L’attivo convocato per oggi dai Giovani Comunisti di Genova cade in
una situazione molto particolare per il nostro partito, ovvero lo scenario
reale che da qui a poche settimane incomincino i bombardamenti anglo-americani
sull’Iraq.
L’analisi della fase attuale, che a noi comunisti ci si pone di fronte,
non deve essere isolata da tutto lo scenario complessivo di avvenimenti
che stanno avvenendo sia a livello mondiale che a livello nazionale.
La guerra che sta “venendo avanti”, mostra come i conflitti interimperialistici
fra il blocco europeo e quello anglo-americano disegnino un nuovo assetto,
simile a quello degli anni ’80 con la “guerra fredda”, e ci dica come false
e assurde erano le teorie inscritte nel documento di maggioranza del partito
sul superamento della teoria leninista dell’imperialismo.
Addirittura in Italia con l’avvento del governo di centro destra ci
troviamo sempre più prepotentemente davanti l’affacciarsi di un
imperialismo italiano, costruito da un lato sulla costituzione di una nuova
NATO europea (forza di intervento rapido varata nella conferenza di Praga),
dall’altra con un vassallaggio chiaro nei confronti degli Stati Uniti.
Ma se da un lato denunciamo il carattere imperialista delle guerre
che si sono susseguite negli ultimi 12 anni, dopo trent’anni dobbiamo
registrare un risveglio dei movimenti di massa che da Seattle, Davos, Praga,
fino ad arrivare alle nostre manifestazioni nazionali contro le leggi delega
del governo Berlusconi hanno dimostrato, seppur con limiti enormi,
di essere un soggetto vivo, e la manifestazione di sabato contro la guerra
ne è la conferma.
Ed è proprio la manifestazione di sabato che mette in luce l’enorme
potenzialità del movimento ma mostra i suoi giganteschi limiti,
e dentro di esso i limiti del Partito della Rifondazione comunista, un
partito sempre più distante da quella che dovrebbe essere la sua
identità di forza rivoluzionaria, per sposare sempre più
il riformismo borghese.
Il partito si è convinto come Kautsky che il socialismo si ottiene
con riforme graduali e pacifiche? Lo si dica chiaramente e si cambi il
nome al partito in rifondazione socialdemocratica, i comunisti stanno da
un’altra parte a combattere su un’altra barricata.
Non c’è lotta contro la guerra senza la lotta all’imperialismo
che la produce.
E allora certo che diciamo no alla guerra senza “se” e “senza ma”ma
allo stesso tempo ci schieriamo senza neutralismo contro l’aggressore imperialista,
nel mondo e anche negli Stati Uniti per la vera pace che per noi marxisti-rivoluzionari
non esiste senza rivoluzione.
Sosteniamo i proletari irakeni: siano loro a rovesciare il dittatore
di Bagdad per un governo dei lavoratori, non le compagnie petrolifere per
i loro interessi!
Ecco la vera lotta internazionale che i comunisti in ogni paese devono
combattere.
Ed è proprio qua che sta l’ipocrisia pacifista (come già
Trotsky nel ’17 ci scriveva sul “pacifismo come servo dell’imperialismo”);
il credere che riformando l’ONU (che altro non è che un’agenzia
dell’imperialismo); come sostengono il comp. Lula in Brasile, o il
nostro segretario F.Bertinotti si possa arrivare a scongiurare la guerra:
pie illusioni!
C.Rice e la sua compagnia petrolifera di riferimento, la “Chevron”
sono più forti in questo mondo capitalista di qualsiasi risoluzione
dell’ONU anche riformato.
Qui esiste solo una una battaglia da combattere: che è quella
della stragrande maggioranza degli oppressi contro le oligarchie di potere
che li opprimono, da fare non con la bandiera della pace nella mano ma
con la bandiera rossa in nome della rivoluzione e della società
socialista!
E’ chiaro, che se da un lato non dobbiamo avere pause nella mobilitazione
contro la guerra, abbiamo il dovere di analizzare ciò che sta accadendo
a noi e vicino a noi. Mi riferisco al Referendum sull’estensione dell’art.18
quali effetti e quali ripercussioni potrebbero verificarsi.
Torno su un tema che a molti non è caro e io stesso credo che
sia superato nei fatti, ma credo che comunque valga la pena di affrontarlo
in una sede quale l’attivo dei giovani comunisti: ovvero l’utilizzo del
referendum come strumento per fare politica.
Io ritengo assolutamente sbagliato utilizzare il referendum in generale
tanto più quando si parla di estensione dei diritti dei lavoratori.
I diritti dei lavoratori vanno conquistati sul terreno della lotta
di classe, non sul terreno delle istituzioni borghesi che ci vedrebbero
perennemente sconfitti.
Ma soprattutto se volessimo analizzare fino in fondo la scelta referendaria
dovremmo riconoscere che se da un lato l’estensione dell’art.18 indica
un obiettivo di classe importante abbiamo dall’altra parte un PRC
incapace di lavorare per candidarsi ad una direzione alternativa nei confronti
del movimento operaio attualmente in mano alla socialdemocrazia cofferatiana.
Certo questo tema ormai è superato nell’attuale situazione,
ma meriterebbe un discorso più approfondito.
In questo quadro referendario, è utile analizzare a partire
da S.Cofferati per arrivare alla FIOM di Genova quale orizzonte ci troveremo
davanti da qui a maggio, mese per cui si presume ci sia il voto.
S.Cofferati: vorrei anche qua che fosse chiaro quale disegno politico
stava e tutt’ora sta al 90% nello testa dell’ex segr. Generale della CGIL:
ovvero il Nuovo Ulivo, progetto rilanciato anche in occasione della manifestazione
di Roma.
La scelta inequivoca di schierarsi per il No all’estensione dell’art.18.,
non deve coglierci di sorpresa, o per lo meno chi come me la pensa non
sarà del tutto sorpreso.
E’ chiaro che l’idea del “cinese” è Il disegno di un nuovo schieramento
borghese dell’Ulivo che si proponga alla classe padronale in alternativa
al governo di centro destra, per inaugurare una nuova stagione di compatibilità,
di concertazione e di pace sociale magari anche in un cartello che preveda
un accordo con Rifondazione.
Quindi il disegno dell’uomo della “possibile vittoria”, così
dopo il 16 aprile titolava Liberazione, abbiamo sotto gli occhi che si
presenta come “l’uomo dell’ennesima sconfitta” della classe operaia e di
tutti i lavoratori.
A questo punto per il partito diventa assolutamente prioritaria al
nostro interno la discussione di chi abbia in mano in questo momento la
direzione del movimento e come un partito comunista deve porsi in una battaglia
di egemonia e non di subalternità al cofferatismo.
E’ nei fatti che dalla grande manifestazione del 23 marzo dove tre
milioni di persone si identificavano nella CGIL contro il governo di centro
destra, si è passati gli scioperi scanditi con il bilancino
ogni sei mesi senza un programma di lotta su una piattaforma comune per
dire che il governo Berlusconi è da cacciare subito e non nel 2006,
lasciando cadere quella domanda di milioni di lavoratori e lavoratrici,
studenti, pensionati e immigrati.
Ma non era una novità, per chi come me, lavoratore in fabbrica,
subiva a metà degli anni ’90 la concertazione, la firma di contratti
al ribasso, la moderazione salariale, i contratti di formazione lavoro
e tutte le altre forma di flessibilità allora appoggiate in maniera
scellerata da Rifondazione Comunista – il famoso Pacchetto Treu-.
Diventa ancora più chiara oggi la scena davanti a noi. Ecco
cosa ci stava e ci sta nella lotta contro le leggi delega dell’art.18 e
le manifestazioni contro la guerra, nell’avvicinamento di Cofferati al
movimento No Global, ai girotondi borghesi di Moretti e Flores d’Arcais:
creare un consenso diffuso attorno alla sua persona da tramutarlo in consenso
elettorale alla sua proposta politica.
Questa la spiegazione del perché del rifiuto ad appoggiare la
battaglia referendaria del PRC, per non andare a cozzare contro quella
base dei DS non più composta da lavoratori, ma dai padroncini delle
cooperative dell’Emilia e della Toscana che quel partito finanziano in
maniera sostanziosa.
Qui entra in scena la stessa CGIL e il suo attendismo che in parte
risponde a ciò che ho detto poco fa ovvero non andare a scontrarsi
con tutto quel tessuto delle cooperative legate non solo ai DS ma anche
alla stessa confederazione, che in parte nasconde una sua avversione al
merito del quesito referendario, proponendo una legge che dati gli attuali
rapporti di forza in parlamento è un’utopia che passi.
La FIOM di Genova, invece, la troviamo in una posizione anomala da
tutto il resto dell’Italia; qui afferma di sostenere le ragioni del si
con tutti gli strumenti a sua disposizione, ma che non parteciperà
ai comitati referendari.
Certo nella FIOM e nella CGIL genovese c’è imbarazzo di fronte
alla posizione da tenere, e qui devo dare adito ai compagni delle fabbriche
del ponente di aver centrato nel segno con il volantino redatto subito
dopo la dichiarazione dell’ex leader della CGIL contro il referendum per
l’estensione dell’art.18, che da un lato attaccava Cofferati e i DS per
la posizione contraria e si concludeva con un appello alla confederazione
a schierarsi con noi per dare continuità alle lotte intraprese contro
le deleghe del governo Berlusconi.
Bene del volantino del nostro partito si è discusso persino
nella segreteria regionale della CGIL, credo non sia cosa da poco.
Compagni è chiaro che dovremo affrontare questa campagna con
intelligenza, ma senza paura e sostenendo fortemente la nostra posizione,
consapevoli che su una partita così non si può stare nel
guado: o con i lavoratori o contro i lavoratori.
Al tempo stesso dobbiamo incominciare ad attrezzarci. Certo, non sono
un pessimista di natura ma è chiaro che dati i rapporti di forza
nel paese sarà difficilissimo raggiungere il traguardo del referendum,
e invito i compagni a iniziare, già ora una riflessione sul
dopo.
E’ chiaro che una sconfitta del quesito, comunque e a maggior ragione,
ci vedrebbe bersaglio delle critiche più dure.
Quindi invito tutti, veramente, ad iniziare la campagna elettorale
con una determinazione, direi “feroce”, ma al tempo stesso rimanendo con
i piedi bene per terra.
Strategici a questo punto diventano per noi i comitati. Noi come
“Coordinamento operaio delle fabbriche del ponente” stiamo già approntando
un appello al quale chiamiamo a sottoscrivere delegati e dirigenti sindacali,
dove dichiariamo la costituzione (se le forze che riusciremo a raccogliere
saranno sufficienti), comitati in ogni fabbrica.
A fianco di questo terreno di lotta nelle fabbriche sono anche qua
a fare una proposta e soprattutto a chiedere aiuto ai compagni studenti:
avremmo intenzione, ovviamente dove siamo presenti nelle scuole, a costruire
delle assemblee di lavoratori aderenti ai comitati di fabbrica con gli
studenti per parlare di diritti –estensione art.18- e legare la battaglia
con quella dei buoni scuola; potrebbe essere una valida carta da giocarci
per la partita referendaria.
Vorrei un attimo ritornare sul tema della guerra in conclusione; e
informarvi che qua a Genova ci stiamo già attrezzando sia come area
di minoranza della CGIL Lavoro e Società e come FIOM che qualora
i bombardamenti incominciassero nelle fabbriche ci sarebbero delle fermate
immediate con blocchi stradali.
Facciamo nostra la proposta di Piero Bernocchi dei COBAS discussa
dal Forum Sociale di una Sciopero Generale europeo, e non per diamoci in
azioni fini a se stesse come il boicottaggio dei prodotti delle multinazionali.
Ultimissimo appunto, e invito i compagni a contribuire anche con 50
cent. di €, alla campagna internazionalista che come Coordinamento
operaio fabbriche del ponente di Rifondazione Comunista stia portando avanti
a sostegno della lotta del Partido Obrero di Argentina, e approfitto per
annunciare a chi ancora non lo sapesse che il giorno 25 febbraio alle ore
17 alla libreria di S.Benedetto, organizzato dalla commissione internazionale
del partito. sarà proiettato un video sulla situazione attuale
in Argentina alla presenza del compagno del P.O. Osvaldo Coggiola.