Si è svolta lunedì 11 settembre la prima riunione della
Direzione nazionale del PRC dopo la pausa estiva.
Il segretario Bertinotti ha svolto una relazione molto ampia (v. Liberazione
di martedì 12/9) che ha abbracciato i temi più disparati
(dalla tragedia di Soverato alla globalizzazione, dalla situazione politica
e sociale a problemi etici e filosofici, fino alla questione dell'"assolutizzazione
dell'umano"...). Ma il nocciolo della proposta politica è stato
la sostanziale ripetizione della linea già ampiamente annunciata
nelle interviste agostane sui giornali, la linea della "non belligeranza"
col Centrosinistra per le elezioni del 2001. Ciò nel quadro generale
di analisi e proposta varato dall'ultimo CPN, che richiamiamo sinteticamente:
- il "fallimento del Centrosinistra" che sarebbe stato "incapace di
essere forza riformatrice" e di "modificare i rapporti tra le classi";
un Centrosinistra in cui avrebbe "prevalso" la scelta moderata e neoliberale
nel momento della rottura del governo Prodi col PRC (ancora una volta manca,
come si vede, insieme a un'analisi di classe del Centrosinistra e dei suoi
governi di questi anni, ogni bilancio della permanenza del partito nella
maggioranza di Prodi per due anni e anzi si ripropongono analisi fantasiose
su ciò che "avrebbe potuto essere e non è stato");
- il PRC prosegue nell'interlocuzione con la "sinistra alternativa",
ribadendo la proposta della Consulta, pur registrando mancate risposte
da parte degli interlocutori e "ritardi";
- al contempo l'obiettivo di fondo da perseguire rimane quello della
costruzione di una "sinistra plurale" (di governo), da costruire attraverso
un percorso che prevede il "rafforzamento" del PRC e della sua area di
interlocuzione (Consulta) e una conseguente pressione sull' apparato (burocratico)
della "sinistra moderata" (DS) perché "faccia di necessità
virtù" e si decida a "rompere la gabbia del Centrosinistra" scegliendo
invece una strada jospiniana;
- da ciò discende l'atteggiamento elettorale proposto dal segretario
per le politiche del 2001: un rifiuto di entrare nella contesa Amato-Rutelli
(anche se poi si esplicitano giudizi negativi solo sul primo, anche perché
col secondo il partito governa la capitale...); l'esclusione di ogni trattativa
programmatica col Centrosinistra (anche se si ribadiscono i "tre punti"
minimali -legge elettorale, redistribuzione di 50 mila mld, diritti civili
sui quali "misureremo i comportamenti del Centrosinistra"); la disponibilità
a "ridurre il danno" con una possibile "scelta tattica nei collegi uninominali",
dove ci si prepara a concordare una rinuncia parziale alla presentazione
di candidati del PRC a favore di candidati del Centrosinistra (cioè
a candidati del centro borghese, in alcuni casi, direttamente industriali,
banchieri, ecc. e in ogni caso rappresentanti del Centrosinistra liberista
e guerrafondaio...).
In altre parole, non viene riproposta esattamente la linea del '96,
quella dell'accordo politico-programmatico (che poi si rivelò pian
piano essere anche un accordo di governo) col Centrosinistra: e ciò
non perché la maggioranza dirigente abbia maturato una riflessione
di quella esperienza o abbia mutato orientamento di fondo (anzi: gli accordi
alle regionali di qualche mese fa -non di secoli fa- erano fatti esattamente
nella prospettiva di riabbracciare il centrosinistra ) ma perché
è evidente a tutti che le probabilità di vittoria del Centrosinistra
sono limitatissime e anzi aumentano gli scricchiolii che annunciano il
crollo di tutto l'edificio (crisi del centro del centrosinistra e soprattutto
crisi profonda dei DS). Di qui l'indisponibilità di Bertinotti a
rimanere sepolto sotto le macerie del Centrosinistra e di qui la mezza
svolta che avevamo registrato e già commentato dopo le elezioni
regionali.
D'altra parte la proposta della "non belligeranza" oltre a non rompere
con l'impostazione strategica di fondo, consente al PRC -nell'ottica del
gruppo dirigente maggioritario- di proseguire l'intelocuzione a tutto campo
(aree di "sinistra critica", apparati burocratici della "sinistra moderata",
con cui si continua a governare -insieme al Centrosinistra tutto- in tante
città e regioni) e soprattutto di non chiudere le porte alla provvidenza:
nel caso infatti di una improbabile ma non impossibile vittoria del Centrosinistra
nel 2001 è evidente che la "non belligeranza" si trasformerebbe
in un nuovo ritorno nella maggioranza di governo che ne conseguirebbe.
Su questa linea la maggioranza della Direzione nazionale ha registrato
con soddisfazione (evidenziata da Liberazione) una propria sostanziale
unità, un'unità che, al di là di qualche distinguo
più o meno cifrato, tiene insieme le varie aree, da quella di Grassi-Sorini
a quella di Bandiera Rossa, passando per l'area di Ferrero e per il centro
bertinottiano.
I compagni dell'area programmatica Progetto comunista presenti in Direzione
hanno invece espresso voto contrario e argomentato una proposta alternativa
alla "non belligeranza", ripresentando la concezione di fondo della necessità
di costruire un polo autonomo di classe per l'alternativa socialista e,
in quella cornice generale, affrontare anche le prossime scadenze elettorali.
Una proposta che non sintetizziamo qui in quanto è esposta nell'articolo
del compagno Marco Ferrando, pubblicato da Liberazione di venerdì
15 settembre, articolo che trovate nel file allegato a questa lettera e
anche qui sotto.
fraterni saluti,