II programma che il nostro partito presenta per le elezioni politiche
del 2001 non deve rivolgersi al confronto col centrosinistra e con l'apparato
liberale DS ricerca di uno schieramento di governo "riformatore" di "sinistra
plurale". Deve rivolgersi invece alle masse lavoratrici per lo sviluppo
della loro azione di massa su un terreno apertamente anticapitalistico;
un terreno che colleghi le rivendicazioni immediate alla prospettiva di
una alternativa socialista: l'unica prospettiva che fonda autenticamente
l'indipendenza politica del movimento operaio rispetto a tutte le rappresentanze
della borghesia (siano esse di centrodestra o di centrosinistra
UNA PROPOSTA IMMEDIATA SUL TERRENO DELL'AZIONE
Il moltiplicarsi dei sintomi di disgelo sociale richiede innanzitutto,
tanto più oggi, una proposta di mobilitazione unitaria di lavoratori,
lavoratrici, disoccupati e precari attorno a una piattaforma di lotta contrapposta
alle politiche dominanti. I temi del salario, della riduzione dell'orario,
del salario ai disoccupati, della lotta alla flessibilità, vanno
tradotti non in una proposta di governo compromissoria rivolta ai Ds, ma
in una proposta articolata di vertenza generale unificante che assuma come
unico vincolo di riferimento la ricomposizione unitaria del blocco sociale
alternativo.
Il Prc può e deve dunque avanzare e spiegare questa proposta
nella stessa campagna elettorale accompagnandola con gli obiettivi seguenti:
- un reale recupero salariale attraverso un significativo aumento uguale
per tutti, che assuma l'indicazione delle 500 mila lire di incremento oggi
avanzata da un settore d'avanguardia dei lavoratori della scuola;
- la riduzione immediata e generalizzata dell'orario di lavoro a parità
di salario a 35 ore settimanali, senza flessibilità ed annualizzazione,
senza finanziamento ai padroni e a spese dei profitti, con una drastica
limitazione del lavoro straordinario;
- la trasformazione di tutti i contratti atipici e particolari in contratti
a tempo pieno e indeterminato: la battaglia per l'abolizione del "pacchetto
Treu" va assunta, in questo senso, come battaglia centrale del partito;
- un dignitoso salario sociale garantito ai disoccupati, pari al 70%
del salario garantito, corrispondente a un milione e quattrocentomila lire
mensili;
- il riconoscimento e l'estensione dei diritti sindacali a tutti i
lavoratori subordinati, indipendentemente dal tipo di contratto e dalla
dimensione dell'impresa (con la rivendicazione di un salario minimo garantito
di due milioni netti al mese).
In particolare la rivendicazione dell'abolizione del "Pacchetto Treu"
e della trasformazione di tutti i contratti atipici in contratti a tempo
indeterminato costituisce un essenziale terreno di contrapposizione strategica
alle politiche del capitale.
PER UNA LOGICA ANTICAPITALISTICA SULLO STESSO TERRENO REDISTRIBUTIVO
Parallelamente occorre collegare le rivendicazioni immediate alla prospettiva
di costruzione di un altro ordine sociale, sviluppando la consapevolezza
che una vera contrapposizione alle politiche liberiste richiede la rottura
con le compatibilità capitalistiche nazionali ed europee su ogni
terreno; e che viceversa la ricerca di soluzioni riformistiche entro la
cornice di quelle compatibilità esprime, come i fatti dimostrano,
un'illusione impotente.
Sullo stesso terreno redistributivo si dimostra l'obiettiva incompatibilità
delle esigenze sociali delle classi subalterne con le leggi del capitale
in crisi.
Il nuovo massiccio investimento pubblico necessario nella scuola e
nella sanità; il finanziamento di un vero salario sociale per i
disoccupati e i giovani in cerca di prima occupazione; il forte aumento
degli stipendi pubblici e delle pensioni minime; la piena reintroduzione
di una previdenza pubblica a ripartizione; il vasto piano di intervento
pubblico necessario e urgente per il risanamento del territorio; un piano
massiccio di investimenti pubblici nel Meridione ecologicamente compatibili,
in una prospettiva di reindustrializzazione. Tutte queste esigenze inderogabili
pongono la necessità di un radicale sovvertimento del flusso di
spesa dello Stato.
Non si tratta semplicemente di mettere in discussione la manovra annuale
della finanza pubblica o di rivendicare il pannincello caldo di una Tobin
Tax. E' necessario mettere in discussione la struttura complessiva e di
fondo della finanza statale cioè la sua organica dipendenza dagli
interessi del profitto. "Paghi chi non ha mai pagato": questo può
divenire, nel linguaggio dell'agitazione quotidiana, l'indicazione di massa
dei comunisti.
Significa in primo luogo capovolgere la direzione di marcia della politica
fiscale di tutti i governi del Centrosinistra: tutte le misure di detassazione
del grande capitale che hanno arricchito una volta di più le grandi
famiglie del capitalismo italiano (dagli Agnelli a Berlusconi) vanno semplicemente
abolite. A ciò deve aggiungersi il principio di tassazione progressiva
dei grandi patrimoni, dei grandi profitti, delle grandi rendite finanziarie.
Nella sua "Indagine sulla ricchezza individuale in Italia 2000" la banca
d'affari americana Menil Linch documenta l'impressionante concentrazione
della ricchezza borghese nel "nostro" paese; mille famiglie detengono,
da sole, 150 mila miliardi. Un volume di risorse immenso pagato da decenni
di supersfruttamento e regalie pubbliche. Ebbene se sono i lavoratori che
producono la ricchezza, la ricchezza prodotta ritorni ai lavoratori, e
alla qualità della vita della larga maggioranza della società.
La rivendicazione della tassazione progressiva delle grandi ricchezze per
finalità sociali può acquistare in questo senso un significativo
consenso di massa.
Centrale; in questo quadro, è la rivendicazione dell'abolizione
dei trasferimenti pubblici alle imprese. Dietro il paravento dell'ideologia
liberista e della lotta all'assistenzialismo le imprese italiane (e non
solo) hanno beneficiato proprio in questi anni di un'espansione enorme
dell"'assistenza pubblica" in mille forme dirette o indirette.
La denuncia documentata dei costi pubblici della società borghese
deve allora divenire pane quotidiano della politica comunista. E la rivendicazione
conseguente può essere così formulata: l'abolizione dell'assistenzialismo
pubblico alla grande impresa finanzi la sacrosanta"assistenza" dei disoccupati
e dei giovani senza lavoro prodotti dall'interesse cieco del profitto e
del mercato. Parallelamente va aggredito il fatidico nodo del debito pubblico.
Dal '92 il debito pubblico è stato invocato, com'è noto,
come ragione e misura delle politiche di austerità e sacrifici sociali.
Eppure il debito pubblico non è un destino naturale. Esso ha sanzionato
il legame materiale tra lo Stato e quei grandi gruppi affaristico-speculativi
del capitale finanziario che hanno a lungo investito in titoli sottotassati
ricevendone in cambio lauti interessi pagati coi tagli a sanità,
scuola, pensioni... Questo legame allora va spezzato Il piccolo risparmio
dev'essere certo rigorosamente tutelato, ma il debito pubblico verso i
grandi gruppi finanziari va unilateralmente abolito, liberando grandi risorse
di bilancio per la condizione sociale delle grandi masse. Se ciò
è incompatibile con "le leggi di mercato", con gli "impegni internazionali",
con "la salute dell'euro", non è affare che riguardai comunisti,
è semmai la documentazione dell'incompatibilità degli interessi
dei lavoratori con le leggi del capitale.
LA CAMPAGNA PER IL CONTROLLO SOCIALE E DI CLASSE
Al tempo stesso la battaglia dei comunisti sul terreno "redistributivo"
va strettamente connessa a una campagna per il controllo sociale dei lavoratori.
La stessa battaglia "per i diritti" evocata dal Prc non può essere
confinata sul puro terreno "democratico", deve tradursi in una battaglia
di "poteri". Poteri di controllo, dal basso, della maggioranza della società
sulla vita della società medesima.
La rivendicazione del controllo può assumere un significato
pregnante sullo stesso terreno della questione fiscale. Evasione, elusione
fiscale sono piaghe croniche denunciate e riconosciute dalla stessa stampa
dominante, ma strettamente connaturate alla società borghese. I
comunisti non possono allora allinearsi al tradizionale coro lamentoso
chiedendo ad uno Stato borghese dichiaratamente impotente la lotta all'evasione
fiscale.... della borghesia. E' necessario porre nel movimento operaio
la rivendicazione del controllo dei lavoratori sul fisco. La lotta per
l'abolizione del segreto bancario su scala nazionale e internazionale deve
essere allora assunta con forza. I lavoratori debbono poter vedere chiaro
nella massa dei depositi e delle operazioni bancarie del capitale, tanto
più in una fase in cui l'ipertrofia "finanziaria" dell'economia
capitalistica amplia a dismisura per questa via i canali dell'evasione
"legale" della borghesie.
La medesima questione si pone, alla fonte, per ciò che concerne
i libri contabili delle aziende. La complessa trama delle operazioni economiche
della borghesia, settore per settore, si muove dietro la copertura del
segreto commerciale, industriale, finanziario, all'insaputa dei lavoratori
e dei consumatori. I comunisti debbono allora rivendicare il potere di
controllo dei lavoratori nell'unico modo possibile: chiedendo l'abolizione
del segreto commerciale e industriale e l'apertura dei libri contabili
delle aziende. Una battaglia funzionale a denunciare e combattere l'ipocrisia
della democrazia borghese agli occhi dei lavoratori e della maggioranza
della società
L'ATTUALITA' DELLA QUESTIONE DELLA PROPRIETA'
Ma la questione del controllo pone inevitabilmente la questione di fondo
della proprietà privata. I giganteschi processi di concentrazione
proprietaria del capitale finanziario; i dilaganti processi di privatizzazione
di imprese "pubbliche" e servizi; l'espansione enorme del mercato nell'ambito
delle scienze e della ricerca, ripropongono nel loro insieme la questione
del superamento della proprietà privata come nodo decisivo per un'alternativa
di società.
Al tempo stesso occorre un'impostazione che miri a collegare l'esperienza
concreta di grandi masse alla necessità della conclusione socialista.
E lo spazio per introdurre nel concreto il tema della proprietà
è fornito quotidianamente dalla vita ordinaria della società
borghese. Anche nel contesto italiano. Intanto i comunisti possono e debbono
rivendicare l'abolizione di tutte le misure di privatizzazione introdotte
negli ultimi 10 anni: l'esperienza sociale e di massa di queste privatizzazioni
è tale da rendere comprensibile questa rivendicazione agli occhi
di rilevanti settori sociali.
Così il tema della proprietà può essere posto
in relazione a questioni di grande interesse sociale. L'esistenza di un
vasto settore di sanità privata e scuola privata, entrambi rimpinguati
dalle politiche di governo, rappresenta da tempo una questione di grande
tensione e attenzione pubblica. I comunisti possono e debbono intervenirvi
non semplicemente da un versante "costituzional-democratico" ("controllo"
dello Stato sulla scuola privata) o redistributivo (no ai fondi pubblici...):
ma collegando questo livello elementare di battaglia politica alla questione
cruciale della proprietà: rivendicando il carattere sociale dell'istruzione
e delle prestazioni sanitarie, quindi il loro passaggio alla proprietà
pubblica sotto il controllo dei lavoratori e delle lavoratrici.
Ma la questione dell'abolizione della proprietà privata può
e dev'essere posta già ora anche in relazione a settori strategici
della produzione e della finanza.
Ed anche in questo caso non in termini ideologici ma partendo dai mille
episodi di pubblico scandalo connessi al dominio della proprietà
privata. Il caso Good Year è stato emblematico di un'autentica piaga
borghese: quella di centinaia di aziende finanziate per anni dallo Stato
e che hanno utilizzato e utilizzano le risorse pubbliche per attivare processi
di ristrutturazione antioperaia. La rivendicazione della nazionalizzazione
delle industrie in crisi senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori
può essere allora un riferimento unificante per mille lotte di resistenza
oggi disperse. E l'esperienza francese che ha visto un'organizzazione della
sinistra rivoluzionaria assumere come centrale questa rivendicazione, dimostra
che essa può incontrare una vasta attenzione in rilevanti settori
di classe.
Ma forme diverse di criminalità borghese a danno della maggioranza
della società rientrano nella sfera della legalità ordinaria.
E' il caso della grande industria farmaceutica che oltre essere coinvolta
nei peggiori scandali della malasanità degli anni 90 costituisce
fonte abnorme di spreco di risorse pubbliche a esclusivo vantaggio del
profilo e a danno della salute. E' il caso dell'industria petrolifera largamente
impegnata nella speculazione sul prezzo della benzina grazie alla pratica
degli accordi di cartello a danno di decine di milioni di cittadini. E'
il caso delle assicurazioni che in virtù di accordi interni alla
lobby monopolistica raddoppiano le tariffe a carico dei contribuenti negli
ultimi sei anni. E' il caso delle banche che grazie a pratiche di cartello
concordano l'aumento dei mutui o praticano apertamente l'usura.
I Comunisti possono e debbono rivendicare in tutti questi casi, la
messa in discussione della proprietà privata, spiegando controcorrente
in termini popolati, la contraddizione abnorme tra l'esistenza della proprietà
privata e l'interesse generale della società.
PER L'ALTERATIVA SOCIALISTA SU SCALA NAZIONALE E INTERNAZIONALE
Più in generale, partendo da queste rivendicazioni, è
necessario sviluppare nei più ampi strati di classi subalterne la
consapevolezza che solo l'abolizione della proprietà capitalistica
e la concentrazione delle leve della produzione e del credito nelle mani
delle grandi masse, su scala nazionale e internazionale, può consentire
la costruzione di un altro ordine di società, basato sul primato
delle esigenze sociali, ambientali, di pace. E che viceversa fuori da questa
prospettiva ogni annunciata "soluzione" delle grandi questioni che affliggono
l'umanità si risolve in una frase vuota e in un inganno.
In questo quadro va affermata, durante la stessa campagna elettorale,
una posizione inequivoca sul piano internazionale, con particolare riferimento
alla questione Europa. Centrale è la denuncia documentata del carattere
imperialistico dell'Europa (e, in essa, dello stesso imperialismo italiano)
delle sue politiche di espansione coloniale nell'Est europeo, del suo crescente
militarismo. Proprio la politica imperialistica dell'Europa -in lotta con
Usa e Giappone per la conquista dei mercati- ha imposto nell'ultimo decennio
alla classe operaia europea i costi dei tagli alla spesa, delle privatizzazioni,
della flessibilità. Non c'è lotta contro le politiche liberiste
nel vecchio continente senza opposizione aperta all'imperialismo europeo.
Non si tratta allora di chiedere all'Europa imperialista di farsi "sociale"
e "democratica", tanto meno di accettare "criticamente" il patto di stabilità
europeo e le sue compatibilità. Si tratta di impugnare ogni rivendicazione
sociale e persino "democratica" contro l'imperialismo europeo, i suoi trattati
e i suoi patti, per un'alternativa socialista su scala continentale.
Marco Ferrando, Ivana Aglietti, Vito Bisceglie, Anna Ceprano, Franco
Grisolia, Luigi Izzo, Matteo Malerba, Francesco Ricci, Michele Terra