MOZIONE DI MINORANZA PER IL COMITATO POLITICO NAZIONALE DEL 7 MAGGIO 2000


La vittoria del Centrodestra nelle elezioni amministrative del 16 aprile segna nel profondo la situazione politica nazionale e rappresenta  un serio monito per l’intero movimento operaio.

La collaborazione di governo tra socialdemocrazia liberale e Centro confindustriale, vero architrave del Centrosinistra, ha rappresentato dal ’96 ad oggi il volano della rivincita delle destre. Le politiche strutturali di taglio delle spese, privatizzazioni, flessibilità del lavoro –base programmatica dei governi Prodi e D’Alema al servizio e su mandato del capitale finanziario- hanno colpito e demotivato la base sociale delle sinistre, favorendo il consolidamento di un blocco sociale reazionario: un blocco egemonizzato dalla piccola e media impresa e dalle corporazioni delle libere professioni ma capace di significativa influenza su vasti strati popolari. L’alleanza tra Polo e Lega Nord ha costituito la rappresentanza politica vincente di questo blocco sociale.

La costituzione del governo Amato, in piena continuità programmatica e di rappresentanza borghese dei governi Prodi e D’Alema, tende oggi a rafforzare ulteriormente gli spazi di affermazione del centrodestra alle prossime elezioni politiche: il profilo d’immagine  craxiano della nuova leadership del Centrosinistra combinato con la rimozione della guida DS della coalizione; la crisi profonda delle relazioni interne al Centrosinistra e i processi di frantumazione che investono importanti forze politiche della coalizione; l’assoluta fissità delle politiche liberali del governo su commissione della grande impresa, concorrono nel loro insieme ad accentuare smarrimento e demotivazione di larga parte del popolo della sinistra a tutto vantaggio di Berlusconi, Bossi e Fini.

Il fallimento del Centrosinistra è dunque reale. Non è il fallimento delle sue politiche agli occhi e per conto del suo mandante sociale: il grande capitale continua ad esprimere un significativo ringraziamento  per il pieno successo del Centrosinistra in ordine al risanamento finanziario e alla pace sociale. Ma le politiche liberiste del Centrosinistra e il blocco subalterno del movimento operaio con la grande impresa sotto il controllo burocratico di socialdemocrazia e apparati sindacali hanno fallito l’obiettivo ambizioso dell’egemonia nella realtà italiana. L’avanzata del Centrodestra e del suo blocco sociale è la misura di questo fallimento. La crisi politica della coalizione il suo inevitabile effetto.

Ma il fallimento del Centrosinistra richiama un bilancio di fondo della linea di coalizione col Centrosinistra che il PRC ha perseguito dal suo III Congresso.
Certo, il PRC ha conseguito nelle elezioni amministrative del 16 aprile un risultato “non negativo”, seppur fortemente disomogeneo tra Nord e Sud e rapportato al minimo storico del ’99. Ma sarebbe un grave errore di metodo e di merito rimuovere per questo la necessità di un bilancio politico. La politica di condizionamento riformatore del Centrosinistra liberale e borghese è clamorosamente fallita assieme al Centrosinistra. E’ fallita su tutti i piani. Ha fallito dall’interno della coalizione nazionale di governo negli anni di Prodi, come ha fallito dall’esterno. Ha fallito sul piano nazionale come nelle esperienze locali di governo di importanti regioni e città. Ovunque il profilo politico e programmatico reale del Centrosinistra, le sue relazioni materiali e di classe  coi poteri forti della società si sono rivelate impermeabili ai suggerimenti, alle pressioni, ai tentativi di “contaminazione” del PRC.
L’attuale sordità del Centrosinistra alle limitate proposte sociali del PRC, l’ostentata indisponibilità persino all’ascolto delle sue “ragioni sociali” sono la smentita simbolica definitiva di un intero corso politico del PRC. Un corso politico che oltretutto ha disperso occasioni preziose di autonomia e vasta comunicazione di massa del partito, a scapito della sua stessa visibilità (come nell’ultima campagna elettorale); e che ha prodotto danni consistenti all’iniziativa e costruzione del PRC inducendo al suo interno  disorientamento e demoralizzazione.

Il CPN del PRC, alla luce di questo doveroso bilancio e nel contesto della nuova situazione politica promuove una svolta complessiva, politica e strategica, dell’indirizzo di fondo del partito. Non è sufficiente riconoscere il fallimento del Centrosinistra  e sottrarsi alle sue macerie . E’ necessaria una nuova rotta di fondo che insieme combini una coerente autonomia di classe del nostro partito con un forte scatto di proiezione esterna e di proposta nuova al movimento operaio e alle masse popolari, fuori da ogni logica subalterna, come da ogni tentazione di arroccamento settario.

A) E’ necessario innanzitutto che il nuovo giudizio di fallimento del Centrosinistra sia accompagnato da subito da atti politici coerenti. La ricollocazione del PRC all’opposizione del Centrosinistra sul piano locale a partire da quelle giunte regionali e di grandi città (v. giunta Rutelli) che hanno fatto da volano alla rivincita delle destre; l’annuncio definitivo delle presentazione politica indipendente del PRC alle prossime elezioni politiche come forza autonoma  da Centrodestra e Centrosinistra sono atti che, nel loro insieme, danno immediatamente riscontro coerente alla svolta.

B) Parallelamente il CPN promuove una vasta e aperta campagna di massa nel movimento operaio, nei movimenti di lotta, presso la base operaia e popolare dei DS per una rottura del movimento operaio con le forze del Centro confindustriale e democristiano, proponendo in questo caso un fronte unitario d’azione sulla base di un programma anticapitalistico. E’ una proposta indotta dal bilancio fallimentare del Centrosinistra di fronte alle destre. Solo la rottura di classe del mondo del lavoro e dei disoccupati con la rappresentanza politica della grande impresa e del capitale finanziario; solo il pieno recupero dell’indipendenza politica del movimento operaio da tutte le forze della borghesia può creare le condizioni di una ripresa della mobilitazione di classe. E solo un grande rilancio della mobilitazione di classe e delle lotte di massa come insegna l’esperienza dell’autunno del ’94 può oggi arrestare l’ascesa delle destre e ribaltare di segno lo scenario politico italiano.

C) Il CPN promuove l’immediata elaborazione di un programma d’azione del PRC per il rilancio dell’opposizione di massa e la ricomposizione del blocco sociale alternativo. La proposta di una vertenza generale unificante del mondo del lavoro attorno ai temi intrecciati del forte recupero salariale, della riduzione dell’orario di lavoro, della cancellazione delle misure di flessibilità (“pacchetto Treu”), di un vero salario sociale per i disoccupati, di un salario minimo intercategoriale totalmente detassato; e di una corrispondente rivalutazione dei minimi pensionistici, può e deve essere posto con forza dal nostro partito nei luoghi di lavoro, nelle organizzazioni di massa, nell’intervento sul territorio, entro un più generale programma anticapitalistico. La stessa campagna di boicottaggio dei referendum antisociali di Confindustria e Radicali va assunta, fuori da uno schema puramente elettorale ed istituzionale, come occasione di una campagna di massa per la rottura definitiva della concertazione e il rilancio di una mobilitazione indipendente del movimento operaio. Parimenti il PRC deve oggi impegnarsi a fondo a sostegno del movimento dei ferrovieri e della lotta dei lavoratori della scuola, sviluppando su quel terreno un’elaborazione di proposta attorno a obiettivi, forme di lotta, forme di organizzazione. Più in generale è prioritario sviluppare un impegno concentrato di tutto il Partito sul lavoro di massa nel mezzogiorno, tassello decisivo nella ricomposizione del blocco sociale alternativo.

D) In questo quadro il CPN propone una linea di denuncia e boicottaggio del profilo complessivo dell’operazione referendaria, invitando ad una non partecipazione al voto sul referendum elettorale e sugli altri referendum minori. Entro questa linea complessiva di boicottaggio dei referendum (a partire da quello elettorale) va colta la specificità del referendum sui licenziamenti come terreno di campagna attiva del partito in rapporto alla sensibilità di larghi settori del mondo del lavoro e alle spinte di mobilitazione che si sono prodotte. L’indicazione “ritira una sola scheda, vota NO alla libertà di licenziamento” è l’indicazione che più corrisponde a questa necessità.

Parallelamente sul tema elettorale ed istituzionale il CPN ritiene essenziale che la campagna frontale contro il sistema maggioritario per il suo affossamento sia accompagnata da una forte campagna democratica per il rilancio della legge proporzionale fuori da ogni concessione alla cultura della governabilità e della stabilità dei governi (v. soglie di sbarramento). Si tratta non solo e non tanto di una battaglia conforme ai nostri interessi di rappresentanza istituzionale del PRC, ma di una battaglia di principio per gli interessi indipendenti del movimento operaio: che non ha alcun interesse a sacrificare in tutto o in parte la rappresentanza democratica delle proprie ragioni sociali alla stabilità del sistema borghese e dei suoi governi.

Questo nuovo indirizzo politico è inseparabile da un nuovo obiettivo strategico: la costruzione del PRC quale asse di ricomposizione di una nuova direzione politica del movimento operaio, di un’altra sinistra italiana basata su un programma coerentemente anticapitalistico.
Sostituire l’illusione fallita della contaminazione del CS con l’obiettivo di una sinistra plurale “jospiniana” sarebbe profondamente negativo per il PRC. Non solo perché significherebbe riesumare il mito di Jospin proprio nel momento in cui le politiche liberali temperate della sinistra plurale francese sono esposte ad una forte crisi di credibilità e a una aperta contestazione di massa. Ma perché significherebbe continuare ad assumere l’apparato burocratico DS quale interlocutore strategico di una ricomposizione della sinistra, e il nostro partito quale strumento critico di pressione entro un orizzonte riformista e governista. Il disastro in Spagna dell’intesa riformistica tra IU e Psoe dimostra che questa logica di cartello riformistico con gli apparati dominanti della sinistra non indica alcuna reale prospettiva per il movimento operaio.

Al contrario, il fallimento del Centrosinistra, la crisi profonda dei DS, il vasto disincanto, sia pure confuso, che ampi settore di classe subalterna e di popolo di sinistra esprimono verso le direzioni politiche tradizionali, rendono più che mai attuale e necessario un altro obiettivo strategico, certo difficile ma decisivo: la costruzione di un’altra sinistra. Non una “sinistra alternativa” come area politico-culturale antagonista alla ricerca di una collocazione frontista a fianco dei vecchi apparati riformisti. Tantomeno una “nuova formazione politica”, leggera e d’opinione- come vorrebbe Pintor- o confuse soluzioni federative che marcino di fatto in quella pericolosa direzione. Ma un partito comunista rivoluzionario e di massa alternativo a quegli apparati, impegnato a costruire nel movimento operaio un’altra egemonia sulla base di un programma di alternativa di sistema.

Il CPN intende avviare con forza una profonda svolta democratica nella vita interna del PRC, rafforzando anche per questa via la necessaria unità d’azione del Partito. Vanno apertamente combattute tendenze diffuse al burocratismo, alla prevaricazione amministrativa, al “lobbysmo” che in questi anni hanno preso corpo nel PRC. Ma possono essere combattute efficacemente solo se si rafforza e si eleva il terreno politico del confronto, se si incentiva la partecipazione dei compagni alla vita del Partito e alla definizione delle sue scelte (anche evitando scelte politiche demotivanti), se si sviluppa un clima profondamente nuovo basato sulla valorizzazione e sul rispetto paritario delle diverse idee e proposte. Rifondazione Comunista non può ridurre la democrazia a semplice tolleranza del dissenso. Può e deve invece porre le diverse posizioni e proposte su un piano di reale parità agli occhi di tutti i Compagni, favorire la loro più ampia conoscenza, sviluppare anche così la libera formazione critica dei militanti e dei quadri.

Roma, 7/5/2000

Marco Ferrando
Ivana Aglietti
Claudio Bellotti
Vito Bisceglie
Anna Ceprano
Franco Grisolia
Luigi Izzo
Matteo Malerba
Francesco Ricci
Michele Terra