Di fronte alla barbarie del capitalismo e allo sviluppo dei movimenti
PER UNA SVOLTA POLITICA DEL PARTITO
PER UN PROGETTO COMUNISTA E RIVOLUZIONARIO

Ordine del giorno presentato al Cpn del Prc dl 16 settembre 2001


Il testo presentato a maggioranza dalla Direzione nazionale –al di là di elementi di accordo sull’analisi della fase (“disgelo”) che sono da tempo comuni sia alla maggioranza che alla minoranza del partito- non avanza, a nostro giudizio, una proposta politica positiva e conseguente con il progetto di una forza coerentemente comunista. L’apparente radicalismo verbale racchiude in realtà la riproposizione, in forme nuove, della precedente linea politica del partito. In primo luogo il testo rimuove totalmente il tema del bilancio di un lungo periodo della nostra politica e in particolare del sostegno accordato per metà della precedente legislatura al governo di centrosinistra, nel momento di massima offensiva delle sue politiche antipopolari (dalle finanziarie “lacrime e sangue” al “Pacchetto Treu”). Tanto più nel momento dell’affermazione del governo Berlusconi-Bossi-Fini il bilancio complessivo del centrosinistra non può essere disgiunto del nostro rapporto con esso. Questo mancato bilancio si salda con la riproposizione di una prospettiva di sinistra plurale “che si candida al governo su un programma riformatore”: cioè nei fatti una ricomposizione in vista di uno schieramento di governo con l’apparato liberale DS per il dopo Berlusconi, senza alcuna esclusione dello stesso centro borghese tradizionale (Margherita). Il fatto che questa prospettiva venga perseguita da un versante di movimento, non solo non cambia la sua natura ma la aggrava: invece che sviluppare nel movimento la coscienza politica dell’autonomia, delle sue ragioni sociali e la sua contrapposizione alle forze borghesi e liberali, di fatto si assume il movimento come base di pressione e come strumento di ricomposizione con quelle forze. E’ di fatto la coazione a ripetere della politica fallita di dieci anni.
La prospettiva politica della sinistra plurale di governo svuota, più in generale, le ragioni stesse di una battaglia di egemonia anticapitalistica nel movimento e nei movimenti, battaglia di egemonia che del resto il testo rifiuta apertamente. Nei fatti invece di una battaglia strategica di fondo nel profondo della giovane generazione per ricostruire il senso della necessità di una prospettiva rivoluzionaria contro ogni vecchia e nuova illusione riformistica si realizza un blocco con le direzioni riformiste dei movimenti a tutto danno non solo del partito ma dei movimenti stessi.
Infine la mancanza di una strategia alternativa si salda nello stesso testo con l’assenza o l’estrema genericità delle indicazioni politiche di fase: sullo stesso terreno della costruzione e indirizzo dei movimenti oggi contro il governo delle destre mancano indicazioni di proposta su forme di organizzazione e di lotta; è assente una proposta di rivendicazioni unificanti per la ricomposizione di un movimento di massa contro il governo. E’ assente lo stesso obiettivo di fondo, per noi centrale, della cacciata del governo Berlusconi-Bossi-Fini come terreno di radicalizzazione politica dell’opposizione di massa in funzione di una prospettiva di alternativa di classe. Infine la stessa istanza dell’”apertura” del partito ai movimenti –in assenza di un progetto anticapitalistico alternativo e di una battaglia nei movimenti per l’egemonia- si trasforma in una confusa soluzione organizzativa e di diluizione delle strutture, a partire dai circoli, in reali o presunti “luoghi di movimento”: col rischio di produrre non un salto positivo di radicamento sociale del partito, ma un indebolimento del partito nei movimenti stessi.

Per queste ragioni, il CPN avanza una proposizione alternativa sull’indirizzo e le finalità del V Congresso del PRC. Nel nome di una svolta strategica e politica profonda che proprio il nuovo scenario oggi sollecita.

1) L’ANALISI DI FASE: LO SVILUPPO DEI MOVIMENTI
La grande ripresa delle dinamiche di movimento su scala internazionale, lo sviluppo di un movimento di massa antiglobalizzazione nel nostro Paese, rappresentano indubbiamente il fatto nuovo, il possibile principio di svolta, di eccezionale importanza, della situazione obiettiva. Larga è la convergenza di analisi nel nostro partito sui caratteri di fondo della svolta: la crisi di egemonia sociale delle politiche liberiste su scala mondiale, lo straordinario impatto politico del nuovo movimento e le sue positive ricadute sulla dinamica internazionale della lotta di classe, l’affacciarsi di una giovane generazione sul terreno della mobilitazione, anche a livello di classe operaia (v. i metalmeccanici italiani)..
I fatti d’America, col loro carico di violenza terroristica sulla popolazione civile di quel Paese, e i loro ampi riflessi internazionali, introducono sicuramente un fattore di difficoltà nuova nello sviluppo del movimento a livello di massa. Il prevedibile rilancio di scelte militariste, sorrette da campagne di propaganda sciovinista, in particolare anti-araba, da parte dei circoli dominanti dell’imperialismo; il possibile ricorso nei Paesi imperialistici a nuove politiche di chiusura repressiva degli spazi di mobilitazione, in particolare nei confronti del movimento antiglobal, potrebbero svilupparsi in un clima politico più difficile ponendo nuovi problemi di orientamento al movimento e ai movimenti. E tuttavia questi fattori di indubbia complicazione dello scenario internazionale non intaccano le basi materiali di fondo, strutturali e durevoli, che hanno alimentato la ripresa dei conflitti sociali e delle mobilitazioni. In particolare la crisi capitalistica internazionale e le spinte recessive che oggi la segnano possono persino trovare negli accadimenti recenti nuove fonti di aggravamento. Il quadro di competizione economica tra i blocchi imperialistici sarà acuito dall’aggravarsi della crisi. Le politiche liberiste controriformatrici restano ovunque una necessità strutturale del capitale e dei suoi governi, siano essi di centrodestra, di centrosinistra, o “socialdemocratici”. E proprio queste politiche, sempre più incapaci di egemonia, tenderanno a riprodurre e amplificare fenomeni di resistenza, opposizione, mobilitazione sociale alle diverse latitudini del mondo. Al di là delle inevitabili oscillazioni della sua dinamica, e persino dei possibili momenti di crisi e di riflusso, la tendenza generale dello scenario mondiale nella prossima fase resta quella della ripresa della lotta di classe e dei movimenti di massa.

2) NEI MOVIMENTI PER L’EGEMONIA
Tanto più oggi l’inserimento nel movimento e nei movimenti, la costruzione attiva della loro iniziativa, la partecipazione piena alle loro strutture organizzate, è la prima necessità dei comunisti e del nostro partito. Ogni posizione che sottovaluti questa priorità, o che riproduca un principio di distacco comunque motivato tra partito e movimenti va apertamente respinta e contrastata. Ma l’inserimento profondo nei movimenti non può risolversi in una dissoluzione politica della propria funzione d’avanguardia. Al contrario esso va finalizzato alla conquista dell’egemonia politica dei movimenti: che non è né “separatezza” né controllo burocratico, ma lotta aperta e leale entro il processo della costruzione dei movimenti per l’affermazione in essi di un progetto di classe anticapitalista. Per sviluppare al loro interno, sulla base della loro stessa esperienza, la connessione programmatica tra le rivendicazioni immediate e la necessità di una soluzione rivoluzionaria e socialista: quale unico possibile sbocco vincente, in ultima analisi, delle loro istanze profonde di emancipazione e liberazione. Per questo la lotta contro le illusioni riformistiche è la ragione stessa della presenza dei comunisti nei movimenti, nell’interesse dei movimenti stessi e delle loro ragioni. Viceversa la rinuncia alla lotta contro il riformismo, o la diretta riproposizione delle illusioni riformistiche nei movimenti sino alla loro subordinazione a prospettive di “governo riformatore” sono la peggiore negazione delle loro migliori potenzialità e la preparazione della loro sconfitta: anche quando si combina con la lode quotidiana dei movimenti. Inoltre la negazione della battaglia per l’egemonia nei movimenti, sulla base di un programma socialista, finisce col minare la stessa ragione d’esistenza del partito comunista come forza organizzata, con l’indebolire le sue strutture, col dissolvere i suoi confini: entro una dinamica in cui l’apertura al movimento invece che costituire la condizione preziosa del radicamento sociale del partito e quindi del suo rafforzamento, si risolve paradossalmente nel rischio politico del suo scioglimento. In definitiva: solo un programma comunista rivoluzionario, contrapposto ad ogni riformismo, può difendere lo stesso partito comunista, la sua autonomia, la sua ragione politica e organizzativa.

3) LA NECESSARIA BATTAGLIA ANTICAPITALISTICA NEL MOVIMENTO ANTIGLOBAL
L’approfondirsi della crisi capitalistica e l’irrompere di una giovane generazione sul terreno della lotta ripropongono l’attualità di una battaglia strategica di fondo nei movimenti per il rilancio di una prospettiva di classe rivoluzionaria. Il movimento antiglobal rappresenta al riguardo un ambito prezioso di questo rilancio. Nessuna delle istanze di fondo che animano nel profondo questo movimento (sociali, ambientali, democratiche, di pace) è compatibile con l’organizzazione capitalistica del mondo. Ed anzi tutte queste istanze riconducono di fatto alla necessità di una rottura anticapitalistica che metta in discussione la proprietà privata e la natura borghese dello Stato segnando una riorganizzazione profonda della società mondiale attorno al controllo sociale dei mezzi di produzione e comunicazione, delle risorse della natura, delle innovazioni tecnologiche e scientifiche. La riattualizzazione di una prospettiva socialista, libera da ogni eredità staliniana, va assunta come compito centrale del nostro partito: non come esercizio ideologico ma in risposta ai temi che il movimento pone e ai terreni di crisi della globalizzazione capitalista contemporanea. Ma questo implica da un lato l’elaborazione dopo dieci anni di un programma fondamentale comunista del nostro partito che non può né ridursi all’evocazione simbolica dei suoi temi (“transizione, proprietà, potere”) né essere affidata allo sviluppo del movimento. E dall’altro una battaglia di fondo nel movimento contro le culture neoriformiste che oggi lo egemonizzano: culture certo diverse e spesso contraddittorie tra loro ma accomunate dalla pretesa di “un altro mondo possibile” entro l’attuale mondo capitalistico, la sua proprietà, il suo Stato, e non in alternativa ad essi. Naturalmente non si tratta di “disprezzare” queste culture, il cui spazio è direttamente proporzionale alla crisi congiunta delle politiche liberiste e della credibilità del socialismo. Né tantomeno si tratta di ignorare la capacità di suggestione che esse registrano presso la giovane generazione del movimento. Si tratta invece di mostrarne il carattere utopico e velleitario, riconducendo il prezioso sentimento antiliberista della giovane generazione ad una chiara prospettiva anticapitalistica: l’unica che possa offrire un futuro al movimento e difendere la sua stessa autonomia; l’unica che possa motivare la convergenza con la classe operaia e il mondo del lavoro, nella sua nuova composizione ed estensione, quale soggetto centrale della prospettiva rivoluzionaria.

4) I FATTI D’AMERICA: PER UNA MOBILITAZIONE ANTIMPERIALISTA CONTRO LA GUERRA
Lo sviluppo di un’egemonia anticapitalista nel movimento è peraltro decisiva, tanto più oggi, ai fini di un suo posizionamento autonomo nei confronti dell’imperialismo e delle sue politiche internazionali. Alle campagne sciovinistiche dei governi imperialisti tese a sfruttare gli atti terroristici per rilanciare le politiche militariste e rafforzare il proprio controllo sullo scenario mondiale a danno delle classi subalterne e dei popoli oppressi, occorre contrapporre, controcorrente, una linea coerentemente comunista. La solidarietà piena e senza riserve alle popolazioni civili colpite, la denuncia radicale del terrorismo (ed in particolare di un terrorismo reazionario panislamista più volte sostenuto dall’imperialismo stesso per i propri fini e contro i movimenti di liberazione nazionale) debbono combinarsi con la lotta inequivocabile all’imperialismo, ai suoi governi, alle sue istituzioni internazionali quali responsabili della barbarie mondiale. Se oggi il terrorismo islamico trova più di ieri centinaia di giovani suicidi lo si deve al cumulo di disperazione e sofferenza che l’imperialismo e il sionismo producono e riproducono nella nazione araba, a partire dall’oppressione antipalestinese. Ed oggi la popolazione civile dell’occidente è esposta più di ieri dai propri governi agli effetti di ritorno delle loro politiche di brigantaggio internazionale. Per questo la necessaria lotta al terrorismo non può né sfociare in un generico “pacifismo” al di sopra delle classi, né tantomeno trasformarsi nell’accodamento a un’indistinta solidarietà internazionale contro un “comune nemico” e nel nome di una “comune autodifesa”. Non possiamo e non dobbiamo riconoscere il “diritto” di ritorsione dell’imperialismo, fosse pure sotto la finzione giuridica del patrocinio dell’ONU, il cui ruolo di strumento dell’imperialismo si è ben rivelato nell’embargo genocida contro il popolo irakeno e nel sostegno alla guerra dei Balcani. Dobbiamo invece preparare le condizioni politiche della più ampia mobilitazione contro le annunciate imprese militari quale che sia il manto “legale” di cui si ricoprono. Peraltro solo una contrapposizione coerente all’imperialismo e alla sua ipocrita “legalità”, entro una prospettiva anticapitalista internazionale, può offrire un riferimento alternativo alla disperazione dei popoli oppressi e della loro gioventù, colpendo la credibilità delle suggestioni terroristiche e conquistandoli alla rivoluzione sociale: che è la condizione stessa di una pace stabile e giusta.
Per tutto questo il nostro partito, tanto più oggi, può e deve sviluppare nel movimento antiglobal e nei movimenti di massa un più alto livello di coscienza politica e di mobilitazione antimperialista. Centrale è porre in questo quadro –tanto più in presenza di un movimento internazionale di contestazione della globalizzazione capitalistica- la prospettiva della rifondazione di un’internazionale comunista sulle basi del recupero riattualizzato dei fondamenti programmatici del marxismo rivoluzionario.
5) NO AL “GOVERNO RIFORMATORE DELLA SINISTRA PLURALE”, PER L’ALTERNATIVA RIVOLUZIONARIA
Nell’ambito di un orientamento programmatico nuovo teso all’egemonia anticapitalistica nei movimenti il CPN respinge in particolare la prospettiva centrale che il testo proposto avanza sul terreno politico nazionale: la prospettiva per il dopo Berlusconi di un governo di “sinistra plurale” basato su un “programma riformatore” perseguito come sbocco della pressione di movimento.
Questa prospettiva riconferma innanzitutto il mancato bilancio dell’esperienza di “compromesso riformatore” con Romano Prodi realizzata per metà della precedente legislatura e approdato alla nostra corresponsabilizzazione a politiche liberiste controriformatrici che hanno segnato e segnano durevolmente i rapporti sociali in Italia (v. il “Pacchetto Treu”). Inoltre questa prospettiva rimuove l’intero bilancio delle attuali esperienze di governo di “sinistra plurale” nel mondo che, dalla Francia al Sudafrica, gestiscono politiche liberiste di flessibilità e privatizzazione in aperto conflitto con i movimenti di resistenza sociale delle classi subalterne. Per di più la prospettiva indicata si rivolge a un apparato DS che a larga maggioranza ha rotto con la stessa funzione e ruolo di socialdemocrazia in direzione di un liberalismo borghese, e quindi ripropone di fatto una forma nuova di centrosinistra. Finalizzare la nostra opposizione a questa prospettiva, fosse pure a scadenza non immediata, significherebbe condizionare in modo profondamente negativo tutta la nostra politica: da un lato significherebbe perpetuare la linea di governo col centrosinistra nelle giunte locali, a partire da regioni e grandi città che ci vedono corresponsabilizzati nella gestione delle politiche dominanti (v. ad esempio le scelte sulla Scuola presso il governo regionale dell’Emilia Romagna o le privatizzazioni nel Comune di Roma). Dall’altro significherebbe subordinare il movimento ad una prospettiva contraria alle sue ragioni, ad un’alternanza borghese nemica delle sue istanze.
E’ necessario capovolgere questa intera impostazione, traendo fino in fondo le lezioni dell’esperienza e orientando il partito in una direzione nuova. L’intera esperienza del Novecento ha confermato le ragioni della posizione originaria del marxismo rivoluzionario (cancellata dallo stalinismo alla metà degli anni Trenta) ostile alla partecipazione di governo dei comunisti. Gli stessi governi “riformatori”, sospinti da circostanze storiche particolari che ne favorirono la formazione (o prosperità economica capitalistica o processi di radicalizzazione di massa) non hanno mai rappresentato un passo transitorio verso l’alternativa anticapitalistica: all’opposto hanno costituito una barriera contro questa prospettiva, spesso aprendo il varco ad autentiche svolte reazionarie. Tanto più questo è vero nelle condizioni storiche attuali dove la profondità della crisi capitalistica erode alla radice gli spazi riformatori inducendo ogni governo, in ambito capitalistico, a gestire controriforme e restrizioni. Non a caso il tentativo che il nostro partito ha compiuto sia dal governo che dall’opposizione per spingere il centrosinistra e l’apparato DS a politiche riformatrici ha registrato, come i fatti dimostrano, un completo fallimento. Per questo occorre voltare pagina.
Lungi dal subordinare il movimento alla prospettiva di “contaminazione” dell’apparato DS e del centrosinistra il nostro partito deve costruire nel vivo del movimento e dei movimenti la cultura dell’autonomia delle proprie ragioni e dell’indipendenza di classe. Non si tratta di offrire al centrosinistra la contaminazione del movimento, ma di rivendicare nel movimento l’autonomia dal centrosinistra e la rottura con ogni espressione di centro liberale vecchio e nuovo fuori e contro ogni forma di bipolarismo borghese. Ciò non significa affatto ridurre il lavoro dei comunisti a una logica di opposizione come fine a sé, rimuovendo il tema dell’alternativa. Significa invece assumere come unica alternativa reale, l’alternativa di classe anticapitalistica: finalizzando l’opposizione intransigente ad ogni governo borghese e lo stesso lavoro di massa a questa prospettiva.

6) UNA RADICALE OPPOSIZIONE DI CLASSE, UN’AMPIA MOBILITAZIONE DI MASSA, PER LA CACCIATA DEL GOVERNO BERLUSCONI-BOSSI-FINI
Proprio l’assunzione di questa prospettiva strategica, estranea alla ricerca di una ricomposizione col centrosinistra, libera un’opposizione nuova allo stesso governo Berlusconi e reimposta l’intero lavoro dei comunisti nel movimento finalizzandolo alla lotta per l’egemonia.
Il governo Berlusconi si conferma, tanto più dopo i fatti di Genova, come un obiettivo pericolo reazionario. Il suo blocco sociale di riferimento comprende oggi la pressoché totalità dell’industria, ivi incluse le grandi famiglie del capitale, che rivendicano un’offensiva sociale radicale contro i lavoratori e le lavoratrici; mentre la Confcommercio interessata all’espansione dei consumi cerca di riequilibrare la pressione dell’industria in direzione della riduzione fiscale per l’impresa terziaria.
Il quadro governativo è segnato da una contraddizione vistosa tra tendenze liberiste (parte di FI e di AN) che assecondano le pressioni dell’industria e tendenze più attente a preservare il loro specifico zoccolo sociale di riferimento (Lega e parte di AN). Ma l’indirizzo generale del programma di governo prevede realmente un ulteriore e pesante elemento di sfondamento sociale che si sovrapporrebbe agli effetti già rilevanti della precedente legislatura di centrosinistra. Parallelamente sotto il profilo politico è indubbio il cavalcamento da parte di AN delle spinte reazionarie di apparati dello Stato, spinte già presenti e in questo senso autonome dal quadro politico, ma certo incoraggiate obiettivamente dall’esistenza stessa dell’attuale governo. Berlusconi lavora oggi a mediare le contraddizioni interne al suo blocco sociale e politico: non vuole la precipitazione immediata dello scontro perché ben consapevole dei rischi che può comportare per la stessa sorte del governo, a fronte della crisi di egemonia delle politiche liberiste e delle dinamiche di movimento in atto. Ma il consolidamento “pacifico” che oggi ricerca è finalizzato a realizzare domani, da una posizione più forte, il programma teatcheriano che il blocco industriale gli ha commissionato. E se il governo passa il guado della prima parte della legislatura può porre le condizioni di una stabilizzazione durevole dell’Esecutivo con le relative conseguenze sociali e politiche per il movimento operaio e i movimenti di massa.

Il nostro partito non può allora perseguire un’opposizione “ordinaria” verso questo governo ma deve assumere e proporre come obiettivo dell’opposizione di classe la cacciata del governo Berlusconi-Bossi-Fini: non come fine a sé ma come leva e funzione di un’alternativa di classe, nell’interesse generale del movimento operaio.
Il V Congresso del PRC deve rielaborare, in questo quadro, la linea di opposizione del partito. Non si tratta di cambiare la “routine” parlamentare di opposizione con l’incoraggiamento dei movimenti. Si tratta di lavorare ad una prospettiva di vera esplosione sociale concentrata contro il padronato e il governo delle destre, sviluppando in ogni movimento questa prospettiva: l’unica che può realmente scompaginare lo scenario politico italiano, cacciare Berlusconi, dischiudere il varco dell’alternativa di classe. La pura elencazione tradizionale degli obiettivi “dell’opposizione sociale e politica” rimuove il problema: il problema è avanzare nel lavoro di massa e di ogni specifica angolazione una piattaforma di azione unificante che punti all’unificazione del blocco alternativo entro uno scontro frontale con il padronato e il governo.
E’ la proposta di una vertenza generale attorno ai temi di un forte aumento salariale per tutto il lavoro dipendente, del salario minimo garantito intercategoriale, di un vero salario sociale ai disoccupati che cercano lavoro, dell’abolizione delle leggi di precarizzazione del lavoro (v. “Pacchetto Treu”) con l’assunzione a tempo indeterminato di tutti i lavoratori precari. Questa proposta di mobilitazione può e deve essere avanzata dal nostro partito in tutti i luoghi di lavoro, in tutte le organizzazioni sindacali, nel territorio, nello stesso movimento antiglobal: sostenendo le tendenze interne del movimento che già oggi spingono per un suo impegno diretto sul terreno sociale, a fianco dei lavoratori e delle lavoratrici. E’ proprio dalla ricomposizione unitaria di lotta della giovane generazione, dal versante operaio come dal versante antiglobal che può innescarsi la dinamica dell’esplosione sociale contro il governo delle destre e le classi dominanti. Ricondurre a questo sbocco tutto il lavoro di massa del partito, estendere il quadro delle rivendicazione ad ogni settore sociale colpito dalle politiche dominanti (v. Immigrazione e Scuola), collegare il quadro delle rivendicazioni immediate a un programma più generale di rottura con la proprietà capitalistica e lo Stato, sviluppare in ogni movimento la coscienza politica anticapitalistica, questo è l’impegno necessario dell’opposizione comunista per l’alternativa di classe.
E in questo ambito il nostro partito non può teorizzare un principio di “afasia” politica nei movimenti affidandosi  passivamente a orientamenti e scelte delle loro reazioni ma deve elaborare capacità di proposta, indicazione su scelte politiche piccole e grandi, in funzione della prospettiva anticapitalistica. La tematica delle forme di lotta, a partire dalla necessaria difesa del diritto di manifestare in piazza, contro ogni tentazione di ripiegamento; le questioni legate all’autodifesa di manifestazioni pacifiche e di massa contro le aggressioni violente da qualunque parte provengano. La tematica delle forme di organizzazione dei movimenti e del loro sviluppo democratico oggi centrale nel movimento antiglobal: sono terreni su cui il nostro partito non può tacere in nome di un blocco incondizionato con le direzioni egemoni dei movimenti. Ma deve avanzare proposte, certo dialettizzate con la sensibilità degli interlocutori e la concretezza dei problemi, ma sempre ispirate a un unico criterio di fondo: lo sviluppo della forza autonoma delle classi subalterne e dei movimenti di massa in direzione di un’alternativa di società e di potere.

7) PER LA DIFESA, COSTRUZIONE, RADICAMENTO DEL PARTITO COMUNISTA
CONTRO LA SUA DILUIZIONE NEI “LUOGHI DI MOVIMENTO”
Solo questo programma di alternativa anticapitalistica fonda la ragione politica organizzativa del partito nel suo rapporto con i movimenti e la lotta di classe. Un partito che si viva come pura rappresentanza istituzionale di domande sociali, in funzione di una prospettiva di governo riformatore in collaborazione con forze liberali, si priva di una funzione strategica indipendente e perciò mette a rischio, al di là di ogni intenzione, la ragione stessa della sua esistenza. Privo di uno specifico progetto anticapitalistica il partito smarrisce la ragione di una propria distinzione rispetto al movimento. E così l’invito dell’apertura al movimento, in sé importantissima, si trasforma in un rischio di dissoluzione nel movimento stesso, o di trasformazione delle proprie strutture in indistinti “luoghi di movimento”. Il risultato paradossale non è così il rafforzamento del partito nel movimento ma all’opposto un principio di dispersione delle forze, di loro indebolimento, di loro sradicamento: a tutto danno sia del partito che del movimento stesso, privato di un riferimento organizzato capace di indicazione e proposta.

La logica indicata dal testo proposto dalla Direzione nazionale va dunque esattamente  capovolta. Il partito ha sì l’esigenza prioritaria di partecipazione piena ai movimenti, senza riserve, senza separatezze e distacchi dottrinari e anzi con la massima concentrazione in essi delle proprie forze. Ma ne ha esigenza come partito cioè come specifico progetto collettivo anticapitalista e rivoluzionario: ciò che richiede una specifica strutturazione, specifici luoghi e strumenti che possano organizzare nei movimenti la battaglia collettiva per quel progetto. Ed anche il più ampio sviluppo della democrazia  interna del partito, condizione decisiva dell’elaborazione collettiva e della stessa formazione dei quadri. In questo senso la funzione d’avanguardia del partito non come imposizione burocratica, ma come progetto programmatico su cui sviluppare consenso, influenza, egemonia, è la condizione stessa del suo radicamento e rafforzamento organizzativo.

Il confronto non è dunque tra partitismo e movimentismo ma tra politica riformista e politica rivoluzionaria. Il V Congresso del PRC può segnare al riguardo una svolta profonda, ad un tempo programmatica, politica, organizzativa.

MARCO FERRANDO, IVANA AGLIETTI, VITO BISCEGLIE, ANNA CEPRANO, FRANCO GRISOLIA, LUIGI IZZO, MATTEO MALERBA,  FRANCESCO RICCI, MICHELE TERRA