Il CPN esprime la denuncia più netta della guerra annunciata
contro l'Irak e chiama da subito alla più vasta mobilitazione contro
di essa. Facciamo appello alla preparazione immediata di una grande manifestazione
nazionale contro la guerra, "senza se e senza ma", col più ampio
concorso unitario di tutte le forze disponibili. All'interno del più
vasto fronte unitario su questa discriminante inequivoca, il partito impegna
tutte le proprie forze in una forte caratterizzazione antimperialista e
anticapitalistica della propria campagna contro la guerra. Respinge come
falsa e mistificatrice ogni rappresentazione della guerra come effetto
della "spirale guerra-terrorismo". Denuncia invece apertamente le ragioni
coloniali dell'imperialismo americano, le finalità geostrategiche
dell'occupazione militare in Medio Oriente, i caratteri dello stesso imperialismo
europeo e italiano. In particolare denuncia il ruolo dell'ONU, che si conferma
più che mai copertura diplomatica e luogo di mediazione e ricomposizione
dei diversi interessi imperialistici e oggi della politica di guerra sotto
l'egemonia angloamericana. Superando defintivamente ogni illusione nella
"riforma" dell'ONU -già responsabile del genocidio anti-irakeno-
come strumento di pace.
Questa campagna contro la guerra va a sua volta investita nella più
ampia opposizione sociale e politica contro il governo Berlusconi.
La situazione politica italiana registra l'acuirsi delle difficoltà
del governo e l'ampliarsi delle potenzialità dell'opposizione di
massa. Lo stesso successo della manifestazione del 14 settembre ne è
una registrazione.
La crisi capitalistica internazionale e le compatibilità della
costruzione imperialistica europea hanno spinto il governo delle destre
a un netto appesantimento dell'offensiva antioperaia e antipopolare su
lavoro, sanità, scuola, pensioni, contratti; nel mentre si accentua
la preoccupazione per il carovita in ampi strati popolari. Parallelamente,
quanto più si sviluppa l'offensiva sociale tanto più si rafforzano
i tratti reazionari del governo in direzione dell'attacco alla magistratura,
dell'occupazione dell'informazione, di una legislazione personalistica
e di clan.
La combinazione dei due fattori genera per la prima volta, a un anno
dal suo insediamento, un disincanto pubblico verso il governo di settori
reali della sua base popolare, sia nel lavoro dipendente, sia in settori
di masse povere del Sud. Ciò che si somma ad una nuova radicalizzazione
del sentimento politico antigovernativo nel popolo della sinistra e, in
particolare, nella classe operaia politicamente e sindacalmente attiva.
La tensione sociale e politica governativa avrà probabilmente nuovo
alimento con le scadenze di mobilitazione dell'autunno, a partire dallo
sciopero generale e dai contratti. E tende a saldarsi con una diffusa sensibilizzazione
democratica antiberlusconiana in settori intellettuali. A sua volta
l'annunciata partecipazione italiana alla guerra imperialistica contro
l'Irak potrà contribuire a rafforzare il fronte di opposizione al
governo favorendo nuovi elementi di radicalità.
Complessivamente si accumula un potenziale dirompente per lo sviluppo
concentrato di una radicalizzazione di massa a larga base popolare.
Il centro borghese dell'Ulivo, a partire dalla Margherita ma con vaste
ramificazioni nella maggioranza Ds, è impegnato con tutte le proprie
forze a disinnescare la miccia dell'esplosione sociale. La sua unica preoccupazione
è di preparare l'alternanza liberale per il 2006: da qui il tentativo
di incunearsi in ogni contraddizione tra Berlusconi e grande impresa per
guadagnare il favore di quest'ultima (sostegno al patto di stabilità,
opposizione al blocco delle tariffe, ecc.). Da qui anche la volontà
di confinare l'opposizione politica al governo su un terreno essenzialmente
democratico e istituzionale.
Sergio Cofferati dal canto suo mira ad appoggiarsi all'eredità
Cgil e al suo controllo sul movimento operaio per puntare a un accordo
col centro borghese di Romano Prodi, aggirando i Ds e gli stati maggiori
dell'Ulivo. Dopo aver privato per un anno la classe operaia di una piattaforma
di lotta e aver compresso le sue potenzialità con scioperi
grandiosi ma sostanzialmente di immagine, centellinanti ogni tre mesi,
Cofferati e la burocrazia Cgil puntano a subordinare il movimento operaio
a un centrosinistra rifondato ("grande Ulivo") a braccetto con i difensori
dell'Europa del capitale e dei sacrifici operai.
Il nostro partito può e deve contrastare apertamente questi
disegni politici nella classe operaia e nei movimenti di massa. Ma può
farlo solo assumendo un orientamento politico nuovo e una nuova prospettiva.
Per un anno in nome del rifiuto di una battaglia di egemonia abbiamo
combinato una esaltazione acritica del movimento noglobal e delle sue direzioni
e una subordinazione a Cofferati nel movimento di classe. Dopo un anno
il movimento noglobal appare vivo ma pesantemente ridimensionato e in crisi
di orientamento perché spiazzato da una centralità della
lotta di classe che le sue direzioni rifiutavano di riconoscere. E Cofferati
e la burocrazia Cgil hanno usato e usano l'accresciuta e incontrastata
egemonia sulla classe per rinegoziare coi liberali un accordo di centrosinistra
contro i lavoratori.
La rinuncia a una nostra battaglia di egemonia in nome dei movimenti,
ha di fatto rafforzato altre egemonie contro i movimenti. La linea varata
al congresso è stata smentita dall'esperienza.
E' necessaria una svolta politica del nostro partito che proprio le
nuove potenzialità dell'opposizione di massa rendono non solo necessaria
ma urgente. Alla linea borghese liberale dell'Ulivo, così come all'operazione
di Cofferati va opposta nel vivo delle lotte una linea coerentemente anticapitalistica,
che lotti per l'egemonia anticapitalista nella classe operaia e per l'egemonia
della classe operaia sull'insieme dell'opposizione popolare e democratica
a Berlusconi e su ogni movimento popolare a carattere progressivo.
In questo quadro il CPN ridefinisce gli assi di fondo dell'azione politica
del partito:
1) E' necessario che il partito avanzi una proposta di piattaforma
di lotta unificante contro il governo e il padronato, che non si limiti
all'ambito strettamente sindacale ma abbracci l'insieme delle preoccupazioni
popolari. La difesa ed estensione dell'articolo 18, con la relativa iniziativa
referendaria, rappresenta l'obiettivo centrale. Ma va collegato a una piattaforma
di mobilitazione complessiva su cui impegnare l'insieme del partito, in
tutti i sindacati, in tutti i movimenti, in tutte le pieghe della protesta
sociale e popolare:
- Giù le mani da sanità, scuola, pensioni: per una diretta
azione di massa che ovunque blocchi chiusure di scuole ed ospedali.
- Aumento salariale di 200 Euro per tutti i lavoratori del settore
pubblico e privato: perché l'intero lavoro dipendente invada il
campo dei prossimi contratti con una rivendicazione unificante e di svolta.
- Controllo diretto sui prezzi da parte dei lavoratori e consumatori,
abolizione del segreto commerciale, nazionalizzazione senza indennizzo
e sotto controllo dei lavoratori delle compagnie di assicurazione: per
stroncare speculazioni odiose ai danni di vasti strati popolari.
- Difesa ed estensione dell'art. 18 a tutti i lavoratori e le lavoratrici,
assunzione a tempo indeterminato di tutti i lavoratori precari, abolizione
del "pacchetto Treu", salario garantito ai disoccupati: per chiudere la
piaga del supersfruttamento e dell'emarginazione sociale, ricompore l'unità
tra lavoratori e tra lavoratori e disoccupati.
- Abolizione della legge razzista Bossi-Fini: a partire da una resistenza
organizzata alla sua applicazione, con la tutela sindacale e organizzazione
di massa dei lavoratori immigrati, contro le espulsioni e per la parità
dei diritti.
- Non un uomo, non un soldo per la guerra coloniale.
2) E' necessario che il PRC avanzi e argomenti a livello di massa la
proposta dello sciopero generale prolungato sino alla sconfitta di Berlusconi.
Non va intesa semplicemente come una lotta sindacale più radicale.
Ma come un'azione di massa continuativa, basata in primo luogo sulla classe
operaia, capace di unificare attorno a sé tutte le ragioni dell'opposizione
al governo. Un'azione di massa ad oltranza che, superando il carattere
puramente dimostrativo e simbolico della protesta, miri a bloccare l'Italia
e a piegare Berlusconi, coinvolgendo e trascinando in forma attiva i più
vasti strati popolari, la loro iniziativa, le loro forme di lotta. E' l'unica
traduzione positiva del concetto di "sciopero generalizzato": che altrimenti
si risolve in azioni minoritarie d'immagine a latere di scioperi simbolici
ordinari. E soprattutto è l'unica soluzione capace di valorizzare
sino in fondo la forza reale delle masse e la sua enorme potenzialità.
3) E' necessario che il PRC avanzi la parola d'ordine politica della
cacciata del governo Berlusconi, "governo di rapina, di malavita, di guerra",
per aprire la via ad una alternativa dei lavoratori. E' una parola d'ordine
conforme alla gravità della situazione politica, al carattere reazionario
del governo, alle potenzialità dell'opposizione di massa. Ma soprattutto
è una parola d'ordine che risponde a un vasto sentimento unitario
in contraddizione con la linea delle sue direzioni tutte proiettate, in
forme diverse, verso l'alternanza liberale del 2006. Il nostro partito
deve porsi all'avanguardia della lotta contro il governo, costruire per
questa via la più larga sintonia col sentimento di massa di milioni
di lavoratori e lavoratrici, e quindi favorire il più largo ascolto
delle proprie parole d'ordine più complessive sul terreno dell'alternativa
anticapitalista: l'unica reale risposta alla crisi sociale, alle involuzioni
reazionarie, alle politiche di guerra.
4) E' necessario che il PRC faccia appello su queste basi all'unità
d'azione di tutte le tendenze politiche e sindacali dell'opposizione al
governo e dei movimenti di massa. Ma l'unità d'azione per cacciare
Berlusconi, su una piattaforma di rivendicazioni popolari e di classe e
sulla base di una mobilitazione ad oltranza implica la più completa
autonomia dal centro liberale. Convergenze occasionali contro Berlusconi
sul terreno parlamentare non possono trasformarsi in nessun caso, in nessuna
forma, né oggi né domani, in un patto politico e programmatico
tra il movimento operaio e il centro borghese liberale. La lotta contro
il centro liberale e la sua pretesa di subordinare i movimenti all'alternanza
borghese del 2006 è il senso stesso della battaglia di egemonia
del PRC nella classe operaia e nei movimenti di massa. La proposta della
rottura col centro liberale può e deve sfidare apertamente, in particolare,
Sergio Cofferati e la direzione della Cgil, col preciso fine di svelarne
il ruolo subalterno, sindacale e politico.