Dopo aver goduto per decenni di enormi finanziamenti e agevolazione
da parte di tutti i governi che si sono succeduti alla testa del nostro
paese, con la connivenza di tutta la "sinistra" istituzionale (si veda
la "rottamazione" varata dal governo Prodi nel 1997), il gruppo Fiat proclama
lo stato di crisi e prepara una drastica e drammatica ristrutturazione
con migliaia di "esuberi". Questa crisi è il prodotto di due fattori:
una crisi generale del capitalismo e in particolare del settore, un tempo
trainante, dell'automobile (di cui il calo dei titoli in Borsa è
espressione evidente); e gli errori di gestione specifica degli Agnelli
e dei loro arroganti "managers". Ma mentre costoro restano al loro posto
o vengono liquidati con buonuscite stratosferiche da decine di milioni
di euro, il costo della crisi generale e delle incapacità particolari
viene fatto ricadere sulle incolpevoli spalle degli operai e impiegati
della Fiat. Questi arroganti padroni che con vergognosa prosopopea raccomandavano
e raccomandano "sacrifici" mentre vivono nel lusso sfrenato e manovrano
miliardi come noccioline, magari per giocarli nella grande roulette della
borsa, non si preoccupano minimamente di mettere sul lastrico decine di
migliaia di famiglie di coloro che hanno sfruttato per decenni e che sono
stati, col loro lavoro, la fonte unica della loro ricchezza.
La risposta dei lavoratori deve essere netta e senza tentennamenti
nei confronti di questi cialtroni criminali. La forza della classe operaia
può battere i padroni della Fiat. Ma è necessario che essa
si sviluppi con coerenza e con gli strumenti adeguati. Già in una
occasione, nel lontano 1980, una grande lotta dei lavoratori Fiat contro
un processo di ristrutturazione, fu sconfitta perché tradita dalle
proprie direzioni, sindacali e politiche. Anche quest'ultime, nonostante
alcune demagogiche e menzognere prese di posizioni a cui furono obbligate
di fronte ai lavoratori, fecero di tutto (come ha ricordato più
volte l'attuale segretario dei DS Piero Fassino, allora responsabile fabbriche
del Partito comunista italiano a Torino) per impedire la radicalizzazione
della lotta e soprattutto l'adozione da parte dei lavoratori dello strumento
migliore per vincere: l'occupazione delle aziende.
Infatti è questo lo strumento d'azione operaia che i padroni
temono di più. Lo ricordava rispetto allo scontro del 1980 l'allora
amministratore delegato della Fiat, Cesare Romiti, in un suo libro del
1988 Questi anni alla Fiat. Infatti l'occupazione delle aziende porta lo
scontro al massimo livello, perché oltre a bloccare ogni forma di
produzione, mette in questione il potere padronale e il suo "sacrosanto"
diritto di proprietà e di gestione.
Di fronte alla gravità dell'attacco oggi portato è necessario
non solo realizzare da subito lo sciopero a tempo indeterminato del gruppo
Fiat, ma passare all'occupazione di tutte le aziende del gruppo. Non solo
di quelle oggi immediatamente minacciate di chiusura ma anche delle altre.
Ne và del destino dei lavoratori Fiat e dell'indotto, delle loro
famiglie, delle loro città e quartieri; ma anche più in generale
dei rapporti di forza tra il movimento operaio e il padronato nel loro
complesso. Se la Fiat vince perdono tutti lavoratori italiani, se essa
viene sconfitta vincono tutti i lavoratori.
Su questa basi è necessario poi passare ad forme di mobilitazione
dell'intero mondo del lavoro, compreso uno sciopero generale di sostegno
ai lavoratori Fiat, che può e deve intrecciarsi con le lotte per
i vari contratti, per i diritti e con una vertenza generale su salario,
diritti, salario ai disoccupati e stato sociale. Sull'insieme di queste
proposte è necessario chiamare a rispondere le direzioni del movimento
sindacale, in particolare quelle che oggi si dichiarano sostenitrici coerenti
degli interessi dei lavoratori: la Cgil (e la sua sinistra interna, Lavoro
e società), la Fiom e anche le forze della sinistra politica. Ciascuna
di loro deve dichiarare apertamente la sua proposta di lotta per battere
la Fiat.
Ma, ripetiamolo, il punto di partenza deve essere l'occupazione delle
fabbriche.
L'obbiettivo deve essere quello di respingere l'attacco della Fiat.
Né un licenziamento, né un lavoratore in mobilità
o in cassa integrazione. Ma è necessaria dare anche una risposta
complessiva e definitiva, dalla parte dei lavoratori, alla crisi Fiat.
Questa risposta non può essere che la nazionalizzazione del gruppo.
Come Progetto comunista siamo felici che il partito di cui rappresentiamo
la sinistra marxista rivoluzionaria, cioè Rifondazione comunista,
abbia ripreso questa parola d'ordine da noi avanzata da tempo. E' necessario
però aggiungere che tale rivendicazione deve contemplare l'esproprio
senza indennizzo (salvo ai piccolissimi azionisti). Gli Agnelli hanno già
pompato dalla finanza pubblica (cioè in primo luogo dalle tasse
su salari e stipendi) miliardi e miliardi, che hanno utilizzato solo per
i propri interessi; e la loro ricchezza è solo il frutto dello sfruttamento
di generazioni di lavoratori. Va indicata inoltre la necessità di
porre l'azienda sotto controllo dei lavoratori, come condizione per una
gestione positiva e per realizzare, senza alcuna riduzione di personale,
né nelle aziende né nell'indotto, anzi con un possibile incremento
occupazionale, le necessarie modifiche rispetto all'attuale gestione produttiva,
in primo luogo verso lo sviluppo del trasporto collettivo e ambientalmente
sostenibile.
La battaglia della Fiat è un momento centrale per tutto il mondo
del lavoro e per l'insieme del movimento operaio. I padroni possono e devono
essere battuti. Come militanti di Progetto comunista porteremo ovunque
possibile il nostro sostegno e le nostre proposte a cominciare dalle aziende
Fiat dove sono presenti nostri compagni, convinti della bontà e
necessità di quanto indichiamo per il successo dei lavoratori.