In vista del Seminario nazionale di luglio dell’area programmatica dei marxisti rivoluzionari, una proposta di prospettiva per Progetto Comunista

PER UN’UNICA, NUOVA E PIU’ AMPIA
ASSOCIAZIONE MARXISTA RIVOLUZIONARIA NEL PRC,
PER LA RIFONDAZIONE DELLA IV INTERNAZIONALE


Le acquisizioni strategiche comuni della nostra area; la confermata organicità dell’indirizzo riformista del gruppo dirigente del PRC; gli stessi sviluppi della lotta di classe sul piano nazionale e internazionale con la crisi profonda del riformismo e uno spazio crescente per il marxismo rivoluzionario, indicano, da angolazioni diverse ma convergenti, la necessità di un salto politico organizzativo dei marxisti rivoluzionari nel PRC: attraverso la trasformazione dell’area programmatica di Progetto Comunista in un'unica, nuova e più ampia Associazione m.r. basata sulle linee del documento congressuale (non emendato) proposto per il V Congresso, del documento presentato per la II Conferenza nazionale dei Giovani Comunisti e della risoluzione approvata dal Seminario nazionale di Massa (luglio 2001) di Progetto Comunista .
Con questo appello intendiamo proporre e avviare la costituente unitaria della nuova Associazione col più ampio coinvolgimento di tutte le forze interessate.
Nel pieno rispetto di tutte le compagne e i compagni dell’area congressuale che non intendono aderire alla nuova Associazione (o per legittime divergenze politiche o per indisponibilità a un impegno militante su questo terreno). Ma anche con la volontà di perseguire un più saldo quadro organizzato al servizio della battaglia rivoluzionaria, nazionale e internazionale. Ciò che implica, dentro il processo unitario lo scioglimento delle precedenti aggregazioni associative, nel concreto, dell’Associazione Proposta.
 

Gli avvenimenti mondiali degli ultimi mesi hanno confermato nel modo più vivo e diretto il quadro d’analisi proposto dal nostro documento congressuale e le sue implicazioni politiche.
La crisi Argentina ha rappresentato e rappresenta una sintesi impressionante della crisi capitalistica mondiale, dell’agonia del riformismo, dell’attualità della rivoluzione socialista come unica vera risposta: e la cortina di silenzio che oggi avvolge la lotta politica e di classe in corso in quel Paese è l’esatta misura della paura della borghesia circa possibili contagi.
In Francia, la sconfitta umiliante di Jospin e la crisi profonda della vecchia “sinistra plurale” è il manifesto del fallimento del riformismo nelle stesse metropoli dell’Occidente capitalistico: ed è la misura della crisi di consenso della costruzione imperialistica dell’U.E. presso settori sempre più ampi di società europea colpiti dalle politiche di restrizione sociale. L’esaurimento del ciclo politico socialdemocratico o di centrosinistra in un numero crescente di Paesi europei, col tendenziale ritorno delle destre, è la più evidente manifestazione politica di quella crisi.
In Medio Oriente, la guerra criminale dello Stato sionista d’Israele contro il popolo palestinese rivela ancora una volta il carattere illusorio di una possibile soluzione della questione palestinese attraverso l’accordo col sionismo e la benedizione USA e Europea: ed anzi ripropone una volta di più la connessione stringente, tanto più oggi, tra le rivendicazioni di autodeterminazione nazionale e la messa in discussione del capitalismo e dell’imperialismo nel mondo.
Parallelamente, da ogni versante, il riproporsi dell’attualità storica di una prospettiva rivoluzionaria si combina con la ripresa, dopo vent’anni, di vasti processi di mobilitazione di massa e radicalizzazione sociale. Alle varie latitudini del mondo la crisi di egemonia delle politiche dominanti sospinge all’azione una giovane generazione. Il cosiddetto movimento antiglobalizzazione ne ha costituito un primo sintomo rivelatore e anticipatore, carico di effetti di positivo contagio. Ma l’affacciarsi alla lotta della giovane generazione ha una base di riferimento ben più estesa di quella del “popolo di Seattle”, come si è visto in questi ultimi mesi. Giovane è stata ed è la rivolta di massa in Argentina; giovane è stata ed è la mobilitazione antilepenista in Francia; giovane è la seconda intifada in Palestina e la ripresa della mobilitazione di massa in larga parte dei paesi arabi. La stessa ripresa della lotta di classe -quale vero “movimento dei movimenti”- ha ovunque il volto della giovane generazione operaia. E l’intreccio di crisi economica, crisi del riformismo, ripresa di lotta della giovane generazione annuncia un nuovo scenario storico di convulsioni sociali e di profonda instabilità politica. E’ il segno tangibile di quell’epoca nuova che è al centro della nostra analisi congressuale.

Ma proprio il nuovo livello di scontro di classe sul piano mondiale richiama più che mai l’esigenza di una nuova direzione politica internazionale della classe operaia e delle masse oppresse. Questo è e resta il nodo decisivo per il futuro dei movimenti e della giovane generazione: per evitare che le esplosioni sociali che si annunciano nel secolo nuovo siano destinate alla medesima sconfitta delle grandi lotte del 900. E per questo è necessario che il patrimonio prezioso del marxismo rivoluzionario del 900, dei suoi principi, del suo programma, della sua lotta coerente contro la socialdemocrazia e lo stalinismo, sia recuperato e aggiornato, come base centrale di riferimento di una nuova direzione internazionale. Non si costruisce una nuova direzione rivoluzionaria senza fare i conti con il fallimento delle vecchie direzioni riformiste del movimento operaio. E non si fa i conti con quel fallimento se non recuperando a pieno l’insieme delle indicazioni alternative e dei principi a partire dai quali quel fallimento fu previsto, denunciato, contrastato. In questo senso l’intero quadro dagli avvenimenti mondiali conferma più che mai l’impegno assunto dalla larga maggioranza dell’Assemblea nazionale di Progetto Comunista un anno fa: “l’impegno di lotta per la rifondazione  dell’Internazionale Comunista e rivoluzionaria come rifondazione della IV Internazionale: entro un processo di raggruppamento rivoluzionario nel mondo di tutte le forze e tendenze d’avanguardia della classe lavoratrice che, al di là delle diverse provenienze e collocazioni attuali, siano disponibili a convergere nel recupero e riattualizzazione dei fondamenti politici, strategici, programmatici del marxismo rivoluzionario”.

Peraltro proprio la vicenda internazionale degli ultimi mesi testimonia il fondamento politico di questo impegno e prospettiva. Mai come oggi il riferimento a Trotsky e al “trotskismo” emerge all’attenzione di ampi settori d’avanguardia del movimento operaio e della gioventù. Mai come oggi la crisi del capitalismo e del vecchio riformismo amplia uno spazio politico di sviluppo di un polo marxista rivoluzionario.
In Argentina, il Partito Obrero conquista un ruolo centrale nell’avanguardia della classe operaia e nella direzione di settori di massa, diventando il terzo partito del Paese sul piano elettorale in diversi epicentri dello scontro sociale (10% a General Mosconi, 7% a Salta, raddoppio dei voti a Buenos Aires). In Francia, la crisi della sinistra plurale e, in essa, il crollo del PCF sotto il peso delle sue responsabilità di governo, porta Lutte Ouvrière ed LCR a conquistare un posto di primo piano nelle mobilitazioni di classe e giovanili e all’ampliamento enorme dello stesso consenso elettorale (che complessivamente quadruplica rispetto ai livelli dei primi anni 90).
E’ un fatto: la sinistra marxista rivoluzionaria o di richiamo marxista rivoluzionario è oggi in crescita sul piano mondiale, sia in termini di ruolo politico, sia in termini di radicamento sociale. E spesso è l’unica sinistra che avanza. Non si tratta di identificarsi in modo acritico in tutte le posizioni che questa sinistra assume. Né di ignorarne talora limiti profondi (quali ad esempio si esprimono in Francia sia nelle tendenze settarie di LO sia nella impostazione movimentista della maggioranza dirigente della LCR). Né si tratta di nascondere il quadro frequente di divisione organizzativa e frantumazione del campo marxista, spesso eredità di una lunga stagione di crisi e minoritarismo. Ma nessuno di questi elementi può offuscare il dato centrale: la crisi del riformismo in questa svolta d’epoca apre uno spazio storicamente nuovo per una rifondazione comunista rivoluzionaria. Forze e tendenze relegate per lungo tempo in un ruolo marginale e minoritario possono occuparlo o candidarsi a farlo. Dalla stessa crisi della socialdemocrazia e dei vecchi partiti comunisti possono liberarsi forze e tendenze nuove capaci di interloquire con le tendenze rivoluzionarie e ricomporsi con esse, attorno al programma marxista.
I primi materiali della rifondazione di un’Internazionale rivoluzionaria cominciano dunque a delinearsi in diversi Paesi e su scala mondiale. Investire in queste nuove potenzialità storiche, ricomporle in un quadro unitario sulla base di fermi principi, è il compito centrale della rifondazione comunista del nostro tempo. E’ il dovere dei comunisti in ogni Paese.

Il quadro italiano riflette a sua volta, in forma specifica, le tendenze del quadro mondiale e l’attualità della rifondazione rivoluzionaria. Anche qui la profondità della crisi economica e sociale ha accentuato l’instabilità politica. Quasi un decennio di centrosinistra, sulla base dei programmi di Maastricht e dell’imperialismo italiano, ha finito col consegnare l’Italia a Berlusconi. Ma l’avvento al governo delle destre si combina a sua volta con una crisi di consenso delle politiche liberiste e col risveglio alla lotta di una nuova leva di massa della gioventù. Ciò che produce un livello di scontro sociale e politico che l’Italia non conosceva da decenni. La prima metà del 2002 è stata al riguardo indicativa: se il movimento antiglobal ha fatto da battistrada, è la classe operaia che ha occupato il terreno con mobilitazioni obiettivamente imponenti a difesa dei propri diritti: mobilitazioni che, come nel caso del 23 marzo e del 16 aprile, hanno teso a ricomporre attorno a sé tutte le diverse domande di massa e i loro soggetti di riferimento. Le potenzialità di un’esplosione sociale sono dunque presenti. Ne sono consapevoli settori del grande capitale che premono sul governo per disinnescare la miccia dell’art.18. Ne sono consapevoli settori della stessa maggioranza di governo che, confusamente, premono il pedale del freno e cercano di riaprire un varco concertativo. Ne sono consapevoli le forze centrali dell’Ulivo che con la proposta negoziale del nuovo “Statuto dei lavori” provano a offrire alla borghesia italiana il terreno di scambio tra la propria riabilitazione e il ritorno della pace sociale (la stessa proposta referendaria dell’Ulivo è del tutto interna a questa logica di alternanza liberale antioperaia).
Ma proprio le grandi potenzialità del movimento sottolineano la profondità della crisi di direzione e i rischi che questa comporta. In particolare proprio le grandi potenzialità del movimento misurano l’inguaribile riformismo della maggioranza dirigente del PRC, e la sua totale incapacità di candidarsi a un ruolo di direzione alternativa.

Tutto l’impianto d’analisi, tutte le posizioni espresse nel V Congresso hanno conosciuto in pochi mesi la smentita più radicale. Un gruppo dirigente che si era autorappresentato come voce politica e istituzionale del “movimento dei movimenti” quale unico alveo della nuova opposizione, si è ritrovato alla coda di un movimento enorme di classe operaia diretto dalla burocrazia CGIL con un ruolo politico  marginale. Invece che rimontare lo spiazzamento subito e rilanciare una battaglia di egemonia alternativa nel cuore della lotta di classe, ha fatto l’esatto opposto: prima ha minimizzato la portata del movimento di massa rappresentandolo come appendice del “movimento dei movimenti” poi ha finito col benedirne la leadership, col plauso a Cofferati come “l’uomo della possibile vittoria”. Ma il risvolto centrale è nel rapporto col movimento. Il gruppo dirigente del PRC non ha avanzato alcuna proposta reale di azione e di indirizzo a 13 milioni di scioperanti sul terreno decisivo: quello della continuità e della radicalità della lotta. Anteponendovi una scelta referendaria, in una logica tutta istituzionale, e il rilancio di una convergenza unitaria con l’Ulivo: ossia con la rappresentanza politica liberale della classe nemica dei lavoratori. Nei fatti, un corso politico congressuale apparentemente movimentista ha esordito col silenzioso avallo del controllo burocratico sul movimento. E ancora una volta non si tratta di un errore fosse pure grave e ripetuto: si tratta del riflesso obbligato di una politica generale che mira, oggi come ieri, a una prospettiva negoziata di governo e che per questo rimuove, in ultima analisi, ogni battaglia di egemonia nei movimenti, condannandoli all’egemonia di forze burocratiche e per questa via alla subordinazione alla borghesia.
Peraltro, i prossimi anni tenderanno a delineare con maggior chiarezza la vera natura del corso politico del PRC. Dal IV al V Congresso, il fallimento del disegno di ricomposizione con l’Ulivo, pregiudicato dal crollo di quest’ultimo, ha stabilizzato la collocazione del PRC all’opposizione e la sua immagine “radicale” favorendo l’incontro con la giovane generazione. Oggi, la marginalizzazione del movimento noglobal e lo sviluppo dell’operazione politica di Cofferati riducono il margine di manovra “a sinistra” del gruppo dirigente del PRC e lo inducono ad anticipare le prime mosse di riavvicinamento all’Ulivo. Non sarà un processo né rapido, né lineare. Ma l’avvicinamento alla scadenza del 2006 tenderà a capovolgere la direzione di marcia della precedente stagione politica, smentendo nel profondo tutta la retorica della “svolta a sinistra” seminata col V Congresso e moltiplicando occasioni di frizione e contraddizione con la stessa avanguardia dei movimenti.

Il bilancio espresso nel nostro documento congressuale sull’intero corso decennale del gruppo dirigente del PRC, e la stessa prima esperienza sul campo della linea riformista varata dal V congresso ripropongono l’attualità della proposta centrale di Progetto comunista: la rifondazione di un partito comunista rivoluzionario con influenza di massa, capace di candidarsi a direzione alternativa della classe operaia e dei movimenti; capace di combinare la più rigorosa difesa dell’autonomia di classe e, quindi, della propria autonomia con la più aperta proiezione di massa per la conquista della maggioranza; capace di coniugare la battaglia per gli obiettivi immediati della classe e dei movimenti con la prospettiva centrale del rovesciamento della borghesia e dell’alternativa di potere, sulla base di un metodo e di un programma “ transitorio “; capace, in definitiva, -come diceva Marx- di difendere nel presente, in ogni presente, il futuro generale e internazionale della classe  operaia e della rivoluzione.
I testi proposti da Progetto comunista in occasione del IV ed in particolare del V congresso del PRC, pur con i loro inevitabili limiti, hanno tradotto questa proposta di fondo: non una pura “ opposizione “ alla linea di maggioranza, né una semplice indicazione politica alternativa di carattere congiunturale; ma la proposta strategica di una rifondazione comunista rivoluzionaria nei suoi fondamenti teorici e programmatici e, quindi, nelle sue implicazioni politiche. Una proposta proprio per questo irriducibilmente alternativa ad ogni variante di riformismo e di centrismo.

Ai caratteri stessi di questa proposta corrisponde il suo investimento politico: non quello della pressione critica sul gruppo dirigente riformista del PRC, nell’eterna illusione di un suo condizionamento strategico, ma quello della conquista delle forze migliori del partito a un coerente progetto comunista; un progetto proposto al corpo del PRC, in una logica aperta di egemonia politica e ideale, e al tempo stesso proiettato al di là del PRC nel più vasto processo della rifondazione del partito rivoluzionario: nella maturazione politica dell’avanguardia di classe, nell’esperienza  complessiva del movimento operaio, nell’incontro con le giovani generazioni.
Questo impegno di fondo per la rifondazione rivoluzionaria, fuori da logiche tatticistiche e congiunturali, ha rappresentato il filo conduttore dell’esperienza di Progetto comunista e della stessa evoluzione della sua articolazione interna, lungo un percorso di chiarificazione e consolidamento politico. Non a caso tutti i principali nodi politici che hanno percorso il nostro dibattito (rapporto coi DS, questione dello stalinismo, il metodo “transitorio “, la concezione del partito rivoluzionario come partito internazionale) hanno avuto come riferimento di fondo, seppure a livelli diversi, la medesima questione strategica: l’ambizione o meno di una rifondazione rivoluzionaria. E le separazioni o differenziazioni politiche intervenute hanno mosso, legittimamente e liberamente, da divergenze reali su questo terreno strategico.
La discussione e le risoluzioni del Seminario nazionale di Massa attorno ai nodi del programma e della rifondazione internazionale; la discussione e definizione della proposta congressuale per il V Congresso hanno rappresentato un punto d’approdo centrale di questo itinerario: sviluppando il livello di omogeneità politica e realizzando un quadro di convergenza strategica e di principio sui nodi fondamentali della politica rivoluzionaria.
Ciò non significa naturalmente né che quei documenti e risoluzioni sono “compiuti” e “ perfetti”, né che sia esaurita l’esigenza di ulteriore elaborazione, approfondimento e confronto tra i compagni che li sostengono.Tutt’altro: significa che quell’esigenza costante di elaborazione e di approfondimento può oggi disporre di una base comune di principio, di una comune cornice strategica.

Proprio questo fatto politico nuovo consente oggi uno sviluppo in avanti della condizione politica e organizzativa di Progetto comunista. La distinzione, all’interno di Progetto comunista, tra “l’area programmatica” e l’Associazione Proposta non è mai stata il prodotto né di astratte ingegnerie organizzative, né tanto meno di volontà conservative di “piccoli gruppi” (propria ad es. di Falcemartello): rifletteva, invece, il carattere incompiuto di un confronto politico sui principi essenziali del marxismo rivoluzionario.
Ora il raggiungimento di una comune base di principio consente su quella base la costruzione di una comune Associazione marxista rivoluzionaria e lo scioglimento in essa dell’Associazione Proposta.
L’unificazione piena dei marxisti rivoluzionari nel PRC in una comune Associazione non corrisponde solo all’esigenza, che pure è reale, di semplificare livelli e strumenti organizzativi, superando così l’attuale dispersione di forze e di energie. Risponde all’esigenza tutta politica di realizzare un passo avanti del Progetto comunista. Infatti, per sua propria natura, la proposta della rifondazione comunista rivoluzionaria non può essere solo propagandata sul terreno delle idee, ma dev’essere costruita. Dev’essere sostenuta dallo sforzo organizzato e attivo di un quadro militante coeso; deve dotarsi di un sistema reale di autofinanziamento basato sulla regolare contribuzione individuale; deve sviluppare un sistema razionalizzato di mezzi di stampa in proporzione alle sue possibilità; deve darsi strumenti di informazione e dibattito interni capaci di coinvolgere un maggior numero possibile di militanti; deve promuovere e coordinare, nelle forme possibili, una proiezione pubblica delle proprie proposte entro il dibattito dell’avanguardia di classe, nei movimenti di lotta e settori di intervento; deve collegarsi al confronto e all’iniziativa del marxismo rivoluzionario internazionale. Per tutto questo è necessaria una comune Associazione marxista rivoluzionaria che unisca tutte le disponibilità ed energie militanti e che, grazie a questo, possa sviluppare in avanti il livello organizzativo di Progetto comunista e della stessa Proposta.
Questo passo, oggi politicamente possibile, è tanto più importante nel momento attuale: nel momento di risveglio della giovane generazione, di ripresa dei movimenti di massa, di sviluppo di un dibattito di idee, seppur confuso e distorto, in significativi settori d’avanguardia; nel momento in cui una più vasta attenzione giovanile circonda lo stesso PRC, al di là di posizioni e prospettive del suo gruppo dirigente; nel momento in cui, non a caso, nonostante la prevedibile flessione subita, la nostra stessa proposta congressuale ha registrato complessivamente un voto più giovanile e più motivato. In questo quadro l’unificazione dei marxisti rivoluzionari nel PRC non è solamente un “nostro” progresso politico organizzativo, ma un piccolo fatto politico: capace di favorire una maggiore visibilità e credibilità del marxismo rivoluzionario in un settore di quella giovane generazione che è il terreno centrale della costruzione del partito.

Un'unica, nuova e più ampia, associazione marxista rivoluzionaria, sulle basi politiche indicate, può e deve convivere in modo positivo con l’insieme dell’area che nel V congresso si è raccolta attorno al documento di minoranza (non emendato).
E’ verosimile che una parte dei compagni che hanno votato il testo congressuale di minoranza, o che l’hanno attivamente sostenuto, non intenda aderire alla nuova Associazione: o per esigenza di ulteriore riflessione, o per indisponibilità militante su questo terreno, o per divergenze politiche (già espresse formalmente da una minoranza di Progetto comunista in occasione del Seminario di Massa) al di là del voto congressuale espresso. Si tratta di scelte tra loro diverse, ma tutte pienamente legittime, comprensibili e rispettabili. Ogni atteggiamento contrappositivo e di rottura da parte dell’Associazione nei confronti di questi compagni, sostenitori della medesima battaglia congressuale, sarebbe politicamente immotivato e profondamente negativo. Così come sarebbe negativo, naturalmente, ogni atteggiamento di contrapposizione di questi compagni alla nascita e alla vita della nuova Associazione. Al contrario, ferma restando la chiara distinzione della libera scelta di ciascun compagno, e le sue implicazioni, tutti i compagni sostenitori del documento congressuale di minoranza (non emendato) manterranno un raccordo all’interno del partito sul terreno della battaglia politica comune in occasione degli appuntamenti ordinari di intervento politico. Un rapporto garantito dalle rappresentanze già designate dell’area congressuale all’interno degli organismi dirigenti ai vari livelli (comitati federali, comitati regionali, comitato nazionale…) e dai coordinatori regionali dell’area. Parallelamente proprio una più chiara distinzione tra una associazione marxista rivoluzionaria, con la sua struttura militante, e una fluida e più larga area congressuale può evitare confusioni politiche e sovrapposizioni dispersive, favorendo dunque un confronto più libero e una relazione feconda per entrambi.

Un’unica, nuova e più ampia associazione marxista rivoluzionaria può interagire positivamente con i nuovi processi di ricomposizione politica internazionale dell’avanguardia di classe. Da un lato il nuovo sviluppo internazionale dell’area marxista-rivoluzionaria può contribuire ad una maggiore attenzione allo sviluppo e ai progressi del marxismo rivoluzionario in Italia: dando loro una cornice di riferimento potenzialmente capace di maggiore richiamo. Dall’altro lato l’unificazione dei marxisti rivoluzionari italiani può rappresentare un contributo, modesto ma reale, al difficile processo rifondativi di quell’Internazionale comunista rivoluzionaria che resta questione decisiva, tanto più oggi, per le prospettive del comunismo. Come afferma il documento della sinistra rivoluzionaria del PRC per la II Conferenza nazionale dei Giovani Comunisti:
“Contro il capitale globale occorre raggruppare tutte le forze che siano disposte a riprendere il cammino dell’Ottobre costruendo il partito globale della classe operaia e della sua avanguardia, strumento indispensabile per la prospettiva della rivoluzione socialista internazionale.”