pesantemente colpita nelle ultime elezioni. La svolta organizzativa verso IU aveva rappresentato una svolta a destra per il Pce, che così non è stato in grado di presentarsi come alternativa politica agli occhi delle masse quando è scoppiata la crisi del Psoe. La costituzione di IU non ha rafforzato nemmeno l'unità fra le varie "sensibilità", visto che nel 1998 ha subito una scissione, il Partito Democratico de Nueva Izquierda, che è entrato nell'orbita del Psoe.
La domanda che dobbiamo porci è: abbiamo bisogno di un nuovo modello organizzativo per avvicinare tutti quei lavoratori e i giovani che, anche in Emilia Romagna, sono duramente colpiti dalla crisi del capitalismo?  Oppure, invece, dobbiamo discutere ed elaborare un'analisi, una strategia e un programma complessivi da proporre alle forze che ci stanno intorno allo scopo d’eventuali e necessarie alleanze per lotte e obiettivi comuni, che ci permettano di allargare realmente la nostra influenza tra le masse.
3.4 Tutto questo manca nel progetto del segretario nazionale. La segreteria regionale si spinge però più avanti e prova ad abbozzare il modello di società che, qui in Emilia Romagna, dovrebbe proporre la sinistra alternativa.
"La potenzialità della costruzione della sinistra alternativa in Emilia Romagna è proprio nello specifico intreccio fra contestazione della dittatura della globalizzazione e possibile governo locale che sappia sfruttare a vantaggio del tessuto sociale regionale le contraddizioni pure esistenti nella globalizzazione". È necessario "un nesso tra competizione e cooperazione"
La ricerca utopica di un capitalismo "buono", depurato dai guasti del neoliberismo, in una zona franca tra il Po, l'Adriatico e gli Appennini; la creazione cioè di un nuovo “modello emiliano”, è impossibile, come spieghiamo in altre parti di questo scritto. Per questo obiettivo dovrebbero esistere la sinistra alternativa e il Prc?
3.5 Su queste basi finiremo, nei fatti e nonostante la posizione nettamente contraria del compagno Masella, per fornire argomenti a chi propone già oggi lo scioglimento del Prc, sostenendo che non serve l'esistenza di un partito comunista, cui, beninteso, non siamo legati unicamente per una questione di nome o di nostalgia del passato.
Riteniamo necessario difendere l'esistenza di un partito comunista, e concretamente del Prc in Italia, come organizzazione dell'avanguardia dei lavoratori e dei giovani che proponga l'abbattimento del capitalismo e la costruzione di una società senza classi dove la produzione non sia determinata dal profitto ma dalla soddisfazione dei bisogni della popolazione.
Questo è l'obiettivo che il nostro partito si deve dare e deve proporre ai suoi interlocutori, formulando una serie di proposte di transizione per le lotte quotidiane in cui sempre più deve intervenire come protagonista.
Queste sono le basi di partenza, senza le quali le affermazioni sul "ritardo nel lavoro teorico e pratico per la rifondazione comunista. Senza il rilancio della rifondazione il partito rischia la subalternità sia al centro sinistra sia ai movimenti" (Punto 3.5), rischiano purtroppo d’essere frasi di circostanza senza molte conseguenze pratiche.
 

4. IL RUOLO DEL PRC E I SUOI COMPITI

4.1 Compito del partito Comunista è radicarsi nella classe lavoratrice, tra gli studenti e le classi meno abbienti e porre le basi per divenire, una volta che le masse scendano in campo, quel punto di riferimento, quella guida che porti il proletariato alla presa del potere e alla trasformazione della società in senso comunista. Questo naturalmente non significa negare o rifiutare una lotta per le riforme (quando sono davvero progressiste per le masse), ma significa collegare questo tipo di lotta ad un programma di transizione verso il socialismo e il comunismo.
Risulta perciò evidente che questione centrale è chiarire quali sono i campi d’intervento e quale struttura il partito deve assumere per ottenere tale radicamento.
 

I Campi d’Intervento

Radicarsi nel sindacato

4.2 L'orientamento e l'attività sindacale sono una delle piattaforme chiave ai fini del radicamento del partito e delle idee comuniste tra le larghe masse di lavoratori.
Esperienze come le lotte alla Terim e alla New Holland di Modena, la bocciatura del contratto aziendale alla Zanussi di Forlì (e nel resto del gruppo) e la reazione in fabbriche significative come la Weber di Bologna all'attacco padronale dei referendum Bonino dimostrano quale rancore e quale fermento si stiano sviluppando anche nel movimento operaio della nostra regione e come si stia esaurendo la pazienza (e la passività) di fronte al continuo peggioramento delle condizioni di vita e di lavoro che la borghesia vuole imporre. Il fatto poi, che queste lotte si siano sviluppate, almeno in una prima fase, fuori dai sindacati, ci dimostra palesemente quale fallimento rappresenti la linea concertativa e di "pace sociale", e quale "cappa soffocante", quale ruolo di freno abbiano giocato i dirigenti confederali che, per tutta risposta, godono ora di una assai marcata diffidenza da parte di molti lavoratori, non solo tra i più coscienti ed organizzati.
Questa situazione risulta essere estremamente fertile per l'attività e la propaganda comunista; dunque è assolutamente necessario che, anche a livello regionale, il partito discuta ed orienti i propri militanti sindacali, in quanto solo una tattica e una politica corretta possono permetterci di conquistare autorità e influenza verso i lavoratori.
4.3 In linea generale il Prc, anche sul piano regionale, deve orientare i propri militanti verso un lavoro nella CGIL, poiché la CGIL è il sindacato tradizionale di massa in cui, nei periodi di lotta e di radicalizzazione, più forti ed acute si fanno le contraddizioni e dunque più incisiva ed efficace potrà essere l'azione dei comunisti negli scontri futuri. Possiamo vedere esempi sempre più lampanti di queste contraddizioni: alla Zanussi i dirigenti della Fiom-CGIL sono stati costretti a rompere l'unità confederale sul contratto aziendale e ad opporvisi proprio sulla base della forte pressione venuta dai lavoratori stessi; i coordinamenti Rsu (confederali) dei ferrovieri, del tessile e della Telecom hanno assunto posizioni di aperto dissenso verso la politica concertativa portata avanti dai rispettivi dirigenti nella gestione delle recenti contrattazioni aziendali, ecc.
Il partito deve adottare come via fondamentale in questa battaglia la strada dell'autorganizzazione intesa come organizzazione indipendente, a partire dai lavoratori e dai delegati; indipendente nei programmi e nell'azione sindacale, che prenda a proprio unico vincolo il rispetto della volontà democratica espressa dai lavoratori stessi.
Dovere dei comunisti è anche spiegare, agli strati d’attivisti più insofferenti (che spesso sono anche tra i più avanzati) nei confronti dell'attuale politica confederale, che la soluzione del problema non sta nell'uscire dal sindacato per farne uno nuovo. Certo, data la bancarotta politica della direzione confederale, non stupisce che in questi anni si siano formati sindacati esterni a CGIL,CISL e UIL; tuttavia è importante analizzare in maniera critica ed approfondita queste realtà extra-confederali. Infatti l'esperienza degli anni seguenti al '92, che ha segnato un passaggio qualitativo nelle politiche concertative, dimostra come la rottura organizzativa con CGIL-CISL-UIL non abbia aperto la strada ad una ricostruzione "da zero" di un nuovo movimento sindacale classista. Al contrario il percorso delle organizzazioni extra-confederali non ha visto l'ascesa sistematica che molti ipotizzavano. E' importante ribadire che il terreno sindacale è per definizione un terreno dove decisive sono le grandi masse, i milioni di lavoratori. Il dato di questi anni è che queste masse nella loro maggioranza sono rimaste organizzate sotto le sigle confederali. Al tempo stesso il sindacalismo extra-confederale, pur avendo espresso contenuti politico-sindacali in molti casi più avanzati, ha anche messo in mostra pesanti limiti. Più e più volte esso non si è dimostrato assolutamente in grado di impostare una battaglia e dei percorsi di mobilitazione che potessero aprire un varco verso la base delle confederazioni, privilegiando invece un metodo concorrenziale che ha, nei fatti, isolato mobilitazioni che pure mostravano grandi potenzialità. Questi limiti di tipo settario dimostrano come vi sia una diffusa incapacità di riconoscere che la lotta sindacale è il campo di una contesa di massa, dove l'aver organizzato anche migliaia di attivisti d'avanguardia non garantisce affatto la possibilità di influenzare l'insieme della classe.
Questa è la ragione fondamentale per cui il terreno decisivo sul quale ci troveremo a condurre la nostra battaglia nella prossima fase, non sarà lungo una linea che divide il sindacalismo extra-confederale dalle confederazioni, ma lungo una linea che attraversa le confederazioni stesse, e in primo luogo la CGIL.
Per questo motivo il prossimo congresso della CGIL dovrà essere un'occasione da non mancare. Avremo la possibilità di parlare a centinaia di delegati e militanti; dunque dobbiamo porci l'obiettivo di potenziare il nostro legame con quegli iscritti (decisamente in aumento nell'ultimo periodo) che hanno maturato un approccio critico verso l'attuale politica sindacale e, di conseguenza, porre le basi per il loro reclutamento nelle fila del partito.
4.4 Per fare ciò il Prc deve coordinare quel numero non indifferente di delegati che militano nei suoi ranghi e costruire una vera sinistra sindacale organizzata dal basso che punti a conquistarsi sul campo la fiducia, oltre che di quest’avanguardia già critica, dei lavoratori, degli iscritti e delle RSU nel loro complesso.
4.5 Questo è possibile attraverso due campi d'azione interdipendenti tra loro, validi non solo nelle varie fasi congressuali ma nell'attività "quotidiana" del partito nel lavoro sindacale:
a) Un programma generale che sappia fornire una vera alternativa a Cofferati e soci. Un programma, da far circolare nelle fabbriche, in cui si mettano in discussione la politica e i metodi della concertazione contrapponendole la ripresa della lotta di classe; in cui si porti avanti una lotta implacabile all'attuale burocratizzazione del sindacato e in cui si evidenzino i limiti e la scarsa efficacia di una sinistra sindacale come quella attuale (Area dei Comunisti e Alternativa Sindacale) che si trincera in una sterile opposizione di apparato.
b) Il lavoro costante dei nostri militanti sui posti di lavoro, nelle singole lotte di fabbrica e di categoria, proponendo piattaforme e rivendicazioni alternative che rifiutino accordi concertativi al ribasso sulla testa dei lavoratori e che sappiano dare risposte chiare alle necessità immediate dei lavoratori, senza il timore di usare la dovuta audacia! Per esempio: stiamo vedendo diverse grandi fabbriche chiudere; ora, se, come più volte è stato paventato, la New Holland di Modena [o qualsiasi altra fabbrica] dovesse essere chiusa, la nostra parola d'ordine non potrebbe essere che quella della sua nazionalizzazione sotto il controllo operaio!
Il partito deve inoltre impostare un lavoro di radicamento tra i lavoratori precari ed interinali che, specie in Emilia Romagna, sono aumentati negli ultimi anni a ritmi vertiginosi, assumendo un peso specifico sempre più ingente tra le fila del proletariato.
4.6 Ogni mobilitazione deve essere sfruttata per elevare la coscienza di classe (sfruttando ciò che gli operai imparano dalla loro esperienza, si deve render chiaro a tutti l'importanza della lotta come unico strumento, non solo di difesa, ma anche di miglioramento delle condizioni lavorative) e per consolidare la nostra autorità (elemento indiscutibilmente decisivo ai fini del reclutamento al partito).
I comunisti devono perciò distinguersi nelle rivendicazioni, nelle parole d'ordine e nei metodi di lotta, ponendo così le basi per diventare punti di riferimento politici (oltre che sindacali) per le masse.
Con una battuta si potrebbe affermare - senza temere di esagerare - che per il Prc le elezioni nelle RSU sono molto più importanti che non le elezioni nelle istituzioni, e che le battaglie nelle fabbriche devono occupare mille volte più energie di quelle che ci impegnano nei consigli comunali e in quello regionale.
4.7 Quest’analisi non significa che il Prc possa superare "per decreto" l'attuale situazione nella quale i comunisti militano in diverse organizzazioni sindacali. Nessun "ordine di partito" può sostituire un percorso le cui tappe saranno definite non dalle nostre decisioni, ma dallo sviluppo concreto della lotta sindacale. In questa fase il discriminante decisivo sono le piattaforme, i programmi, le rivendicazioni e la capacità di costruire percorsi unitari di mobilitazione. Su questi punti il Prc deve impegnarsi ad un lavoro sistematico per creare ambiti unificanti di dibattito e di coordinamento di tutti i propri militanti sindacali, ovunque collocati.
 

Radicarsi nelle scuole

4.8 L'attività del partito fra gli studenti medi è fondamentale per il radicamento fra i giovani in generale. Gli anni novanta hanno visto un susseguirsi d’attacchi alla scuola pubblica da parte di tutti i governi: tagli alla spesa, al personale, alle strutture, finanziamenti alle scuole private ecc.
Ma il punto centrale dell'attacco è stato il progetto d’autonomia scolastica ossia di privatizzazione, più o meno mascherata, dell'istruzione pubblica. A partire dal 1993, con intensità decrescente, ogni anno centinaia di migliaia di studenti hanno dimostrato la loro volontà di opporsi a questi attacchi. Quasi ogni autunno è stato caratterizzato da numerose autogestioni, occupazioni e anche da grandi manifestazioni in tutte le regioni, compresa l'Emilia Romagna. Ma il movimento studentesco è riuscito solo a rallentare il processo di privatizzazione, non a fermarlo, e il motivo di questo fallimento sta nella mancanza di un programma preciso e di un'organizzazione nazionale che lo portasse avanti. Molti degli attivisti che si rendevano conto di questi limiti sono rimasti delusi e sono stati coinvolti nel riflusso. Altri però hanno cercato altre strade, compresa quella del Prc. Il riflesso del movimento studentesco all'interno del partito si è visto chiaramente tra il ‘94 e il ’95, quando centinaia di giovani si sono avvicinati e iscritti. Tuttavia anche questa occasione di aumentare la nostra influenza e autorità non si è trasformata in un maggiore radicamento del partito nelle scuole, anzi si è ripetuto il fenomeno del turn-over per il quale i giovani passavano attraverso il partito ma poi ne uscivano delusi vedendo che non era in grado di fornire loro metodi e prospettive di lotta.
4.9 Questi fallimenti sono dovuti al fatto che il partito si è sempre "fatto guidare" dai movimenti, appoggiandoli acriticamente senza intervenire con un proprio programma più avanzato che avrebbe potuto fare dei giovani comunisti un punto di riferimento.
Pensiamo che una delle esperienze più significative e utile di organizzazione studentesca negli ultimi anni sia quella dei comitati in difesa della scuola pubblica (Csp.).Dove sono nati da più tempo, come a Milano, questi comitati hanno dimostrato che proporre agli studenti una organizzazione con un programma combattivo, e collegato con le rivendicazioni più ampie del movimento operaio, porta dei buoni risultati.
4.10 A tutt'oggi, a livello regionale, l'unica campagna di una certa consistenza organizzata dal partito in merito alla scuola pubblica è stata quella contro la legge Rivola; è quindi importante farne una analisi. A nostro avviso era potenzialmente una buona campagna  tanto che,  in un primo tempo, aveva coinvolto  un certo numero di compagni. In seguito però sono emersi palesi limiti che dovrebbero essere tenuti bene in considerazione per le prossime iniziative. Prima di tutto il testo del referendum non elimina i finanziamenti diretti alle scuole private professionali (che sono un numero consistente). Questo "dettaglio", di non poco conto, ha decisamente contribuito a minarne la credibilità e serietà anche agli occhi di molti compagni, anche per il fatto che non si faceva accenno alcuno  al processo complessivo di privatizzazione che l'istruzione sta subendo. In secondo luogo ha assunto un carattere quasi "elettoralistico" perdendo di vista l'obiettivo del radicamento fra gli studenti e i lavoratori. Il messaggio che arrivava era che bastasse raccogliere le firme e andare a votare per fermare quest’attacco, mentre, in realtà, si potranno ottenere conquiste concrete solo cambiando i rapporti di forza e preparando il terreno per le prossime lotte.
4.11 Per di più la politica scolastica non è stata posta come pregiudiziale per l'accordo col centrosinistra e ora che siamo in giunta le mani del partito sono legate, come lo erano a livello nazionale col governo Prodi, e lo stesso referendum rischia di slittare all'infinito. Noi riteniamo che a partire da quest’autunno il partito debba iniziare un serio lavoro di propaganda e di costruzione di comitati in difesa della scuola pubblica sulla base del programma di lotta che già i comitati esistenti hanno.
 

NO-OCSE: i limiti dell'intervento del PRC

4.12 Il movimento NO-OCSE a Bologna ha evidenziato limiti notevoli nell'intervento del partito. Nel complesso dobbiamo ammettere di aver perso una buona occasione per far avanzare le idee comuniste nel movimento, per dargli uno sbocco e una prospettiva politica e per aumentare il radicamento del partito, in particolare tra i giovani.
Le giornate di mobilitazione di massa del controvertice di giugno (culminate nei cortei del 14/6 che hanno visto la partecipazione complessiva di circa 8000 persone) sono state precedute da un periodo di circa due mesi in cui circa 2-300 persone sono state coinvolte ogni settimana nelle discussioni della rete Contropiani.
Ma soprattutto assistevamo ad un ambiente favorevole nella società di una certa attenzione verso le vicende del vertice e controvertice, in particolare dopo la manifestazione antifascista del 13 maggio che ha provocato un ambiente generale di fiducia nelle potenzialità della mobilitazione. Eravamo anche aiutati da una certa attenzione mediatica, anche se con il volto reazionario del Resto del Carlino.
4.13 Parliamoci chiaramente: indubbiamente non ci trovavamo di fronte ad una sollevazione della maggioranza della classe lavoratrice bolognese e dei giovani, ma assistevamo ad un fermento tra una fascia di persone, soprattutto giovani, nella quale c'era voglia di discutere e di lottare.
Come ci siamo comportati in tale contesto?
Innanzitutto è mancata un'azione unitaria e coordinata del partito: al posto di un interveto capillare che coinvolgesse l'intero corpo militante in base ad una linea politica, abbiamo visto la divisione tra un appoggio formale al controvertice, che si distingueva per essere basato fondamentalmente sulle dichiarazioni ufficiali alla stampa, e uno sciogliersi nel movimento, rinunciando a differenziarci politicamente.
4.14 Questa rinuncia è particolarmente grave perché le posizioni che dominavano in Contropiani, pur partendo da un'analisi abbastanza condivisibile sugli effetti nefasti della globalizzazione capitalistica, rimanevano completamente nel vago rispetto alla diversa società per la quale dovremmo lottare. Avremmo dovuto differenziarci, da comunisti, spiegando che l'unica alternativa alla globalizzazione capitalistica risiede nella fine della proprietà privata dei mezzi di produzione e in un’economia pianificata su scala mondiale. Di conseguenza avremmo dovuto svolgere un intervento capillare fra i lavoratori, gli studenti, i pensionati bolognesi per spiegare loro che il convegno dell'Ocse non era una cosa lontana dalla loro vita quotidiana, ma che tutta una serie di sue decisioni avrebbero portato a pesanti conseguenze nel futuro immediato. Una campagna di agitazione contro la precarizzazione, la privatizzazione della scuola, dell'università, dei servizi sociali, contro i tagli alle pensioni era vitale.
L'altro aspetto fondamentale su cui occorreva differenziarci era, a partire da un'analisi degli avvenimenti di Seattle, il sostegno all'idea che l'unica classe che può guidare la lotta contro il capitalismo è la classe lavoratrice con il sostegno del movimento studentesco e degli altri settori oppressi della società.
4.15 Cosa significa tutto ciò per l'azione concreta che avremmo dovuto intraprendere?
Per prima cosa avremmo dovuto produrre materiale politico che offrisse una spiegazione approfondita della globalizzazione e una prospettiva. Con questo materiale avremmo potuto aprire una discussione con centinaia di giovani e lavoratori sia all'interno della rete Contropiani che, soprattutto, nei posti di lavoro, nelle scuole e nell'Università.
Dal punto di vista agitativo, inoltre, era fondamentale assumere la proposta dello sciopero generale, almeno provinciale. E' indiscutibile che solo lo sciopero generale avrebbe potuto sia far avanzare la coscienza di larghe masse, sia impedire fisicamente il vertice OCSE, come giustamente si proponeva Contropiani. Avremmo dovuto criticare implacabilmente l'ingenua idea dello "sciopero generale di cittadinanza" (sciopera chi vuole, individualmente).
4.16 Qualcuno può chiedere: ma i vertici sindacali non volevano lo sciopero, avremmo dovuto proclamarlo noi, come PRC? Nient'affatto. Avremmo dovuto lanciare un appello a CGIL, CISL e UIL, e agli altri sindacati minimamente rappresentativi, perchè lo proclamassero, ma soprattutto rivolgerci direttamente alla sinistra sindacale della CGIL per una lotta per questi obiettivi. Ma ancora qualcuno può chiedere: essendo noi un piccolo partito, come potevamo spingere i vertici sindacali ad una simile azione, completamente contraria alla loro volontà? E' vero il PRC è un piccolo partito, ma la federazione di Bologna può pur sempre contare, anche con l'attuale crisi della militanza, su qualche centinaia di militanti, tra cui diversi delegati e attivisti sindacali. Se avessimo organizzato, nei due-tre mesi che precedevano il controvertice, volantinaggi regolari davanti alle fabbriche e alle scuole, con 100 militanti potevamo coprire senz'altro le principali fabbriche e scuole di Bologna. Avremmo dovuto chiedere ai lavoratori stessi e alle RSU che votassero mozioni in cui chiedevano la convocazione dello sciopero generale. Lo stesso potevano fare gli studenti nelle assemblee d'istituto. Nel corso di questa campagna avremmo potuto certamente, dato l'ambiente, trovare qualche decina di nuovi lavoratori e studenti disposti ad unirsi a noi nell’attività. Su questa base sarebbe stato possibile, alla fine, costringere i vertici sindacali a proclamare lo sciopero, ma se anche questo non fosse stato l'esito, sarebbe stata un'occasione straordinaria per evidenziare le contraddizioni della politica dei vertici sindacali, alzando il livello di coscienza generale del movimento, legarci ad una fascia di nuovi attivisti e fare un grande passo in avanti nel radicamento del partito a Bologna.
 

5. PER UN PARTITO DEMOCRATICO, RIVOLUZIONARIO E DI MASSA

5.1 Il documento della segreteria dedica ampio spazio alla questione del funzionamento interno del nostro partito. Molte delle affermazioni sono assolutamente condivisibili, ma pensiamo che molti militanti che hanno vissuto la storia di Rifondazione Comunista le prenderanno come le ennesime belle parole di circostanza.
Ad ogni congresso, conferenza, Cpf o Cpr, le asserzioni sulla necessità della democrazia si sprecano. Ma poi vengono regolarmente contraddette dalla scarsa consultazione e partecipazione effettiva da parte del corpo militante alla presa di decisione sulle scelte politiche fondamentali, sulle candidature, sulla formazione dei gruppi dirigenti. L’ennesima conferma è stata la vicenda dell’accordo regionale alle ultime elezioni. Le eccezioni sono rare.
5.2 Tale comportamento non è da attribuire ad una presunta malafede del gruppo dirigente, ma alla sua linea politica.
Pensare che per un partito comunista l'obiettivo fondamentale sia la partecipazione al governo e alle istituzioni borghesi di una regione, di una provincia o di un comune, porta alla tendenza di adottare gli usi e le consuetudini di queste ultime anche nella vita interna dell'organizzazione. Credere che nelle aule consiliari si giochi la battaglia decisiva per le classi subalterne, e non nei luoghi di lavoro e nelle piazze e per mezzo dell'organizzazione di queste classi subalterne, rende il loro apporto alla vita del partito ausiliario. Possono distribuire volantini, raccogliere firme, organizzare feste, ma non decidere la linea politica e la propria direzione liberamente. Le due scissioni subite da destra da parte del Prc in quasi dieci anni, di cui sono stati protagonisti proprio gruppi parlamentari, assessori ecc., non insegnano (non solo) proprio questo?
5.3 Noi pensiamo che siano proprio le classi subalterne, e nessun altro a poter cambiare la società. Per questo è imprescindibile che tra esse sviluppiamo i quadri dirigenti della nostra organizzazione, educandoli – ed educando noi stessi - a disporre della linea politica, delle decisioni e della scelta dei gruppi dirigenti.
Sono necessari ad ogni livello congressi che oltre ad avere scadenze regolari come nelle migliori tradizioni del movimento operaio (nell’Internazionale comunista quando era vivo Lenin i congressi si convocavano tutti gli anni!), ci siano dirigenti eleggibili e revocabili in ogni momento dall'istanza che li ha eletti, la rotazione delle cariche, con rappresentanti nelle istituzioni che non rispondano in astratto ad elettori non consultabili a piacimento in un sistema borghese, ma alla base del partito.
Onde evitare pericoli di burocratizzazione e la generazione di un ceto politico distaccato dalle masse, ogni compagno eletto nelle istiuzioni (deputati, assessori, consiglieri) deve essere pagato come un operaio specializzato (quello che avanza del suo salario istituzionale deve essere interamente versato nelle casse del partito). Oltre ad abolire ogni forma di privilegio una misura del genere contribuirebbe ad affrontare i problemi finanziari del nostro partito
Tutto ciò non solo per rendere meno astratta la democrazia nel partito, ma perché è una necessità vitale nel compito di formare il partito che vogliamo costruire per il futuro.
5.4 In un partito dove il dibattito è libero il confronto fra varie posizioni politiche è necessario e inevitabile. Ed è possibile che in certi casi esso porti all'aggregazione di tendenze di idee, per quanto il nostro obiettivo è quello di lottare sempre e comunque per l’unità.
Prima del IV congresso nazionale che ha abolito il vecchio articolo 8 dello statuto nel Prc era esplicitamente vietato il diritto di tendenza. Questo non ha impedito alle correnti di esistere per di più senza alcun obbligo di far riferimento ad una piattaforma politica, nè di sottostare al rispetto di regole precise nei confronti dell’insieme del partito.
L’unità purtroppo non si costruisce per decreto ed è una pratica ipocrita molto diffusa di fare proclami contro i raggruppamenti interni da quegli stessi compagni che sono a capo di correnti che seppur non dichiarate “operano” in modo sotterraneo provocando enormi danni per il nostro partito.
Sarebbe molto più onesto e si darebbe un contributo all’unità se si riconoscesse il diritto di tendenza (il che non significa promuoverlo) quando questo permette di esplicitare delle differenze politiche, dando maggior trasparenza al dibattito interno ed evitando allo stesso tempo che la proibizione formale di questi raggruppamenti non li trasformi in gruppi di pressione finalizzati alla spartizione delle cariche istituzionali nel nostro partito. Ciò non deve necessariamente portare alla paralisi del partito. La storia del partito bolscevico prima dell'ascesa dello stalinismo è una storia di lotta tra frazioni, eppure questo partito ha saputo guidare una rivoluzione.
Così appoggeremo ogni misura proposta dalla segreteria che va nella direzione di una maggiore democrazia. Ma avvertiamo anche che una vera svolta nella vita democratica del Prc può avvenire solo con la definitiva scomparsa d’ogni illusione riformista nel metodo, nel programma, nella strategia e nell'analisi del Prc, e con l'adozione di una linea politica rivoluzionaria.
 

6. CONCLUSIONI
Le ultime elezioni regionali hanno dimostrato il grande vuoto a sinistra. Un vuoto inequivocabilmente espresso dalle masse attraverso una forte astensione soprattutto nei centri in cui più alta è la densità proletaria (Piemonte, Lombardia, Liguria ecc.). Il nostro partito ha le potenzialità e il dovere di coprire questo vuoto e divenire il punto di riferimento centrale per la classe lavoratrice. Questo sarà possibile a patto che si adotti una politica, un metodo e una struttura rivoluzionaria. Se questo avverrà il Prc non solo potrà tornare a crescere nel prossimo periodo e reclutare fra le proprie fila l'avanguardia della classe, ma sarà, una volta che le masse scendano in campo per una lotta campale contro la borghesia ed il capitalismo, il candidato numero uno a divenire l'organizzazione che condurrà il proletariato alla presa del potere ed alla trasformazione in senso comunista della società.
 

Luca Paltrinieri (CPR Emilia-Romagna)
Carlo Simoni, Francesco Merli, Fiorella Scagliarini (CPF di Bologna)
Domenico Minadeo (CPF di Imola)
Riccardo de Giuli, Piero Zandomeneghi, Paolo Brini (CPF di Modena)