di Marco Ferrando
Fatti di grande rilevanza suggeriscono un breve aggiornamento di analisi e proposta, utile per la stessa battaglia congressuale.
La prospettiva dello sciopero generale in particolare ripropone in forma viva e diretta il tema del rapporto partito-movimento.
a) La conduzione unitaria del Congresso nazionale CGIL –con l’importante eccezione del voto contrario del nostro compagno Bruno Manganaro- va assunta apertamente come ennesima riprova dell’incapacità del gruppo dirigente del PRC di orientare su basi alternative la battaglia nel sindacato e tra i lavoratori. La storia si ripete. Nel ’94, di fronte allo sviluppo del movimento di massa anti-Berlusconi, Bertinotti teorizzò la “sospensione della critica” verso la burocrazia CGIL, la quale, con l’avallo del PRC, finì con lo stroncare il movimento (vedi l’accordo con Berlusconi del 1 dicembre ’94) preparando la strada al centrosinistra. Oggi è stata sufficiente la parola magica dello “sciopero generale” per arrivare a plaudere un vertice CGIL che continua a rivendicare il recupero della concertazione (e ovunque possibile a praticarla come dimostrano i gravi accordi sindacali di queste settimane su Edili, Chimici, pubblico impiego). In entrambi i casi è scattato il riflesso condizionato dell’adattamento alle direzioni burocratiche del movimento e la rinuncia alla battaglia decisiva dell’egemonia alternativa.
b) L’incapacità di una reale battaglia in CGIL (e in Lavoro e
Società) si combina con l’assenza di una proposta reale di indirizzo
al (e nel) movimento di classe. L’ultima riunione della Direzione nazionale
del PRC è stata al riguardo emblematica. Di fronte alla prospettiva
di uno scontro sociale cruciale sull’articolo 18, alla crisi profonda dello
stato maggiore dell’Ulivo e dei DS, a un contesto politico radicalizzato
e ricco di nuove potenzialità, il gruppo dirigente del partito invece
che sviluppare una battaglia di egemonia sulle più larghe masse
appare unicamente preoccupato delle propria visibilità e del proprio
“spazio negoziale”.
- Non avanza alcuna Reale proposta di piattaforma per l’azione del
movimento di lotta su cui concentrare l’intervento di massa del partito;
- dispone un piano di iniziative d’immagine del partito sul puro terreno
istituzionale e di campagna d’opinione (proposte di legge, referendum,
banchetti per la Tobin Tax...);
- rilancia le intese politico-elettorali di governo col centrosinistra
(ma non era... “morto”?) in vista delle elezioni amministrative (con lo
sventolio del “bilancio partecipativo”).
E’ la riprova che il cosiddetto “movimentismo” copre in realtà
l’abbandono dei movimenti alle loro attuali direzioni (quindi a una prospettiva
di sconfitta) o il loro utilizzo contrattuale per soluzioni borghesi di
governo contrarie alle ragioni dei movimenti stessi.
c) Abbiamo dunque la necessità e l’opportunità di articolare nel concreto dello scontro attuale la nostra proposta alternativa. Che può essere impostata sugli assi seguenti:
1) Pieno inserimento nella preparazione e costruzione della manifestazione del 23 marzo e dello sciopero generale, per la loro obiettiva rilevanza nello sviluppo dello scontro di classe in Italia. Qualsiasi eventuale riserva apparentemente “di sinistra” (“non vado perché è Cofferati che guida”, oppure “lo sciopero generale c’è già stato il 15 febbraio, dove era Cofferati?”) va apertamente contrastata sul piano politico, perché rifugge dalla battaglia per l’egemonia tra le masse (a tutto vantaggio della burocrazia CGIL).
2) Chiarificazione sul ruolo della burocrazia CGIL: che prima ha boicottato lo sciopero generale (isolamento dei metalmeccanici, “sciopericchio”, accordo sul pubblico impiego alla vigilia del 15 febbraio) e poi lo assume come leva di pressione per riconquistare in prospettiva il tavolo della concertazione (vedi l’assenza di ogni piattaforma rivendicativa di svolta). Da qui l’esigenza di fare emergere nel movimento di lotta un punto di riferimento alternativo di direzione, capace di dare continuità e prospettiva alla mobilitazione contro ogni logica compromissoria (presente o futura).
3) Avanzamento di una proposta di piattaforma che aggiorni ed estenda
la nostra indicazione di “vertenza generale”:
*** ritiro di tutte le deleghe governative, a partire da quella sull’art.
18;
*** estensione a tutti i lavoratori dell’art. 18;
*** soppressione della legge Bossi-Fini sull’immigrazione;
*** ritiro della “riforma Moratti” sulla scuola e abolizione dei ticket
sanitari;
*** aumento salariale per tutti i lavoratori (ad es. di 200 euro);
*** assunzione a tempo indeterminato di tutti i lavoratori precari
e abolizione del “pacchetto Treu” e di tutte le leggi “precarizzanti”;
*** salario minimo intercategoriale e salario garantito ai disoccupati
(vedi nostro testo congressuale);
*** riduzione a 35 ore dell’orario settimanale, senza contropartite
fiscali o di flessibilità.
Si tratta in altri termini di avanzare una proposta di piattaforma
che risponda sia all’esigenza della più vasta ricomposizione del
blocco sociale alternativo, sia all’esigenza di dare prospettiva di continuità
allo sciopero generale. Nella consapevolezza che non sarà uno sciopero
generale di 8 ore in quanto tale a sconfiggere il governo Berlusconi e
a bloccare l’attacco all’articolo 18.
4) Avanzamento di una proposta sulle forme di lotta che sia all’altezza
dello scontro in atto.
La parola d’ordine che possiamo assumere è quella di “sciopero
generale prolungato sino al ritiro di tutte le deleghe”. Non significa
necessariamente “sciopero generale ad oltranza” (che pure rappresenterebbe
la dinamica ottimale e che l’esempio francese del ’95 mostra possibile).
Significa in ogni caso la continuità della mobilitazione, oltre
lo sciopero, attraverso l’estensione della radicalità della lotta:
blocco delle merci, picchetti, occupazioni... Si tratta insomma di affermare
un concetto di fondo: solo un’esplosione sociale radicale e concentrata
può realmente sconfiggere il governo e difendere lo stesso Statuto
dei lavoratori. Peraltro la lotta esemplare dei lavoratori delle pulizie
nelle ferrovie ha dimostrato nel suo piccolo le potenzialità della
forza di massa e la sua capacità di ottenere risultati.
5) Riaffermazione della cacciata del governo Berlusconi-Bossi-Fini (per un’alternativa dei lavoratori) quale obiettivo politico da introdurre apertamente nella mobilitazione di massa. E’ una parola d’ordine che tanto più oggi può trovare un’aperta sintonia con i processi di radicalizzazione in atto e con l’obiettivo inasprimento, da più versanti, della tensione politica antigovernativa (v. Palavobis). Solo un movimento operaio capace di porsi e di apparire come il soggetto centrale della contrapposizione politica al governo e della sua possibile cacciata può ricomporre attorno a sé quelle domande di “democrazia” e di “vera opposizione” che oggi si esprimono in vasti settori di classe media e di “popolo della sinistra”: conquistandole ad un’egemonia di classe e sottraendole a direzioni populiste-corporative e/o borghesi.
6) Rilancio da un versante di classe del tema dell’unità contro
il governo.
La domanda spontanea di unità contro il governo che sale (e
salirà) con lo sviluppo del movimento di lotta non può essere
né ignorata né respinta. Tantomeno si può lasciarla
all’uso strumentale che Ulivo e DS ne fanno contro il PRC. Al contrario:
quella domanda va assunta e tradotta in una logica di classe, in alternativa
ad ogni logica di ricomposizione di schieramento con l’Ulivo. Dobbiamo
proporre che sia il PRC a prendere la testa dell’opposizione politica a
Berlusconi promuovendo una campagna d’unità d’azione per la sua
cacciata: una campagna rivolta a tutte le tendenze del movimento operaio
(sinistra interna dei DS, CGIL, sindacalismo extraconfederale) e a tutte
le realtà progressive di movimento (movimento antiglobal, movimento
degli studenti, associazionismo democratico), combinata con la proposta
di una piattaforma di classe quale baricentro di una comune lotta ad oltranza.
Nel quadro di questa campagna unitaria il PRC deve porre la rivendicazione
della “rottura col Centro borghese”: dicendo che la più vasta unità
di lotta per la cacciata del governo attorno a obiettivi di classe unificanti
è incompatibile con la Margherita di Rutelli e Treu (che apertamente
si dissociano dello sciopero generale CGIL e sospingono la trattativa sull’art.
18); così come è incompatibile con l’apparato dalemiano dei
DS, con le sue fondazioni borghesi (finanziate da Pirelli e... Monsanto)
con i suoi “inciuci” con Berlusconi.
Solo così la parola d’ordine dell’unità può diventare
un cuneo nelle contraddizioni dell’Ulivo e dei DS; una forma di interlocuzione
verso l’aperta contestazione dei vertici ulivisti da parte di un vasto
settore del popolo della sinistra; un possibile fattore di rafforzamento
dell’influenza politica dei comunisti tra le masse a scapito sia dell’Ulivo
sia delle stesse tendenze socialdemocratiche della sinistra DS e della
CGIL (che vanno incalzate nelle loro insuperabili contraddizioni). E’ un
modo di articolare la battaglia per una direzione politica alternativa
del movimento operaio: che resta la questione decisiva per il futuro del
movimento (e dei movimenti).
In conclusione. Abbiamo la possibilità di spiegare nel concreto che il confronto vero nel partito non è tra chi sostiene una linea “più aperta e concreta” e chi invece propone l’arroccamento “settario e ideologico”. Ma tra un gruppo dirigente riformista che cerca nei movimenti una propria rendita di posizione per i negoziati col centrosinistra (e che per questo rimuove ogni battaglia di egemonia tra le masse); e chi invece propone una linea rivolta alla conquista delle masse per un prospettiva rivoluzionaria (e che per questo articola proposte, tattica, linea d’intervento nei movimenti attorno alla concetto di polo autonomo di classe, contro il centrosinistra).
4 marzo 2002