NOTA SULLA SITUAZIONE POLITICA ITALIANA E I NOSTRI COMPITI

 di Marco Ferrando

 
L’apertura d’autunno e la manifestazione del 14 settembre sono un’occasione utile di aggiornamento e puntualizzazione della nostra analisi e del nostro intervento politico.

 1) La situazione politica italiana registra un fatto nuovo: un netto aggiornamento delle difficoltà del governo Berlusconi nel rapporto con settori importanti della sua stessa base popolare. L’acuirsi della crisi capitalistica internazionale e il quadro del patto di stabilità costringono il governo a un salto della propria offensiva sociale (sanità, scuola, pensioni, contratti) proprio nel momento di massimo disincanto popolare verso la sua politica e il suo profilo d’immagine. A un anno di distanza dall’insediamento del governo ampie fasce popolari che gli avevano votato fiducia o che si erano posti in una posizione di attesa neutrale vedono smentite le proprie illusioni (“nulla è cambiato per noi ed anzi avanzano carovita, precarietà, nuovi tagli mentre Berlusconi sembra curare solo i propri interessi personali e giudiziari”). Da versanti diversi sia lo scontro tra Berlusconi e Confcommercio, sia le nuove contraddizioni tra Berlusconi e Cisl-Uil –in parte “recitate” e in parte reali- contribuiscono ad amplificare il disincanto pubblico e la critica al governo in nuovi settori. Disincanto e critica che si sovrappongono a quella radicale ostilità politica verso Berlusconi da parte del popolo della sinistra e della masse politicamente attive della classe operaia (un’ostilità che oggi a sua volta è acuita dal congiungersi di preoccupazioni sociali -a partire dall’art. 18- e democratiche -giustizia, informazione, immigrazione...).

 La massa critica dell’insoddisfazione, dunque, aumenta. E con essa affiorano a macchia di leopardo fenomeni di tensione sociale e azione diretta contro misure governative nazionali o locali: la contestazione di Fitto in Puglia contro la chiusura di ospedali e soprattutto l’effetto di contagio di questo episodio in diverse località della regione (ma anche in Piemonte) sono il segno, con tutti i loro limiti, di nuove potenzialità. Parallelamente, il grande richiamo di partecipazione alla manifestazione del 14 settembre, ben oltre il perimetro organizzativo e culturale del girotondismo, registra la crescita dell’opposizione di massa al governo e della domanda politica di opposizione. In questo contesto l’annunciato sciopero generale da parte della Cgil –che pur rientra in quella pratica di scioperi simbolici, inefficaci che conosciamo- può contribuire, suo malgrado, a dare nuova eco all’insoddisfazione di massa e a dilatarla. Lo stesso dicasi, a maggior ragione, per l’apertura imminente della stagione contrattuale, dai metalmeccanici alla scuola, a vasti settori del pubblico impiego, che investirà quasi il 50% del lavoro dipendente e che registra, a fronte del carovita e dei sacrifici subiti, una domanda salariale molto forte e concentrata: in contrapposizione frontale alle disponibilità di governo e Confindustria, ma anche in contraddizione con la pratica concertativa delle burocrazie sindacali. In una parola: crescono le potenzialità di un’esplosione sociale in Italia. Non è una previsione, ciò che sarebbe del tutto azzardato, ma la precisa individuazione di una potenzialità. In mancanza di una proposta centrale di sfondamento e di una direzione politico-sindacale corrispondente è possibile che quella potenzialità imploda: come tante volte è avvenuto. Ma a sua volta non è detto che questa implosione significhi un riflusso verticale delle masse. L’ipotesi più probabile è che siamo all’inizio di una nuova fase di instabilità sociale in Italia (e non solo) segnata dal saliscendi di radicalizzazioni e indietreggiamenti, con ritmi diversi e su terreni diversi (sindacale, politico, giovanile, democratico, ecc.). L’essenziale è determinare in questo quadro la nostra linea d’azione e di proposta, a fronte delle diverse linee politiche e di classe oggi esistenti sul campo.

 2) Il centro liberale dell’Ulivo sviluppa una propria linea di “egemonia” sull’insoddisfazione montante: che è quella di subordinarla ad un’opposizione parlamentare e istituzionale tutta concentrata su motivazioni “democratiche”. La critica liberale al populismo di Berlusconi in nome dell’elogio del mercato si combina con l’aperta diffidenza verso i movimenti e “la piazza” cui pure il centro è costretto talora ad accodarsi. La preoccupazione essenziale è, in ogni caso, quella di mostrare alla grande borghesia il profilo rispettabile (e per lei vantaggioso) di un’alternanza liberale per il 2006.

Sergio Cofferati lavora a costruire l’egemonia di un proprio disegno apertamente concorrenziale con quello dei vertici ulivisti: subordinare le dinamiche di movimento, a partire dal conflitto operaio, alla prospettiva di blocco con l’ala prodiana della Margherita, cui affidare per il 2006 la leadership del centrosinistra. E’ un’operazione che bypassa i DS, la Margherita, le loro contraddizioni interne per rivolgersi direttamente agli uomini di Prodi portando in dote sia il legame ereditario con la Cgil (quindi il controllo burocratico sul movimento operaio), e sia i nuovi rapporti in costruzione con ambienti girotondini e noglobal. Il segno di classe dell’operazione è “socialdemocratica” dal punto di vista delle basi materiali su cui si appoggia ma senza la costruzione del “partito socialdemocratico”: ed anzi l’obiettivo finale del Grande Ulivo sotto un’unica direzione e rappresentanza –nei termini raffigurati da Cofferati- sembra ipotizzare il superamento della stessa rappresentanza socialdemocratica del movimento operaio in direzione di un soggetto “democratico” borghese (si tratta di un aggiornamento importante della nostra analisi del cofferatismo).

La direzione del PRC è totalmente fuori dalla battaglia di egemonia politica sulle grandi masse. Non solo non oppone una linea di egemonia anticapitalistica ai disegni egemonici della borghesia liberale o di Cofferati, ma è priva di qualsiasi ipotesi di egemonia alternativa. Da un lato gioca a difendere una rappresentanza politica di nicchia del movimento noglobal, dall’altro mira a valorizzare, sul piano d’immagine, l’iniziativa referendaria sull’art. 18: in entrambi i casi per accumulare una massa critica contrattuale da spendere verso il centrosinistra (e da proteggere dall’insidia concorrenziale di Cofferati). Così paradossalmente ogni nuovo movimento di massa che si produce viene visto e vissuto non come terreno di lotta per l’egemonia alternativa ma come minaccia alla propria rendita di posizione e d’immagine: e quindi o ci si allinea alle sue direzioni e all’immagine vincente dei suoi leader, come è stato ed è nel movimento sindacale (con l’obiettivo di minimizzare il danno, in realtà aggravandolo) o lo si critica in qualche modo dall’esterno e dall’alto perché “insensibile alle ragioni noblogal o all’estensione dell’art. 18” (vedi l’atteggiamento verso la base di massa “girotondina”). Più in generale, in questa logica, la stessa dimensione politica dell’opposizione di massa a Berlusconi non solo non è assunta come terreno positivo e centrale di battaglia radicale per l’egemonia ma è considerata in definitiva terreno sfavorevole perché penalizzante per il proprio spazio d’immagine e negoziale. Ne consegue un’opposizione a Berlusconi del tutto ordinaria e di seconda linea, sino al punto di proporre propagandisticamente al governo reazionario una politica economica alternativa neokeynesiana (“blocca le tariffe per un anno”, “sviluppa investimenti pubblici”, ecc.).

In conclusione: più si accumula il potenziale di esplosione di massa contro il governo e più si estendono e si moltiplicano le ragioni di rivolta, più emergono tutti gli aspetti angusti sindacalistico-istituzionali del riformismo bertinottiano.

 3) La nostra proposta di linea e, nei limiti delle possibilità, la nostra pratica di massa, debbono assumere tanto più oggi come asse centrale quella concezione leninista dell’egemonia proletaria anticapitalistica che è alla base del documento congressuale di Progetto comunista.

Contro l’egemonia borghese del centro liberale, in alternativa all’egemonia “socialdemocratica” della burocrazia Cgil e di Sergio Cofferati del tutto interna e subalterna al centrosinistra, si tratta di rivendicare e costruire la funzione anticapitalistica della classe operaia come direzione del più vasto fronte di massa, del più esteso blocco alternativo.

Per i marxisti rivoluzionari, come sappiamo, la centralità della classe operaia e della lotta di classe rispetto ad altri movimenti popolari non va mai pensata come separazione, disinteresse, distacco verso ragioni e istanze di questi movimenti (magari in nome dei loro limiti e contraddizioni) in una logica di ripiegamento sindacalistico. All’opposto: centralità della classe operaia e della lotta di classe significa lottare per affermare il punto di vista di classe in tutti i movimenti popolari a carattere progressivo, dare traduzione di classe alle loro ragioni, sviluppare la loro coscienza politica, aiutare la radicalizzazione della loro dinamica di lotta, lottare su questa base contro le loro direzioni borghesi liberali o socialdemocratiche o populiste, o piccolo borghesi, per ricomporli attorno a una egemonia proletaria anticapitalistica.

 Questo metodo generale è tanto più attuale nella presente situazione politica italiana. Come comunisti rivoluzionari non possiamo, tanto più oggi, limitarci ad una proposta di azione sindacale più radicale. Dobbiamo porre l’esigenza di un intervento dei comunisti in ogni movimento, in ogni piega della protesta sociale e politica in funzione di un’esplosione di massa concentrata e radicale e di uno sbocco anticapitalista.

Ciò che significa:

a)     promuovere e partecipare nella forma più attiva ad ogni forma di azione diretta e di massa contro le misure del governo: l’esempio dell’assedio popolare in Puglia contro la chiusura di ospedali va ovunque indicato ad esempio;

b)    allargare la nostra proposta di piattaforma per la vertenza generale a temi di larga sensibilità popolare: la difesa di sanità, scuola, pensioni; il tema del controllo sui prezzi da parte di lavoratori e consumatori debbono oggi acquistare una grande rilevanza. Al pari della rivendicazione salariale dei 200 euro, oggi centrale (v. editoriale del numero di ottobre di Progetto comunista);

c)     collegare la proposta di sciopero generale prolungato all’esigenza della più vasta mobilitazione popolare: e dunque presentarlo non semplicemente come azione sindacale radicale ma come possibile blocco unificante di tutte le ragioni e rivendicazioni delle opposizione al governo e quindi di tutti i soggetti popolari dell’opposizione (il tema stesso dello “sciopero generalizzato” va ripreso e tradotto in questa logica: non la logica di azioni minoritarie a fine mediatico di qualche gruppo disobbediente a latere di uno sciopero sindacale ordinario ma la logica dell’azione diretta di massa e continuativa capace di bloccare l’Italia e piegare l’avversario);

d)     porre ovunque la rivendicazione centrale della cacciata del governo Berlusconi per un’alternativa dei lavoratori “senza se e senza ma”: questa rivendicazione ha oggi una potenzialità unificante di diverse ragioni e soggetti. Consente di entrare in sintonia con un vasto umore popolare e in aperto contrasto con tutti i gruppi dirigenti dell’opposizione al governo. E’ dentro la più larga lotta di massa per la cacciata del governo che i comunisti possono sviluppare la propria egemonia anticapitalistica da una posizione più avanzata;

e)     coniugare questa impostazione alla rivendicazione dell’unità di lotta contro il governo di tutte le tendenze politiche e sindacali dell’opposizione operaia e popolare e di tutti i movimenti di lotta, in aperta rottura col centro liberale: la rottura col centro liberale va posta da angolazioni diverse, in ogni movimento, attaccando apertamente per questa via la stessa proposta cofferatiana di grande Ulivo nel 2006.

4) In questo quadro generale la stessa manifestazione “girotondina” del 14 settembre costituisce un’occasione di presenza e di intervento politico dei comunisti. I gruppi dirigenti girotondini hanno una spiccata fisionomia piccolo-borghese e miscelano ingredienti ideologici radicali-democratici, populisti, “giustizialisti”, con equilibri spesso diversi a seconda delle situazioni locali di riferimento. Ma il fenomeno girotondino come fenomeno di massa è una realtà ben più complessa. E’ nato, persino simbolicamente, come espressione della crisi del centrosinistra, della sua sconfitta e della sua paralisi. E soprattutto si è alimentato e si alimenta di quella crisi. Esprime confusamente una domanda di iniziativa, di opposizione, di protagonismo diretto, a lungo compresso e demotivato dagli stati maggiori fallimentari dell’Ulivo. Seppure su un terreno limitato, principalmente democratico (e in forme contraddittorie su quello stesso terreno) rappresenta una delle manifestazioni del “disgelo”. L’aperta diffidenza dell’Ulivo verso il fenomeno girotondino (che pur cerca di usare e integrare) è dovuto esattamente a questa ragione. E il lavoro di contatto di Cofferati verso il movimento è a sua volta il tentativo di capitalizzarlo e sussumerlo nella propria operazione di contrasto con l’attuale leadership ulivista.

La manifestazione del 14 settembre registra in modo esemplare tutti questi elementi, in un momento centrale di crescita del malumore di massa verso il governo: ciò che l’ha trasformata nella percezione di un vasto settore di popolo della sinistra in un’occasione centrale di mobilitazione politica contro Berlusconi. Ben al di là della piattaforma anti-Cirami e delle posizioni ideologiche giustizialiste.

In questo quadro è necessario lavorare a sviluppare una domanda democratica di opposizione in lotta anticapitalistica. Tanto più in presenza del tentativo cofferatiano di subordinare quella domanda alla coalizione liberale (“grande Ulivo”) e al calendario istituzionale di questa coalizione (2006).

Per questo la parola d’ordine centrale con cui intervenire alla manifestazione non può essere “eonomicista” né limitarsi a un distinguo critico antigiustizialista (come nell’impostazione, tutta difensiva e subalterna, di Bertinotti) ma deve essere direttamente e pienamente politica: “via il governo Berlusconi. Non nel 2006, ma ora. Non in coalizione con i liberali e sotto la loro direzione fallimentare. Ma a fianco della classe operaia e dei 13 milioni di scioperanti del 16 aprile e delle loro ragioni sociali. L’unica classe che può piegare Berlusconi e sconfiggere i suoi disegni reazionari, nell’interesse di tutte le domande autentiche di democrazia e libertà. L’unica classe che può realizzare un’alternativa vera di società e di potere, tagliando le radici stesse del berlusconismo. Sciopero generale prolungato sino al ritiro delle misure antipopolari e antidemocratiche del governo, sino alla sconfitta di Berlusconi: col sostegno attivo e di massa delle più larghe masse popolari e di tutte le espressioni coerenti dell’intellettualità democratica.”

 Come si vede è un’impostazione che, a partire da una sintonia con le preoccupazioni prevalentemente democratiche della massa di manifestanti, sfida il gruppo dirigente girotondino, la sua logica subalterna di pressione critica sull’Ulivo, la sua incoerenza sullo stesso terreno della mobilitazione democratica.

Naturalmente si tratta per parte nostra di un intervento limitato di carattere propagandistico. Ma vuole rappresentare, al di là dei nostri limiti, un riferimento esemplare di lotta per l’egemonia proletaria. La lotta che dovrebbe fare il PRC, se non fosse un partito riformista.

10/09/02