Fabiana Stefanoni (Coordinamento nazionale Giovani Comunisti)
da "Progetto Comunista", febbraio 2003
Non si può certo dire che il governo Berlusconi abbia trovato,
nei precedenti assetti dati dalla legislatura di centrosinistra all’organizzazione
della scuola pubblica, un grosso ostacolo ai propri progetti di destrutturazione
del sistema formativo. Al contrario, proprio le politiche dell’Ulivo hanno
spianato la strada all’odierna manovra reazionaria del centrodestra, ben
lieto di portare a compimento – estendendolo e radicalizzandolo – il progetto
di parificazione tra scuola pubblica e scuola privata già avviato
dai ministri ulivisti Berlinguer e De Mauro.
Basta dare un’occhiata al testo della Riforma Berlinguer, (difesa a
spada tratta dalla Cgil) per rendersi conto del fatto che la riforma Moratti
non segna un salto qualitativo rispetto all’immediato passato ma, piuttosto,
rappresenta un’accelerazione di processi già perfettamente delineati
nei loro caratteri essenziali dalle politiche dell’Ulivo.
Fu proprio la Riforma del centrosinistra a dare il via alla famigerata
“autonomia didattica e organizzativa” delle istituzioni scolastiche, in
“una prospettiva di forte decentramento”: una manovra che non solo ha permesso
ai singoli istituti di auto-regolarsi in materia di finanziamento – con
la conseguente gerarchizzazione delle strutture in base alle disponibilità
economiche – ma che, soprattutto, si è dimostrata funzionale all’ingerenza
della imprese private nell’ambito formativo. Benché l’allora ministro
della pubblica istruzione abbia goffamente tentato di giustificare quella
scelta con improbabili (e populistiche...) “esigenze di sburocratizzazione”,
le reali ragioni, più forti dell’inventiva dialettica del ministro,
trasparivano dal testo stesso: “si delinea una prospettiva di forte decentramento
in favore di istituzioni scolastiche autonome, che acquisteranno (...)
capacità reali di collegamento col territorio e con le altre agenzie
formative”. E per capire cosa siano queste “altre agenzie” basta avere
la pazienza di tornare a leggere un passaggio precedente: “è il
contesto lavorativo che assume forte vocazione formativa”. Svelato l’arcano!
L’autonomia degli istituti è stata dunque pensata in vista di un
più intenso (e possiamo immaginare quanto proficuo...) raccordo
con le imprese locali; le quali imprese, in virtù dell’autonomia
didattica, hanno persino acquisito diritto d’intervento nella stessa programmazione
dei percorsi educativi. Attraverso le cosiddette “aree di progetto” e gli
“stages”, alle stesse imprese, in cambio del “disturbo”, è stato
poi garantito lo sfruttamento diretto di forza-lavoro a costo zero (con
tanto di riconoscimento per l’impegno formativo!).
Ecco, dunque, come il ministro Berlinguer ha creato le solide basi
per gli attuali progetti di totale “aziendalizzazione” della scuola. Non
solo, infatti, con la riforma Moratti si esplicita definitivamente che
le imprese (ma anche le associazioni di rappresentanza, le camere di commercio,
industria, artigianato e agricoltura) hanno il compito di progettare, attuare
e valutare la realizzazione dei percorsi formativi, ma tutto questo avrà
anche una ricompensa pecuniaria: sono previsti, infatti, consistenti incentivi
per le imprese stesse, ormai assurte al ruolo di “nuovi tutori dell’istruzione”.
Oltre al danno la beffa, viene da dire, se si considera che tutto questo
si accompagna ai drastici tagli operati dalla finanziaria a danno del personale
docente e non docente, con la conseguente pesante riduzione dei posti di
lavoro. Alla luce della volontà di far ricadere sulle spalle dei
lavoratori della scuola il deficit di bilancio, vanno lette una serie di
disposizioni relative alla riorganizzazione dei tempi e degli spazi formativi:
l’abolizione del tempo pieno, la riesumazione della figura del maestro
unico per le scuole elementari, il taglio degli organici dei tecnici di
laboratorio, il ricorso ad appalti esterni per lo svolgimento di funzioni
amministrative. Soprattutto, decine di migliaia di posti d’insegnamento
subiranno un drastico taglio, in pieno accordo con lo spirito della finanziaria,
che sottrae risorse al servizio pubblico per convogliarle in investimenti
di guerra. Si tratta dell’ennesima riconferma della priorità assegnata
dal governo alle manovre imperialistiche rispetto al soddisfacimento dei
bisogni sociali: una realtà, questa, che è destinata ad aggravarsi
di fronte all’inasprimento dell’espansionismo militare statunitense ed
europeo.
La riduzione dei fondi pubblici è legata all’ulteriore estensione
dei processi di “autonomia finanziaria”, che comporterà l’instaurarsi
di un vero e proprio rapporto di competizione “aziendale” tra le singole
scuole: una sorta di training alla loro definitiva privatizzazione. Un
occhio di riguardo va – neanche a dirlo – agli istituti già privati,
di stampo per lo più confessionale: per questi, vengono ovviamente
introdotte ulteriori agevolazioni (al Senato è stato approvato un
emendamento che stanzia ben 90 milioni di euro per il triennio 2003-2005
per le famiglie che iscrivono i figli alle scuole private), tra l’altro
già elargite con generosità dai precedenti governi. Inoltre,
la Camera, nel dicembre 2002, ha approvato la sciagurata legge relativa
all’immissione in ruolo (alla faccia degli oltre 100 mila precari che attendono
da decenni) degli insegnati di religione cattolica designati dalle curie
vescovili, con lo stesso trattamento giuridico ed economico degli altri
docenti e con la possibilità, addirittura, di passare agli insegnamenti
previsti per le altre classi di concorso (tutto questo comporterà
una spesa ulteriore di 30 milioni di euro). Non a caso la religione cattolica
è definita “materia fondamentale d’insegnamento”: il governo delle
destre si candida a rappresentante privilegiato del blocco d’interessi
della scuola privata, in piena sintonia con il Vaticano, come articolazione
del proprio blocco sociale di riferimento. Volta alla parificazione tra
pubblico e privato è la famigerata politica dei buoni scuola, che
tende a generalizzarsi anche a livello territoriale per opera dei governi
regionali: una forma non tanto velata di finanziamento pubblico alle scuole
private, di fatto equiparate agli istituti statali.
Proprio in relazione al ruolo delle Regioni nell’ambito formativo,
il governo di centrodestra aggrava ulteriormente il triste quadro già
delineato dalla scorsa legislatura: ancora più pesante diventa l’ingerenza
dei governi regionali in materia scolastica, al punto che si parla di “piani
di studio personalizzati che (...) prevedono una quota, riservata alle
regioni, relativa agli aspetti di interesse specifico delle stesse”. Insomma,
alle Regioni sarà garantita la possibilità di incidere nella
definizione degli stessi contenuti impartiti a lezione! Si tratta di un
andamento destinato ad aggravarsi drasticamente con l’attuazione della
sciagurata devolution voluta da Bossi e camicie verdi, poiché, come
abbiamo avuto modo di constatare in questi anni, il federalismo regionale,
sottraendo allo Stato l’esclusiva competenza in fatto d’istruzione, cerca
di accelerare i processi di privatizzazione nonché il privilegiamento
della scuola privata, aziendale e confessionale.
E – non dimentichiamolo – è un fenomeno che non concerne esclusivamente
le regioni governate dal centrodestra. Pensiamo all’Emilia Romagna che,
col voto favorevole del nostro partito, ha varato la legge Bastico, che
si pone in esplicita continuità con le logiche privatistiche e aziendali
delle leggi nazionali di Parità e Autonomia scolastica volute dal
centrosinistra. Si tratta di una legge che avalla la parificazione tra
scuole statali e private, che prevede finanziamenti diretti e indiretti
alle scuole private stesse, che offre “borse di studio di pari importo
per tutti gli studenti emiliano-romagnoli, indipendentemente che siano
iscritti ad un istituto pubblico o privato”. Non solo: è caldeggiato
l’intervento di “enti privati” nella programmazione dei servizi scolastici
e si legittimano criteri meritocratici nell’attribuzione delle borse di
studio. Per cogliere l’essenza di questa legge, che qualcuno nel nostro
partito continua a celebrare come una grande conquista, basta guardare
a quanto dichiarato da Mariangela Bastico, a commento della legge che porta
il suo nome: “abbiamo offerto a tutti gli studenti, sia che frequentino
la scuola pubblica o la scuola privata, maggiori opportunità”. L’inqualificabile
voto del PRC a questa legge è la dimostrazione del fatto che ogni
alleanza di governo, anche locale, col centrosinistra ci rende inevitabilmente
complici di devastanti politiche neoliberiste. Del resto, il centrosinistra
non soffre di schizofrenia e non attua a livello locale politiche diverse
da quelle che ha attuato a livello nazionale: è quantomeno illusorio
pensare di poter condizionare in senso “progressista” l’operare di chi
ha elaborato un sistema di leggi direttamente volte a rappresentare gli
interessi di settori consistenti del capitalismo italiano. Non è
stato forse il governo di centrosinistra ad utilizzare il pretesto della
“formazione professionale” per legalizzare, sponsorizzare e sostenere la
precarizzazione del lavoro giovanile (V. riforma dell’apprendistato e dei
contratti di formazione-lavoro)? Proprio la riforma Berlinguer, prevedendo
“l’alternanza tra formazione e lavoro”, ha dato il via all’invasione imprenditoriale
delle scuole italiane: alla Moratti è bastato trarne le conseguenze,
con la stipulazione di vere e proprie “convenzioni” tra imprese e singole
istituzioni scolastiche, al fine di meglio coordinare lo sfruttamento,
senza retribuzione né rimborso spese, di forza-lavoro giovanile
(visto che la signora Moratti ci tiene a precisare che “i periodi di tirocinio
non costituiscono rapporto individuale di lavoro”).
Un’idea, quella delle convenzioni, che al ministro delle destre è
stata suggerita nientemeno che dalla riforma Zecchino dell’università
(varata dal centrosinistra nel 1999), che esplicitamente diceva (in relazione
ai corsi di laurea in Scienze della formazione): “alla programmazione del
tirocinio contribuiscono il sistema scolastico, gli Enti locali e altre
strutture formative, culturali e produttive (...); per lo svolgimento di
esso, le università stipulano apposite convenzioni”. Del resto,
proprio in funzione dell’equiparazione tra pubblico e privato è
stato elaborato il cosiddetto “sistema dei crediti formativi” (V. la bozza
Martinotti e poi la stessa riforma Zecchino), che assegna “peso didattico”
all’attività lavorativa (o, meglio, di “volontariato”...) svolta
presso le imprese private. Tutto questo s’inseriva nel quadro di una generale
destrutturazione dell’università: dando inizio all’autonomia finanziaria
e didattica degli atenei, il centrosinistra sanciva la trasformazione di
questi ultimi in veri e propri poli aziendali, tra loro distinti in base
a criteri concorrenziali e, ovviamente, di selezione di classe.
Di fronte alla scellerata decisione della Corte Costituzionale di annullare
il referendum che chiedeva la cancellazione della legge di parità
scolastica e i finanziamenti alle scuole private; di fronte, più
in generale, ai nuovi pesantissimi attacchi inferti dal governo Berlusconi
e dal ministro Moratti alla scuola pubblica, è oggi urgente la ricomposizione
unitaria delle lotte degli studenti, dei lavoratori della scuola e di tutto
il mondo del lavoro e non-lavoro, al fine di costruire una vera alternativa
alla scuola del capitale. Occorre rivendicare: il ritiro immediato della
riforma Moratti; l’abolizione della legge di parità scolastica;
l’abolizione di ogni forma di finanziamento diretto o indiretto, anche
a livello di giunte locali (di centrodestra e centrosinistra), alla scuola
privata e confessionale; l’aumento salariale almeno di 250 euro per tutti
i lavoratori della scuola; l’immissione in ruolo immediata e l’assunzione
a tempo indeterminato di tutti i precari (e abolizione del pacchetto Treu);
la riduzione del numero massimo di alunni per classe e classi di insegnamento;
l’estensione della scuola pubblica (a partire della scuola per l’infanzia)
e del suo servizio in rapporto alla popolazione adulta, agli immigrati,
agli anziani.
Imprescindibile è legare le nostre rivendicazioni per una scuola
più giusta alla prospettiva della riacquisizione su basi pubbliche
e gratuite di tutta l’istruzione: solamente una lotta chiaramente anticapitalistica,
nella prospettiva di una reale alternativa di società e di potere,
può liberare la scuola dalle logica del profitto e della mercificazione.