Care compagne e cari compagni, la nostra attenzione è ovviamente
volta verso i recenti gravissimi fatti che hanno coinvolto alcuni militanti
del movimento antiglobalizzazione: gli arresti, le deportazioni nei carceri
di massima sicurezza, le pesantissime imputazioni di "associazione sovversiva"
e "cospirazione politica" riconfermano ancora una volta il carattere repressivo
di alcuni settori di apparato dello Stato, pronti a rispolverare codici
fascisti al fine di criminalizzare e ostacolare i movimenti di protesta
sociale e politica che stanno prendendo corpo in questi mesi in Italia.
Una chiara provocazione cui è giusto che il movimento, e nel nostro
caso specifico i GC, rispondano con la pronta mobilitazione per la libertà
immediata dei compagni arrestati e per la difesa del diritto di lotta dei
movimenti di massa. La riuscita della manifestazione di ieri a Cosenza
ci conferma che c'è la disponibilità da parte del movimento
a non lasciarsi intimidire dalla repressione.
Repressione che, non a caso, avviene all'indomani della grande
manifestazione di Firenze che, con la sua straordinaria partecipazione
di massa, costituisce un evento importantissimo, dalle enormi potenzialità:
potenzialità che, come GC, dovremmo impedire che vadano disperse.
Il fatto di trovarci oggi oggetto di una pesante repressione non deve né
fermarci nelle lotte né esimerci dal riflettere su quelli che sono
e restano, a mio avviso, i forti limiti dell'intervento dei GC - e del
partito tutto - nel movimento stesso. Mi pare manchi da parte di molti
compagni la consapevolezza del fatto che è in corso un tentativo,
da parte di settori rilevanti del centrosinistra (penso in particolare
all'"asse" Prodi-Cofferati) di subordinare il movimento ad un prospettiva
borghese di alternanza, camuffandolo nei termini di "apertura al dialogo".
Un disegno che porterebbe al tradimento delle lotte e delle mobilitazioni,
assegnando loro un misero destino di collaborazione di classe, che di fatto
le priverebbe di uno sbocco anticapitalistico - l'unico in grado di soddisfare
veramente le istanze poste dal movimento.
Purtroppo il nostro partito non si muove certo con l'intento
di contrastare queste dinamiche; anzi, si candida a referente privilegiato
di quei settori di socialdemocrazia che mirano a rifondare il centrosinistra
in vista del 2006. Il nostro segretario nazionale l'ha esplicitato in una
recente intervista: cito dal Manifesto del 17 settembre "Il centrosinistra
è una gabbia che imprigiona le forze del cambiamento (...) Bisogna
rompere questa gabbia e far sì che l'opposizione si organizzi in
3 tronconi: centro moderato, sinistra riformista e sinistra radicale. Poi
le due sinistre devono ALLEARSI e solo dopo vedere se ci sono le condizioni
per un accordo con il centro moderato"... Anche il PRC, dunque, si impegna
ad essere tra i protagonisti di una vera e propria riorganizzazione del
centrosinistra, nella prospettiva di un governo per il 2006.
Per impedire che ciò avvenga, per impedire che il movimento
finisca nelle braccia delle classi dominanti, necessario è che sviluppi
una coscienza anticapitalistica, che traduca le proprie aspirazioni ad
un mondo più giusto nella lotta per un'alternativa di sistema. La
posta in gioco è alta: o lavoriamo per offrire al movimento un'alternativa
di società e di potere oppure l'"altro mondo possibile" rischia
di diventare una delle tante espressioni del capitalismo (magari gestito
da un governo di centrosinistra).
Di fronte a questo pericolo, necessario è che i GC, attraverso
il loro attivo intervento nel movimento antiglobalizzazione, contribuiscano
a far sì che esso si doti di una piattaforma anticapitalistica,
di un programma anti-sistema che metta in discussioni le basi del capitalismo
e dell'imperialismo, che rifiuti con forza qualsiasi collaborazione coi
governi della borghesia. Fin tanto che le rivendicazioni saranno moderate
e di stampo riformista - come la tobin tax e il bilancio partecipato -
estremamente facilitato sarà il lavoro di quelle forze, socialdemocratiche
e liberali, che intendono subordinare il movimento a compatibilità
capitalistiche.
Emblematico diventa il confronto con le lotte in Argentina, dove,
fra l'altro, la scorse estate il tentativo di mettere fuori legge per "sovversione"
una delle organizzazioni piquetere più importanti ha trovato un'imponente
risposta popolare. In Argentina abbiamo assistito ad una ribellione di
massa, che è stata in grado di cacciare in pochi giorni quattro
governi, di darsi forme embrionali di autogoverno (le partecipatissime
"assemblee popolari di quartiere"), di contrapporre nelle strade la propria
forza organizzata agli assalti della polizia e dello squadrismo peronista.
Ancor oggi, il movimento delle assemblee popolari, il movimento piquetero,
il movimento delle fabbriche occupate avanzano piattaforme rivendicative
estremamente avanzate: annullamento unilaterale del debito estero, l'esproprio
sotto controllo operaio delle imprese in crisi, controllo popolare su produzione
e distribuzione delle merci. Una delle parole d'ordine più diffusa
è "Via il governo e il fondo monetario internazionale - Per un governo
dei lavoratori".
Una parola d'ordine, quella della cacciata del governo, che invece
il nostro partito e i giovani comunisti si ostinano a non portare nelle
mobilitazioni di massa. Eppure è una parola d'ordine che risponde
oggi al sentimento unitario di tutti i movimenti di massa, che potrebbe
trovare una traduzione concreta, vista la grande disponibilità alla
lotta dimostrata non solo dal movimento antiglobalizzazione ma, soprattutto,
dal movimento dei lavoratori e delle lavoratrici.
A questo proposito, una riflessione s'impone sullo sciopero generale
del 18 ottobre, che, con la grande partecipazione operaia che l'ha segnato,
è indice della potenzialità preziose del movimento operaio.
La massiccia adesione allo sciopero nonché la grande partecipazione
alle manifestazioni regionali ci dicono chiaramente che, di fronte all'offensiva
dirompente del governo, il movimento dei lavoratori ha la forza di reagire
e sconfiggerlo. La rottura tra CGIL e governo ha dato impulso alla mobilitazione
generale ma, allo stesso tempo, è necessario riconoscere che questa
rottura non configura affatto una svolta strategica della CGIL stessa:
nessun reale cambiamento di rotta, nessuna volontà da parte del
gruppo dirigente della CGIL di rompere definitivamente con la strategia
della concertazione. Lo dimostrano del resto chiaramente la sottoscrizione
dei contratti dei chimici e degli edili nonché i vari accordi firmati
con il governo per i comparti pubblici. Lo dimostrano le gravi e recenti
dichiarazioni di Epifani, che si è schierato contro l'estensione
dell'art. 18, della quale il nostro partito si è fatto promotore
attraverso i referendum. Lo dimostra il mancato bilancio di anni di politiche
di concertazione e accordi contrattuali sul fulcro della flessibilità.
Ma, soprattutto, oggi la direzione CGIL ha delle enormi responsabilità,
poiché, di fatto, è alla guida della protesta operaia. Sul
terreno dello scontro sociale la sua politica concreta è di contenimento,
con iniziative in sé importanti, ma limitate, distanti nel tempo
(lo sciopero ogni 4-6 mesi), fondamentalmente di immagine e di pressione,
senza piattaforma. Ben diversa dovrebbe e potrebbe essere la risposta del
movimento di massa: un'azione di lotta prolungata che punti a bloccare
l'Italia, a bloccare merci e servizi, prestazioni straordinarie e flessibili,
sino al ritiro di tutte le deleghe e disegni governativi. Una proposta,
questa, che va affiancata a quella di sciopero generale europeo contro
la guerra, che denunci la natura imperialista del conflitto annunciato
e smascheri la natura borghese dell'ONU, luogo di trattativa e mediazione
per le grandi potenze imperialiste.
Una proposta, quella dello sciopero generale prolungato, che
va affiancata al pieno sostegno alle lotte dei lavoratori FIAT, che stanno
subendo il peso di una ristrutturazione funzionale agli interessi padronali.
Di fronte ai tentavi da parte delle burocrazie sindacali di cercare una
mediazione concertata con governo e padronato, occorre che i GC e più
in generale l'intero partito avanzino una proposta che non tradisca la
radicalità delle lotte. Occorre sviluppare tra i lavoratori la rivendicazione
della nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori;
bisogna realizzare da subito lo sciopero a tempo indeterminato del gruppo
FIAT e, soprattutto, passare all'occupazione di tutte le aziende del gruppo.
Solo così sarà possibile sconfiggere la Fiat e sferzare un
duro attacco al capitalismo italiano e al governo Berlusconi.
Concludendo, mi sembra evidente che oggi la principale urgenza cui,
come GC, dobbiamo far fronte sia quella di ricomporre tutte le lotte e
tutti i movimenti attraverso una vertenza generale unificante, che porti
alla sconfitta di Berlusconi e ci permetta di prospettare una reale alternativa.
Necessario, dunque, porci il problema di promuovere una direzione anticapitalistica,
che sappia avanzare una piattaforma di classe. Non ci sono terze vie: o
i GC rischiano di subordinarsi ai progetti di un futuro governo di centrosinistra,
rappresentante privilegiato della borghesia italiana, oppure i GC si assumono
la responsabilità di elaborare un programma in grado di rendere
concreta una prospettiva rivoluzionaria.