Intervento di Alessandro Borghi all'Attivo dei Giovani Comunisti di Genova (17 febbraio 2003)

L’attivo convocato per oggi dai Giovani Comunisti di Genova cade in una situazione molto particolare per il nostro partito, ovvero lo scenario reale che da qui a poche settimane incomincino i bombardamenti anglo-americani sull’Iraq.
L’analisi della fase attuale, che a noi comunisti ci si pone di fronte, non deve essere isolata da tutto lo scenario complessivo di avvenimenti che stanno avvenendo sia a livello mondiale che a livello nazionale.
La guerra che sta “venendo avanti”, mostra come i conflitti interimperialistici fra il blocco europeo e quello anglo-americano disegnino un nuovo assetto, simile a quello degli anni ’80 con la “guerra fredda”, e ci dica come false e assurde erano le teorie inscritte nel documento di maggioranza del partito sul superamento della teoria leninista dell’imperialismo.
Addirittura in Italia con l’avvento del governo di centro destra ci troviamo sempre più prepotentemente davanti l’affacciarsi di un imperialismo italiano, costruito da un lato sulla costituzione di una nuova NATO europea (forza di intervento rapido varata nella conferenza di Praga), dall’altra con un vassallaggio chiaro nei confronti degli Stati Uniti.
Ma se da un lato denunciamo il carattere imperialista delle guerre che si sono susseguite negli ultimi 12 anni,  dopo trent’anni dobbiamo registrare un risveglio dei movimenti di massa che da Seattle, Davos, Praga, fino ad arrivare alle nostre manifestazioni nazionali contro le leggi delega del governo Berlusconi  hanno dimostrato, seppur con limiti enormi, di essere un soggetto vivo, e la manifestazione di sabato contro la guerra ne è la conferma.
Ed è proprio la manifestazione di sabato che mette in luce l’enorme potenzialità del movimento ma mostra i suoi  giganteschi limiti, e dentro di esso i limiti del Partito della Rifondazione comunista, un partito sempre più distante da quella che dovrebbe essere la sua identità di forza rivoluzionaria, per sposare sempre più il riformismo borghese.
Il partito si è convinto come Kautsky che il socialismo si ottiene con riforme graduali e pacifiche? Lo si dica chiaramente e si cambi il nome al partito in rifondazione socialdemocratica, i comunisti stanno da un’altra parte a combattere su un’altra barricata.
Non c’è lotta contro la guerra senza la lotta all’imperialismo che la produce.
E allora certo che diciamo no alla guerra senza “se” e “senza ma”ma allo stesso tempo ci schieriamo senza neutralismo contro l’aggressore imperialista, nel mondo e anche negli Stati Uniti per la vera pace che per noi marxisti-rivoluzionari non esiste senza rivoluzione.
Sosteniamo i proletari irakeni: siano loro a  rovesciare il dittatore di Bagdad per un governo dei lavoratori, non le compagnie petrolifere per i loro interessi!
Ecco la vera lotta internazionale che i comunisti in ogni paese devono combattere.
Ed è proprio qua che sta l’ipocrisia pacifista (come già Trotsky nel ’17 ci scriveva sul “pacifismo come servo dell’imperialismo”); il credere che riformando l’ONU (che altro non è che un’agenzia dell’imperialismo); come sostengono  il comp. Lula in Brasile, o il nostro segretario F.Bertinotti si possa arrivare a scongiurare la guerra: pie illusioni!
C.Rice e la sua compagnia petrolifera di riferimento, la “Chevron” sono più forti in  questo mondo capitalista di qualsiasi risoluzione dell’ONU  anche riformato.
Qui esiste solo una una battaglia da combattere: che è quella della stragrande maggioranza degli oppressi contro le oligarchie di potere che li opprimono, da fare non con la bandiera della pace nella mano ma con la bandiera rossa in nome della rivoluzione e della società socialista!
E’ chiaro, che se da un lato non dobbiamo avere pause nella mobilitazione contro la guerra, abbiamo il dovere di analizzare ciò che sta accadendo a noi e vicino a noi. Mi riferisco al Referendum sull’estensione dell’art.18 quali effetti e quali ripercussioni  potrebbero verificarsi.
Torno su un tema che a molti non è caro e io stesso credo che sia superato nei fatti, ma credo che comunque valga la pena di affrontarlo in una sede quale l’attivo dei giovani comunisti: ovvero l’utilizzo del referendum come strumento per fare politica.
Io ritengo assolutamente sbagliato utilizzare il referendum in generale tanto più quando si parla di estensione dei diritti dei lavoratori.
I diritti dei lavoratori vanno conquistati sul terreno della lotta di classe, non sul terreno delle istituzioni borghesi che ci vedrebbero perennemente sconfitti.
Ma soprattutto se volessimo analizzare fino in fondo la scelta referendaria dovremmo riconoscere che se da un lato l’estensione dell’art.18 indica un obiettivo di classe importante abbiamo dall’altra parte un  PRC incapace di lavorare per candidarsi ad una direzione alternativa nei confronti del movimento operaio attualmente in mano alla socialdemocrazia cofferatiana.
Certo questo tema ormai è superato nell’attuale situazione, ma meriterebbe un discorso più approfondito.
In questo quadro referendario, è utile analizzare a partire da S.Cofferati per arrivare alla FIOM di Genova quale orizzonte ci troveremo davanti da qui a maggio, mese per cui si presume ci sia il voto.
S.Cofferati: vorrei anche qua che fosse chiaro quale disegno politico stava e tutt’ora sta al 90% nello testa dell’ex segr. Generale della CGIL: ovvero il Nuovo Ulivo, progetto rilanciato anche in occasione della manifestazione di Roma.
La scelta inequivoca di schierarsi per il No all’estensione dell’art.18., non deve coglierci di sorpresa, o per lo meno chi come me la pensa non sarà del tutto sorpreso.
E’ chiaro che l’idea del “cinese” è Il disegno di un nuovo schieramento borghese dell’Ulivo che si proponga alla classe padronale in alternativa al governo di centro destra, per inaugurare una nuova stagione di compatibilità, di concertazione e di pace sociale magari anche in un cartello che preveda un accordo con Rifondazione.
Quindi il disegno dell’uomo della “possibile vittoria”, così dopo il 16 aprile titolava Liberazione, abbiamo sotto gli occhi che si presenta come “l’uomo dell’ennesima sconfitta” della classe operaia e di tutti i lavoratori.
A questo punto per il partito diventa assolutamente prioritaria al nostro interno la discussione di chi abbia in mano in questo momento la direzione del movimento e come un partito comunista deve porsi in una battaglia di egemonia e non di subalternità al cofferatismo.
E’ nei fatti che dalla grande manifestazione del 23 marzo dove tre milioni di persone si identificavano nella CGIL contro il governo di centro destra, si è passati  gli scioperi scanditi con il bilancino ogni sei mesi senza un programma di lotta su una piattaforma comune per dire che il governo Berlusconi è da cacciare subito e non nel 2006, lasciando cadere quella domanda di milioni di lavoratori e lavoratrici, studenti, pensionati e immigrati.
Ma non era una novità, per chi come me, lavoratore in fabbrica, subiva a metà degli anni ’90 la concertazione, la firma di contratti al ribasso, la moderazione salariale, i contratti di formazione lavoro e tutte le altre forma di flessibilità allora appoggiate in maniera scellerata da Rifondazione Comunista – il famoso Pacchetto Treu-.
Diventa ancora più chiara oggi la scena davanti a noi. Ecco cosa ci stava e ci sta nella lotta contro le leggi delega dell’art.18 e le manifestazioni contro la guerra, nell’avvicinamento di Cofferati al movimento No Global, ai girotondi borghesi di Moretti e Flores d’Arcais: creare un consenso diffuso attorno alla sua persona da tramutarlo in consenso elettorale alla sua proposta politica.
Questa la spiegazione del perché del rifiuto ad appoggiare la battaglia referendaria del PRC, per non andare a cozzare contro quella base dei DS non più composta da lavoratori, ma dai padroncini delle cooperative dell’Emilia e della Toscana che quel partito finanziano in maniera sostanziosa.
Qui entra in scena la stessa CGIL e il suo attendismo che in parte risponde a ciò che ho detto poco fa ovvero non andare a scontrarsi con tutto quel tessuto delle cooperative legate non solo ai DS ma anche alla stessa confederazione, che in parte nasconde una sua avversione al merito del quesito referendario, proponendo una legge che dati gli attuali rapporti di forza in parlamento è un’utopia che passi.
La FIOM di Genova, invece, la troviamo in una posizione anomala da tutto il resto dell’Italia; qui afferma di sostenere le ragioni del si con tutti gli strumenti a sua disposizione, ma che non parteciperà ai comitati referendari.
Certo nella FIOM e nella CGIL genovese c’è imbarazzo di fronte alla posizione da tenere, e qui devo dare adito ai compagni delle fabbriche del ponente di aver centrato nel segno con il volantino redatto subito dopo la dichiarazione dell’ex leader della CGIL contro il referendum per l’estensione dell’art.18, che da un lato attaccava Cofferati e i DS per la posizione contraria e si concludeva con un appello alla confederazione a schierarsi con noi per dare continuità alle lotte intraprese contro le deleghe del governo Berlusconi.
Bene del volantino del nostro partito si è discusso persino nella segreteria regionale della CGIL, credo non sia cosa da poco.
Compagni è chiaro che dovremo affrontare questa campagna con intelligenza, ma senza paura e sostenendo fortemente la nostra posizione, consapevoli che su una partita così non si può stare nel guado: o con i lavoratori o contro i lavoratori.
Al tempo stesso dobbiamo incominciare ad attrezzarci. Certo, non sono un pessimista di natura ma è chiaro che dati i rapporti di forza nel paese sarà difficilissimo raggiungere il traguardo del referendum, e invito i compagni a iniziare, già ora  una riflessione sul dopo.
E’ chiaro che una sconfitta del quesito, comunque e a maggior ragione, ci vedrebbe bersaglio delle critiche più dure.
Quindi invito tutti, veramente, ad iniziare la campagna elettorale con una determinazione, direi “feroce”, ma al tempo stesso rimanendo con i piedi bene per terra.
Strategici a questo punto diventano  per noi i comitati. Noi come “Coordinamento operaio delle fabbriche del ponente” stiamo già approntando un appello al quale chiamiamo a sottoscrivere delegati e dirigenti sindacali, dove dichiariamo la costituzione (se le forze che riusciremo a raccogliere saranno sufficienti), comitati in ogni fabbrica.
A fianco di questo terreno di lotta nelle fabbriche sono anche qua a fare una proposta e soprattutto a chiedere aiuto ai compagni studenti: avremmo intenzione, ovviamente dove siamo presenti nelle scuole, a costruire delle assemblee di lavoratori aderenti ai comitati di fabbrica con gli studenti per parlare di diritti –estensione art.18- e legare la battaglia con quella dei buoni scuola; potrebbe essere una valida carta da giocarci per la partita referendaria.
Vorrei un attimo ritornare sul tema della guerra in conclusione; e informarvi che qua a Genova ci stiamo già attrezzando sia come area di minoranza della CGIL Lavoro e Società e come FIOM che qualora i bombardamenti incominciassero nelle fabbriche ci sarebbero delle fermate immediate con blocchi stradali.
Facciamo nostra la proposta di Piero Bernocchi dei COBAS  discussa dal Forum Sociale di una Sciopero Generale europeo, e non per diamoci in azioni fini a se stesse come il boicottaggio dei prodotti delle multinazionali.
Ultimissimo appunto, e invito i compagni a contribuire anche con 50 cent. di €, alla campagna internazionalista che come Coordinamento operaio fabbriche del ponente di Rifondazione Comunista stia portando avanti a sostegno della lotta del Partido Obrero di Argentina, e approfitto per annunciare a chi ancora non lo sapesse che il giorno 25 febbraio alle ore 17 alla libreria di S.Benedetto, organizzato dalla commissione internazionale del partito.  sarà proiettato un video sulla situazione attuale in Argentina alla presenza del compagno del P.O. Osvaldo Coggiola.