ODG CONCLUSIVO PER IL V CONGRESSO NAZIONALE DEL PRC
Rimini, 7 aprile 2002


ll V Congresso nazionale del Prc riconosce la necessità di un cambiamento di impostazione strategica della sua politica, a partire da un bilancio di linea relativo ai suoi primi dieci anni di esistenza, confermato del resto dai più significativi avvenimenti dell’ultimo periodo, avvenimenti che costituiscono la dimostrazione materiale dell’attualità di un approccio classista e rivoluzionario e di quanto l’unica vera utopia sia la riformabilità del capitalismo.

In particolare:

 - i drammatici avvenimenti della Palestina rappresentano il fallimento di una politica che indica in un’ipotesi genericamente pacifista e riformista lo strumento per realizzare l’autodeterminazione del popolo palestinese. Gli accordi di Oslo del ’93, salutati dal nostro stesso partito come una «vittoria storica del popolo palestinese», l’appello ad un intervento risolutivo di organizzazioni imperialistiche o controllate dal-l’imperialismo come l’Ue e l’Onu hanno di fatto disarmato il popolo palestinese di fronte al sionismo lasciando oltretutto ampio spazio allo sviluppo del fondamentalismo islamico.
A ciò il Congresso del Prc risponde con un appello alla solidarietà e al sostegno dell’autodeterminazione palestinese rivolto alle masse arabe e ai settori più avanzati del proletariato israeliano e ai lavoratori dei paesi occidentali, a partire da quelli italiani e con iniziative concrete per realizzare questa solidarietà sul piano politico e materiale, costruendo la consapevolezza che la vera soluzione della questione palestinese potrà realizzarsi solo dentro una prospettiva generale antimperialista e socialista;

 - allo stesso modo l’esperienza argentina indica come proprio il tentativo di sgomberare il campo da illusioni frontiste e neo-riformiste può innescare un processo di progressiva coscientizzazione di massa e liberare una dirompente forza popolare rivoluzionaria, come quella nata in quel paese sulla base dell’alleanza tra lavoratori e classe media ed esplosa lo scorso dicembre, una forza che, dopo aver rovesciato ben due governi, chiede oggi con forza l’unica soluzione plausibile per la crisi argentina: che paghi chi di questa crisi è stato artefice, le banche, le multinazionali, i governi al soldo del Fmi, in altre parole il capitalismo internazionale.
Il Prc oltre che organizzare la solidarietà politica e materiale col popolo argentino, trae anche due preziose indicazioni da questa esperienza: 1) la costruzione del movimento è certamente un obiettivo imprescindibile, ma senza un partito rivoluzionario dotato di un programma organicamente anticapitalista e radicato nella società e in particolare nel mondo del lavoro esso è destinato alla sconfitta o alla cooptazione e allo svuotamento da parte dei suoi stessi avversari; 2) è necessario e possibile avanzare al movimento una proposta politica coerente con tale programma che individui nei lavoratori la classe potenzialmente capace di attrarre altri settori sociali in un processo di transizione rivoluzionaria e nel partito chi indica ai lavoratori stessi la necessità di costruire questa loro egemonia;

- l’analisi della situazione internazionale e il manifestarsi di lotte e di istanze anticapitalistiche in tutto il mondo sottolineano la necessità di ricostruire una nuova internazionale comunista rivoluzionaria a partire da un bilancio della tragica esperienza dello stalinismo e più in generale il fallimento del riformismo. Il Prc riconosce questa necessità e si attiva pertanto per avviare questo processo di ricostruzione;

- per quanto riguarda il quadro politico nazionale la rivitalizzazione del centrosinistra e in particolare dei Ds, manifestarsi nell’enorme capacità di mobilitazione espressa dalla Cgil il 23 marzo, nel fenomeno dei girotondi, nell’abile tentativo di cooptazione nel movimento noglobal realizzatosi dal recente Forum di Porto Alegre in poi, non possono essere letti in modo confuso e impressionistico. Non si tratta di uno spostamento a sinistra dell’Ulivo. Qui si esprimono piuttosto da una parte la sfida concorrenziale del centro borghese e liberale dell’Ulivo a Berlusconi sul terreno della rappresentanza politica degli interessi materiali borghesi nel paese, dall’altra il tentativo dei settori social-democratici, che controllano e dirigono ampi settori di lavoratori, di subordinare la difesa di questi ultimi ad un accordo con quello stesso centro borghese e liberale, cavalcando un processo di radicalizzazione di massa. Per questo la recente proposta di “unità d’azione” col centrosinistra riproposta dal segretario del partito non trova spiegazione che all’interno di una logica di ricomposizione col centrosinistra in vista del 2006, che smentisce radicalmente l’annunciata “svolta a sinistra” e non coglie le potenzialità offerte in questa fase dalla parola d’ordine della “rottura col centro”, tanto più importante dopo che, il 23 marzo, si è manifestata una disponibilità dei lavoratori e del popolo di sinistra a una mobilitazione antigovernativa superiore persino a quella del ’94, smentendo tra l’altro chi teorizzava una perdita di centralità del movimento operaio a favore del cosiddetto “movimento dei movimenti”.

Il Congresso nazionale del Prc respinge qualsiasi tentativo di riporre un’ipotesi di “condizionamento a sinistra” del quadro politico e del centro-sinistra in particolare, giocata sul duplice terreno dell’intervento nelle istituzioni e nel movimento e di eludere una discussione seria su ciò che questo tipo di impostazione ha prodotto in dieci anni di rifondazione comunista.

Al contrario il Prc rilancia la costruzione di un intervento marxista rivoluzionario nel paese a partire da un appello rivolto a tutte le organizzazioni politiche e sindacali del movimento operaio per la realizzazione di un fronte unico con l’obiettivo della cacciata del governo Berlusconi per realizzare l’alternativa dei lavoratori, obiettivo che non potrà essere perseguito come fu fatto nel ’94 sospendendo il giudizio sulle direzioni riformiste di quella mobilitazione, né puntando a una sostituzione di potere tutta interna alla logica dell’alternanza borghese, rinunciando in tal modo a esprimere un punto di vista e una posizione indipendente dei lavoratori e delle classi subalterne.