Documento per la Conferenza dei lavoratori e delle lavoratrici del Prc (Treviso, 27-28 gennaio 2001)

PER LA COSTRUZIONE DEL PRC TRA I LAVORATORI E LE LAVORATRICI
COME PARTITO COMUNISTA E DI CLASSE

contributo di Marco Ferrando, Franco Grisolia, Francesco Ricci
(della Direzione nazionale PRC)


La conferenza dei lavoratori e delle lavoratrici del PRC deve segnare una svolta nella politica del nostro partito all'interno del movimento operaio. Una svolta dettata da una prospettiva nuova: la costruzione del PRC come partito autonomo di classe, impegnato a lottare per una nuova direzione, politica e sindacale, del movimento dei lavoratori, sulla base di un programma coerentemente anticapitalistico per un'alternativa di sistema.
 

PER UNA NUOVA DIREZIONE POLITICA DEL MOVIMENTO OPERAIO

La necessità di una lotta strategica per una nuova direzione politica autonoma e di classe del movimento operaio è comprovata dall'intera esperienza del movimento operaio italiano. Negli ultimi decenni tutte le scelte di fondo delle direzioni politiche maggioritarie del movimento operaio hanno subordinato a sé gli orientamenti del movimento sindacale e hanno fortemente condizionato gli esiti delle stesse dinamiche della lotta di classe. Negli anni '70 fu la politica del compromesso storico sotto la direzione Berlinguer, nel segno della maggioranza di governo con la rappresentanza centrale della borghesia italiana, a determinare la svolta sindacale dell'EUR in totale collisione con le domande sociali e la dinamica di classe sprigionatasi dall'autunno caldo: e proprio il traumatico arresto dell'ascesa del movimento operaio innescò quella parabola del riflusso entro cui si inserirà la vendetta di classe del padronato a partire dall'ottobre '80 alla FIAT, con un profondo ribaltamento dei rapporti di forza sociali. Così negli anni '90 fu la rapida scalata della burocrazia PDS al governo del capitale a dettare la svolta sindacale degli accordi distruttivi del 92 e 93 (accordi di luglio), a spezzare le riprese di lotta del '92 e soprattutto del '94 contro Berlusconi, a garantire al padronato sotto tutti i governi dell'Ulivo la più straordinaria pace sociale degli ultimi trent'anni a fronte della più pesante offensiva antioperaia degli ultimi trent'anni.
E' dunque del tutto illusoria ogni ipotesi di aggiramento del nodo della rappresentanza e direzione politica della classe lavoratrice in nome di logiche tradeunionistiche e di movimento. Non c'è autonomia di classe del movimento operaio sul terreno sindacale e di lotta senza autonomia di classe sul piano politico. Per questo la lotta per la dissoluzione dell'influenza D.S. nel movimento operaio, per una egemonia politica alternativa tra le masse va assunto come elemento centrale della politica comunista incorporato alla nostra stessa azione sindacale (tanto più nel momento in cui la burocrazia liberale maggioritaria dei DS rompe anche con la tradizione socialdemocratica tendendo a trasformarsi, come apparato, in una rappresentanza diretta della grande borghesia).

Senza una nuova direzione, infatti, anche i più grandi movimenti di massa finiscono con l’essere contenuti, deviati, dissolti e magari “usati” per ragioni estranee alle loro motivazioni di classe: è l’esperienza amara dell’autunno del ‘94. Senza una nuova direzione, un nuovo punto di riferimento, una nuova proposta, oggi si cronicizzano e si aggravano tutte le difficoltà esistenti sullo stesso terreno di una possibile ripresa del movimento di massa.
 

NO AL "POLITICISMO": PER UNA CONNESSIONE STRINGENTE TRA SCELTE POLITICO/ISTITUZIONALI E RAGIONI DI CLASSE

Ma la costruzione del PRC come partito autonomo di classe che si candida all'egemonia alternativa tra le masse, implica una coerenza stringente tra le scelte di classe sul piano sociale e le scelte politico-istituzionali dei comunisti. Contro ogni deteriore politicismo va combattuta l'idea della separatezza delle scelte istituzionali: ogni scelta politica e istituzionale del partito è, obiettivamente, una scelta di classe, nel senso che definisce una collocazione obiettiva nello scontro sociale fra le classi. Per questo la collocazione all'opposizione delle classi dominanti sul piano sociale comporta, ad ogni livello, la collocazione politica alternativa del PRC rispetto alle rappresentanze politiche e di governo di quelle classi. E questo non semplicemente negli interessi dei comunisti ma nell'interesse generale del movimento operaio.

La necessità di questa svolta strategica è suggerita dalla stessa esperienza drammatica di questi anni. L'esperienza del nostro sostegno al governo Prodi nei due anni decisivi della transizione italiana nell'Europa di Maastricht è stata obiettivamente devastante. Al punto che la stessa nostra opposizione di oggi è chiamata a contrastare, entro rapporti di forza sociali e politici profondamente deteriorati, gli effetti duraturi di politiche, leggi e misure che il PRC ha votato in quegli anni decisivi. Basti pensare al "pacchetto Treu" e alla piaga del lavoro interinale ormai dilagante nei servizi, nell'industria, nello stesso pubblico impiego. Questa esperienza non può essere allora rimossa, tanto più a bilancio conclusivo della legislatura e della stessa precedente Conferenza dei lavoratori. Essa dimostra una volta di più che la collocazione all'opposizione degli schieramenti politici dominanti, sia di Centrodestra sia di Centrosinistra, non può essere concepita e vissuta come "stato di necessità" temporaneo, ma va razionalizzata come scelta strategica di fondo. Il nostro partito può costruirsi come rappresentanza degli interessi di classe solo opponendosi strategicamente ai governi delle classi dominanti, incarnati oggi dal Centrosinistra liberale. Da qui la necessità di recuperare una coerente collocazione di opposizione anche sul terreno locale, a partire dalle Regione e dalle grandi città, dove ci troviamo a gestire e calmierare quelle stesse politiche liberiste che oggi contrastiamo sul piano nazionale. Da qui anche la necessità di una scelta chiara, inequivoca, coerente, in occasione delle imminenti elezioni politiche generali ove il nostro partito può e deve tradurre l'autonomia di classe nella presentazione pienamente autonoma e alternativa a Centrodestra e Centrosinistra con la candidatura a premier di Fausto Bertinotti in contrapposizione a Rutelli e Berlusconi. Perché sarebbe singolare, tanto più a bilancio di una legislatura violentemente antioperaia e di guerra, combinare la belligeranza dell'opposizione sociale con la non belligeranza verso lo schieramento di governo del grande capitale.

Al tempo stesso il PRC non può limitarsi a rappresentare le ragioni dei lavoratori e delle lavoratrici sul terreno istituzionale in una logica prevalentemente elettoralistica.
Deve porsi e costruirsi come strumento di loro orientamento politico sul terreno delle lotte e del movimento. La stessa collocazione all'opposizione del PRC va apertamente investita nella ricostruzione dell'opposizione di massa alle politiche dominanti. A partire da una razionalizzazione di fondo: solo un'autentica esplosione di radicalità di classe può ribaltare i rapporti di forza sul piano sociale, incidere sulle contraddizioni del blocco sociale delle destre (come già nell'autunno del '94), smuovere lo scenario politico. E viceversa senza questa svolta tutte le attuali difficoltà del movimento operaio tenderanno a cronicizzarsi ed aggravarsi, sia sul piano sociale sia sul piano politico generale.
 

PREPARARE LE CONDIZIONI DEL MOVIMENTO, NON INVOCARLO

Sviluppare e ricomporre un movimento di massa contro le politiche dominanti è compito complesso: tanto più dopo l’ulteriore degrado della situazione sociale degli ultimi anni.

Ma proprio la difficoltà della situazione sociale e in essa la nostra difficoltà, richiedono una svolta chiara, di impostazione analitica e politica.

Innanzitutto vanno respinte esplicitamente, senza equivoci, le teorie ciclicamente riemergenti in fasi di riflusso, circa il tramonto della centralità di classe. Le potenzialità di lotta della classe lavoratrice e delle masse, nonostante le sconfitte e gli arretramenti subiti, sono immense. La crisi capitalistica certo rimodella i blocchi sociali ma ripropone al contempo, su basi ancora più ampie, tutte le condizioni materiali della lotta di classe e del conflitto, nel mondo e nella stessa Europa.

I grandi processi di proletarizzazione che investono gli stessi paesi imperialisti accumulano nuove fascine sul terreno sociale. Non a caso la vicenda europea degli anni Novanta, entro una dinamica di brusche svolte, ha visto ricorrenti esplosioni sociali come nel ‘94 in Italia, nel dicembre ‘95 in Francia, nei mesi scorsi in Danimarca e in Grecia, spesso con basi di massa ancor più estese che in cicli precedenti della lotta di classe.

Le condizioni materiali di un’esplosione sociale in Italia sono dunque ben presenti nella situazione del paese. E ne sono infatti coscienti le classi dominanti che proprio per questo puntano ad un equilibrio politico (centrosinistra) e ad una strategia avvolgente (patto sociale) funzionali a prevenire e disinnescare quelle potenzialità. Il primo compito dell’opposizione comunista è allora quello di lavorare a ricostruire nel movimento operaio e tra le masse la consapevolezza e fiducia nelle proprie possibilità di resistenza e controffensiva verso le politiche dominanti, contrastando le vaste tendenze, oggi dominanti, alla demoralizzazione e al ripiegamento passivo.

Al tempo stesso l’esperienza ci mostra che un movimento di massa non decolla per decisione di partito, ma si innesca nella concretezza imprevedibile dello scontro sociale e politico di classe.

La funzione del Prc non è allora quella di invocare il movimento o di illudersi di surrogarlo con proprie iniziative di partito. Ma è quella di lavorare pazientemente e capillarmente tra le masse per favorire le condizioni di innesco di un’ampia radicalizzazione sociale nel segno della ricomposizione di un blocco anticapitalistico.

E’ essenziale a questo fine sviluppare l’inserimento attivo del nostro partito in ogni ambito di massa, in ogni realtà di movimento, in ogni piega di conflitto per quanto limitato e parziale possa essere, assumendoci la responsabilità di nostre indicazioni e proposte in rapporto diretto con le esigenze concrete di ogni settore del proletariato e delle masse oppresse. Ma parallelamente abbiamo la necessità di lavorare in una logica unificante tesa a ricomporre l’unità di lotta dei diversi soggetti del blocco sociale alternativo contro i processi di arretramento e disgregazione.
 

PER UNA VERTENZA GENERALE DEL MONDO DEL LAVORO E DEI DISOCCUPATI

Sotto questo profilo è necessario che il nostro Partito avanzi una sua proposta rivendicativa di fase per la ricomposizione del blocco sociale. Questa proposta non può essere la somma astratta degli obiettivi programmatici del partito, né può ridursi alla pur giusta rivendicazione delle 35 ore. Deve invece rispondere alla complessa articolazione del blocco alternativo e all’esigenza di una sua riunificazione oggi: la riunificazione del lavoratore che pratica lo straordinario, del lavoratore precario e flessibile, del disoccupato e del giovane senza lavoro.

Questa esigenza di unificazione non passa per l’affidamento a una pura logica sindacale e categoriale. E non è realizzabile nel rispetto delle compatibilità del capitalismo in crisi e del “patto di stabilità”. Passa invece per lo sviluppo di una vertenza generale del mondo del lavoro, dei giovani e dei disoccupati attorno a una piattaforma comune basata interamente sulle esigenze delle classi subalterne. Nell’attuale situazione, solo una vertenza generale su una piattaforma comune, può unire le forze esistenti, sottrarle alla dinamica di frantumazione e sconfitta in ordine sparso, innescare una ripresa reale di mobilitazione e ricomposizione del fronte alternativo. Il Prc può e deve dunque avanzare apertamente questa proposta accompagnandola con gli obiettivi seguenti:

- un reale recupero salariale attraverso un significativo aumento uguale per tutti, che assuma l'indicazione delle 500 mila lire di incremento oggi avanzata da un settore d'avanguardia dei lavoratori della scuola;

- la riduzione immediata e generalizzata dell’orario di lavoro a parità di salario a 35 ore settimanali, senza flessibilità ed annualizzazione, senza finanziamento ai padroni e a spese dei profitti, con una drastica limitazione del lavoro straordinario;

- la trasformazione di tutti i contratti atipici e particolari in contratti a tempo pieno e indeterminato: la battaglia per l'abolizione del "pacchetto Treu" va assunta, in questo senso, come battaglia centrale del partito;

- un dignitoso salario sociale garantito ai disoccupati, pari al 70% del salario garantito, corrispondente a un milione e quattrocentomila lire mensili;

- il riconoscimento e l’estensione dei diritti sindacali a tutti i lavoratori subordinati, indipendentemente dal tipo di contratto e dalla dimensione dell’impresa (con la rivendicazione di un salario minimo garantito di due milioni netti al mese).

Questa piattaforma naturalmente, può e deve essere articolata in forme diverse nei diversi luoghi sociali di intervento. Ma può costituire il punto di riferimento unificante per il lavoro di massa del partito nei movimenti di lotta, nelle organizzazioni di massa, sul territorio superando in avanti le frequenti tendenze settorialiste o localiste. Indipendentemente dai risultati immediati questo lavoro di massa per la vertenza generale, può rappresentare un lavoro preparatorio prezioso per lo sviluppo e l’orientamento del movimento futuro.
 

PER UN’UNIONE NAZIONALE DEI DISOCCUPATI, PER IL SALARIO SOCIALE

E' importante un intervento finalizzato del partito nell’attuale movimento dei disoccupati, oggi frammentato e diviso. Va superata anche qui una logica di puro sostegno e solidarietà, o di mediazione tra movimento e istituzioni. Il Prc deve avanzare proposte precise di costruzione e indirizzo di un movimento unitario dei disoccupati come soggetto vertenziale e di lotta contro il governo.

Intanto è essenziale una proposta di unificazione organizzativa dei disoccupati con la prospettiva di un’“Unione nazionale” democraticamente costituita e rappresentativa. Un’assemblea nazionale a Napoli delle strutture e dei comitati dei disoccupati, opportunamente preparata e costruita, può essere un primo passo in questa direzione.

In secondo luogo è essenziale la proposta rivendicativa. Una particolare rilevanza assume in questo ambito la rivendicazione del salario sociale per i disoccupati in cerca di lavoro, come terreno unificante di mobilitazione e di lotta a partire dal Mezzogiorno.

E’ importante che il PRC abbia oggi assunto formalmente la tematica del salario sociale, superando finalmente il rifiuto frapposto per lungo tempo, sia al III che al IV Congresso a questa rivendicazione elementare. Ma essa, una volta assunta, va coerentemente sviluppata nella logica sua propria liberandola da ogni condizionamento compromissorio della vecchia impostazione. Non si può conciliare la rivendicazione del salario sociale con la richiesta del lavoro minimo garantito (come nella proposta di legge oggi avanzata dal PRC). Il lavoro "minimo" - flessibile, precario, a termine - è oggi "garantito" dal capitalismo e dalle politiche del lavoro della classe dominante, a tutto vantaggio dei profitti e a tutto danno della classe lavoratrice. Salario sociale ai disoccupati significa, all'opposto, dare ai disoccupati un'arma di lotta contro il lavoro "minimo"; un'arma di resistenza al ricatto della scelta tra disoccupazione e supersfruttamento; un'arma finalizzata alla battaglia per il lavoro vero, stabile e qualificato, in convergenza con l'interesse generale della classe e nella logica della sua ricomposizione. Peraltro il mantenimento di un'impostazione compromissoria tra salario sociale e lavoro minimo se da un lato può forse incontrare l'interessata apertura del Centrosinistra, dall'altro ci pone in contraddizione con la stessa formulazione di salario sociale oggi avanzata dall'Assemblea dei disoccupati europei e dal sindacalismo di classe continentale.
 

PER UNA COERENTE RIFONDAZIONE SINDACALE

La ricollocazione del partito all’opposizione deve combinarsi con una svolta profonda della nostra politica sindacale.

Essenziale è innanzitutto un giudizio di fondo, chiaro e inequivoco, sulla natura delle burocrazie sindacali, quali vere e proprie agenzie della classe dominante all’interno del movimento operaio. La politica di concertazione dei gruppi dirigenti confederali e segnatamente della Cgil non rappresenta semplicemente una “politica sbagliata” o un “errore burocratico”, per quanto gravi. Riflette la natura profonda degli apparati burocratici del sindacato: un “ceto politico”, e una corrispondente struttura tramite i quali il grande capitale esercita e perpetua il suo dominio di classe.

Il primo dovere del nostro partito è quindi quello di superare l’ottica sino ad ora perseguita di “spostare a sinistra l’asse della Cgil”. All’opposto il Prc è chiamato ad assumere come nuovo asse della propria politica sindacale una lotta aperta per cacciare la burocrazia dal movimento sindacale, a partire da un giudizio di “irriformabilità” delle strutture.

Ciò non esclude il lavoro dei comunisti nelle organizzazioni tradizionali e segnatamente nella Cgil. Ma certo implica il completo abbandono di ogni logica di pressione, fosse pure radicale, sulle burocrazie dirigenti, e lo sviluppo di un’aperta opposizione di classe capace di sfidare le “regole” dell’apparato sindacale e di configurarsi come riferimento autonomo per l’insieme dei lavoratori/lavoratrici.

Sotto questo profilo, si impone un bilancio onesto dell’obiettivo fallimento, in seno alla Cgil, sia dell’esperienza dell’Area programmatica dei comunisti, sia di Alternativa sindacale: un bilancio tanto più necessario nel momento dell'unificazione di queste due esperienze. .

La prima ha costituito un tentativo verticistico di approntare una pura cinghia di trasmissione del Prc in Cgil, subordinata in particolare alle mutevoli scelte del gruppo dirigente del partito e alle sue esigenze tattiche nella negoziazione di governo: il sostegno attivo dell’Area Programmatica alle finanziarie del governo Prodi ne è stato un riflesso.

Ma anche il gruppo dirigente di Alternativa sindacale non ha avanzato realmente un’alternativa di classe alla politica della burocrazia: si è invece chiusa in una logica di pressione, come “minoranza congressuale” sulla base di un approccio sostanzialmente riformista allo scontro sociale in atto: un approccio che trova oggi un riflesso -nell’adesione congiuntamente all'Area dei comunisti- al programma del cosiddetto “Forum antiliberista”, basato su un’impostazione neokeynesiana, oggi accettata purtroppo da un’area vasta del sindacalismo di classe.
Gli errori e i gravissimi limiti di linea ed azione di entrambe le aree di minoranza non sono quindi in nulla superati nel momento della loro unificazione in "Lavoro e Società". Senza una correzione di impostazione generale rischiano di perpetuarsi ed accentuarsi con il permanere di un adattamento al quadro burocratico della confederazione.

Per questo se il quadro di ricomposizione larga della sinistra sindacale in CGIL è in sé positivo, non possiamo limitarci ad un atteggiamento di puro sostegno alla nuova aggregazione, né tanto meno dobbiamo concepirla come tassello politico e contrattuale della cosiddetta “sinistra plurale”: ciò che oltretutto ci condurrebbe a una politica di pressione su Cofferati, di fatto subalterna sullo stesso terreno sindacale. Dobbiamo invece assumere il quadro largo della nuova aggregazione come terreno di battaglia per una svolta netta della sinistra sindacale: per una sinistra sindacale che esca da una logica di puro posizionamento d’apparato e si assuma apertamente responsabilità di lotta nel rapporto con i lavoratori; per una sinistra sindacale che si candidi all'egemonia sulla base di un programma d'azione antiburocratico e anticapitalistico in aperta opposizione ai gruppi dirigenti; per una tendenza che si organizzi realmente e democraticamente nei luoghi di lavoro e nelle categorie e non solo nei gruppi dirigenti. Senza questa svolta radicale di orientamento, la nuova sinistra CGIL finirebbe col percorrere vecchi sentieri, già battuti e già falliti.

Parallelamente il PRC deve lavorare ad un collegamento costante, nell'azione, tra la sinistra rifondata della CGIL e i compagni e le compagne che sviluppano la propria azione nel sindacalismo extraconfederale di base.
Quest'ultimo si configura, ovviamente, come un quadro di intervento molto più avanzato sul terreno degli obiettivi politico-sindacali. Tuttavia su basi diverse è anch'esso segnato da limiti reali (che vanno oltre i limiti della sua attuale influenza). Uno di questi è la tendenza alla frammentazione unita alla presenza di forze (come il gruppo dirigente dell'RdB) che, rappresentando gruppi politico-ideologici chiusi e senza grande base reale, utilizzano in maniera non democratica il proprio controllo organizzativo su strutture sindacali in funzione di operazioni politiche proprie.
Così costitituisce un limite la tendenza a vedere lo sviluppo della rifondazione del sindacalismo di classe come processo lineare di sviluppo progressivo delle "organizzazioni sindacali di base", aggirando il problema delle grandi organizzazioni confederali (segnatemente della CGIL) e della battaglia antiburocratica nel loro seno. Mentre la storia anche recente dimostra che se da un lato esistono, nell'attuale situazione di disaffezione di massa per la politica delle burocrazie, tentativi di costruzione di nuove formazioni sindacali, dall'altro la tradizionale posizione comunista (leninista in particolare) sulla erroneità di abbandonare i grandi "sindacati reazionari" (Lenin) alle burocrazie filo-borghesi senza sviluppare una battaglia interna per distruggerne l'egemonia sulla classe, conserva la sua sostanziale validità e va mantenuta ed applicata in riferimento alla concreta situazione.
In questo quadro va salutato con grande favore il processo di raggruppamento che si sta realizzando nel sindacalismo extraconfederale di base tra S.In.Cobas, la Confederazione dei Cobas e S.d.B, accelerata dall'esperienza centrale della lotta degli insegnanti. Questo processo permette anche di superare a positivo le ambiguità dell'esperienza S.In.Cobas nata in parallelo a quella dell'Area dei comunisti in funzione di battaglie essenzialmente politiche contro settori critici rispetto all'alleanza del PRC con il centrosinistra (maggioranza SLAI Cobas).
E' importante che questa esperienza di unificazione venga indicata ad esempio per l'insieme del sindacalismo extraconfederale, al contempo evitandone nuove utilizzazioni in funzione puramente politica (come passaggio di aggregazione intorno alla Convenzione della "sinistra di alternativa") che ne limiterebbero in questo quadro le potenzialità rispetto all'azione nella lotta di classe (come è in parte avvenuto dopo il grande sciopero degli insegnanti del 17 febbraio). E' importante che la nuova struttura eviti poi ogni ipotesi di autosufficienza, considerandosi invece come tassello di un progetto più ampio di rifondazione sindacale.

Il Prc non può illudersi di superare “per decreto” l’attuale dislocazione dei militanti comunisti in diverse organizzazioni sindacali: è questa una realtà sancita e “legittimata” sia dall’obiettiva complessità della questione sindacale, sia dalla concreta vicenda del sindacalismo italiano, e che solo lo sviluppo della lotta di classe e l’esperienza della lotta antiburocratica potrà consentire di superare in avanti.

Il Prc può e deve invece, da subito, indicare l’asse generale di proposta e le basi programmatiche che debbono unire i militanti sindacali comunisti, siano essi collocati nel sindacato confederale o nella sinistra extraconfederale.
L’asse generale che la Conferenza dei lavoratori e delle lavoratrici avanza è la proposta della “costituente di un sindacato classista, unitario, confederale, democratico e di massa”.

Con questa indicazione i comunisti si rivolgono all’insieme dei lavoratori e delle lavoratrici perché si uniscano, sulle basi più larghe, in una confederazione sindacale unitaria, fondata sulla democrazia dei lavoratori e sulla difesa dei loro autonomi interessi, in rottura con le attuali burocrazie dirigenti. Significa avanzare la prospettiva di una unità dal basso, a partire da assemblee unitarie di iscritti (e non) nei luoghi di lavoro. Significa contrapporre la prospettiva dell’unità dal basso a ipotesi di ricomposizione burocratica dall’alto del movimento sindacale su basi ancor più subalterne.

Le forme di articolazione di questa proposta generale potranno variare in rapporto allo sviluppo concreto della situazione. Ma essa assume come riferimento centrale la lotta dei comunisti per l’egemonia sulle masse politicamente e sindacalmente attive: fuori sia da una logica di autoghettizzazione su basi puramente sindacalistiche, sia da una logica di subalternità agli attuali apparati sindacali.

In questa prospettiva di lavoro comune è necessario un coordinamento dei militanti sindacali comunisti al di là delle diverse appartenenze di sigla. Un coordinamento che deve porsi da ora come ambito unificante del nostro dibattito sindacale, ai vari livelli territoriali e nei diversi settori.

Parallelamente, sulla base della proposta della “costituente”, dobbiamo lavorare al raggruppamento unitario di un settore più largo, che vada al di là dei soli militanti comunisti, costruendo, nei luoghi di lavoro, ove possibile, “comitati per la rifondazione sindacale”, che coinvolgano attivisti sindacali di diversa appartenenza, e cerchino di configurarsi come punto di riferimento per l’azione antipadronale e antiburocratica.

E' altresì necessario che il PRC favorisca il rilancio di un vero coordinamento nazionale dei delegati RSU. Dopo le importanti (pur con molti limiti) esperienze del passato, si è registrato, anche a causa dell'atteggiamento del partito, un fortissimo ridimensionamento di questa esperienza (a volte utilizzata da qualche settore interno al partito prevalentemente per proprie specifiche battaglie politico-sindacali).
Il PRC deve impegnarsi fortemente per la rinascita di un vero coordinamento permanente della sinistra larga degli eletti e delle elette delle RSU su un programma immediato di natura classista. A queste condizioni esso può diventare uno strumento importante di lotta antiburocratica e di rilancio del movimento di massa.

Infine, pur considerando centrale la lotta nelle organizzazioni sindacali, i comunisti debbono evitare qualsiasi tipo di formalismo. In particolare, nei momenti di ascesa della lotta, sia generali che particolari, è decisivo lavorare allo sviluppo di forme di autorganizzazione di massa, sia nella forma di comitati di lotta, sia nella forma ben più elevata di strutture elette e controllate democraticamente (comitati di sciopero, consigli). E’ in definitiva in queste strutture, più che nelle organizzazioni sindacali, che si giocherà la battaglia dei comunisti per la conquista della maggioranza.
 

OLTRE IL MINIMALISMO, PER UN PROGRAMMA ANTICAPITALISTICO DEI COMUNISTI TRA LE MASSE

Il PRC come partito comunista non può limitare l'intervento operaio, nei luoghi di lavoro e nelle organizzazioni di massa, a temi rivendicativi immediati, sul terreno dei diritti e della "redistribuzione della ricchezza". Deve invece collegare ogni rivendicazione immediata e "redistributiva" alla prospettiva complessiva dell'alternativa anticapitalistica. La questione della proprietà e del potere non può essere solo enunciata: dev'essere posta al centro dell'elaborazione programmatica del partito come filo conduttore dell'intervento dei comunisti nella classe operaia.
In questi anni il nostro partito ha assunto come proprio orizzonte programmatico d'intervento tra i lavoratori un orizzonte di riforma della società capitalistica in direzione di un modello di sviluppo non liberista. Ogni rivendicazione immediata dalla tassazione dei BOT alle 35 ore, ai diritti dei lavoratori, è stata ricondotta a un programma di riforma assunto come realistico ed anzi indicato come terreno fondante di un'alternativa di società oggi "possibile", e di una "sinistra plurale" di governo che la persegua. La rivendicazione della "Tobin Tax" per un'"Europa sociale" è l'esemplificazione attuale di questa impostazione programmatica.

Questa impostazione ad onta del suo presunto realismo, si è rivelata nei fatti profondamente utopica e astratta. Immaginare una soluzione riformistica complessiva, che sia ad un tempo compatibile col capitalismo e di carattere "progressivo", significa nelle condizioni storiche dell'oggi perseguire un'utopia. Lo riprovano le esperienze concretamente vissute o osservate, in Italia e in Europa, negli anni '90. Dal versante del governo, sotto Prodi come sotto Jospin, quel programma di riforme possibili si è capovolto in una politica controriformatrice e in una pesante corresponsabilizzazione dei comunisti alle politiche liberiste del capitale, in qualche caso temperate (Jospin), in altri casi no (Prodi). Dal versante dell'opposizione quello stesso programma, sistematicamente proposto come terreno di confronto alle forze politiche dominanti, e all'apparato liberale dei D.S. non solo non ha strappato alcun risultato ma non ha ottenuto neppure un ascolto. Continuare a perseguire questa impostazione significa alimentare tra i lavoratori, e nella loro stessa avanguardia, quelle illusioni neoriformistiche che i comunisti in quanto tali sono chiamati a combattere.

L'impostazione programmatica dell'intervento di classe va allora esattamente rovesciata. I comunisti non possono assumere come proprio orizzonte i cosiddetti obiettivi "tangibili e possibili". Debbono invece costruire la propria politica sulla spiegazione costante che nessun serio obiettivo di progresso sociale può essere raggiunto e consolidato senza mettere in discussione in ultima istanza i rapporti di proprietà e di potere. Non si tratta affatto, com'è ovvio, di rinunciare alle rivendicazioni immediate ed elementari, che anzi vanno articolate e ricomposte in una precisa proposta d'azione (vertenza generale). Si tratta di spiegare, sulla base dell'esperienza pratica dei lavoratori, che ogni riforma, ogni eventuale conquista parziale, ogni eventuale difesa di vecchie conquiste può realizzarsi solo come sottoprodotto di uno scontro generale con la società capitalistica, le sue leggi di proprietà, i suoi governi (comunque colorati). E che solo la rottura dei rapporti capitalistici, solo un governo dei lavoratori e delle lavoratrici, basato sulla loro forza organizzata, può dischiudere una reale alternativa di società.

Ma proprio per questo va superata ogni impostazione programmatica "compatibilista", apparentemente concreta, concretamente astratta. E' necessario individuare su ogni terreno un sistema di rivendicazioni e proposte che faccia da ponte tra gli obiettivi immediati e la rottura anticapitalistica: un sistema di rivendicazioni che da un lato si raccordi alla specifica concretezza dello scontro di classe e dall'altro prefiguri la necessità di uno sbocco anticapitalistico complessivo, fuori da ogni illusione riformistica.

La difesa delle conquiste sociali del movimento operaio dalle politiche dominanti; lo sviluppo e l'estensione dei diritti sociali come diritti universali, rappresentano rivendicazioni programmatiche essenziali del PRC. Ma il loro perseguimento implica non solo la richiesta di abolizione delle controriforme liberiste realizzate dai governi di Centrosinistra in questi anni nel campo delle pensioni, della scuola, della sanità, dei servizi sociali, della casa, a favore della riproposizione del servizio pubblico, bensì una ridislocazione sul versante della spesa sociale di nuove immense risorse. Non può essere assunto a parametro di riferimento la media della spesa pubblica nei Paesi capitalistici europei, tanto più nel momento in cui essa è progressivamente compressa dai governi borghesi. Né è realistico pensare che la proposta "Tobin" o la rinegoziazione del patto di stabilità entro le maglie dell'Europa imperialistica possano configurare una risposta al problema. E' necessario invece prospettare una liberazione di almeno trecentomila mld attraverso l'eliminazione di insopportabili privilegi di classe della borghesia:
- l'abolizione del segreto bancario, commerciale, finanziario, quale unica condizione concreta di una seria lotta all'elusione ed evasione fiscale;
- una patrimoniale straordinaria e ordinaria sulle grandi ricchezze;
- un drastico aumento della tassazione dei grandi profitti e delle rendite, accresciuti in questi anni dalle politiche dominanti;
- l'abolizione dei trasferimenti pubblici alle imprese, vero e proprio assistenzialismo statale al capitale che costa ogni all'erario pubblico decine di migliaia di miliardi;
- l'abolizione unilaterale del debito pubblico con piene garanzie per i piccoli risparmiatori;
queste rivendicazioni rappresentano nel loro insieme gli strumenti reali e possibili per finanziare una nuova politica sociale al servizio delle grandi masse lavoratrici, dei disoccupati, dei giovani, della rinascita del Mezzogiorno.

Al tempo stesso, tanto più in quest'epoca di crisi, ogni serio programma redistributivo della ricchezza cozza contro i limiti della proprietà borghese e le compatibilità del sistema capitalistico.
I giganteschi processi di concentrazione proprietaria nei settori strategici dell'economia produttiva e finanziaria sia su scala nazionale che su scala europea e mondiale, connessi alla agguerrita concorrenza internazionale, rafforzano ulteriormente il controllo del capitale finanziario sulla vita economica e sociale. Pertanto ogni disegno di nuovo modello di sviluppo conforme ai bisogni delle masse lavoratrici, dei disoccupati, delle popolazioni povere del Sud richiede la messa in discussione della proprietà borghese nei settori strategici dell'economia, nel quadro di un'alternativa di fondo di società e di potere e dentro una prospettiva internazionale.

La Conferenza dei lavoratori e delle lavoratrici deve impegnare il PRC a sviluppare una coerente campagna anticapitalistica non in termini astratti e ideologici ma a partire dall'esperienza concreta delle grandi masse. Ad esempio: l'inquinamento dei cibi da parte della grande industria alimentare con l'avallo e la copertura della Commissione Europea pone l'esigenza di un controllo congiunto dei lavoratori e dei consumatori sulla produzione del settore e l'abolizione del segreto commerciale quale garanzia di autodifesa sociale. Le speculazioni dell'industria petrolifera sui prezzi della benzina richiedono l'apertura dei libri contabili delle compagnie sotto il controllo dei consumatori e della società. Gli scandali cronici e ripetuti della grande industria farmaceutica a danno della salute e della vita richiedono una sua nazionalizzazione senza indennizzo sotto controllo sociale. Ogni episodio di criminalità del profitto contro la larga maggioranza della società va raccordato all'esigenza di una risposta anticapitalistica quale unica soluzione reale e di fondo.
Parallelamente la questione della proprietà va posta all'interno delle dinamiche di lotta dei movimenti fuori da ogni adattamento alla loro pura e semplice spontaneità. Nel movimento per la pace, entro una più generale impostazione antimperialista, va posta la rivendicazione dell'esproprio dell'industria bellica senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori. Nel movimento ambientalista va messa in discussione la proprietà privata della grande industria inquinante quale condizione di una sua reale riconversione. Più in generale la questione della proprietà è obiettivamente posta dai movimenti di resistenza a difesa del lavoro entro i processi di crisi e ristrutturazione dell'industria e dei servizi: la rivendicazione della nazionalizzazione delle industrie in crisi senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori può costituire un elemento di ricomposizione unitaria di un fronte strategicamente centrale se pur oggi disarticolato e disperso.

In conclusione: i comunisti sono chiamati ad elaborare in ogni movimento reale, fuori da ogni logica puramente minimalistica e sindacalistica, un sistema di rivendicazioni transitorie, oggi prevalentemente propagandistiche, sicuramente controcorrente, ma la cui funzione è decisiva per ricostruire tra le masse e nella loro stessa avanguardia larga una coscienza politica anticapitalistica e creare così le condizioni per un loro sviluppo sul piano dell'agitazione, e, in prospettiva, dell'azione.
 

OLTRE UN PURO APPROCCIO ECONOMICO-SINDACALE: PER UN INTERVENTO POLITICO COMPLESSIVO DEL PRC TRA I LAVORATORI

Il PRC non può limitare il proprio intervento tra i lavoratori a tematiche di carattere sindacale. Deve invece intervenire nella classe su tutto lo spettro dei temi politici, nazionali e internazionali, al fine di ricostruire, controcorrente, tra i lavoratori un punto di vista indipendente su ogni questione.
Il PRC deve intervenire tra i lavoratori non solo sulle questioni del salario, dell'orario, dei diritti con le relative proiezioni programmatiche sul terreno direttamente sociale. Ma ha il compito di intervenire sull'insieme dei temi che interessano i lavoratori e che investono, in ogni caso, la complessità dello scontro di classe. Intervenire sul tema dell'immigrazione per spiegare concretamente l'interesse all'unità di classe con i migranti, oltre ad un puro approccio solidaristico e democratico; intervenire sul tema della criminalità, non solo in chiave "garantista", ma per denunciare ad esempio la connessione concreta tra criminalità, capitale finanziario, potere bancario (e quindi articolare anche su questo terreno un approccio anticapitalistico che rovesci l'uso reazionario corrente di questo tema); intervenire sulla natura e sulle politiche dell'imperialismo oggi, innanzitutto dell'imperialismo italiano ed europeo, per illustrare ad esempio gli effetti sociali penalizzanti per la stessa classe operaia italiana della colonizzazione capitalistica di larga parte dell'Est Europeo ricostruendo anche per questa via il fondamento materiale dell'indipendenza di classe verso il proprio imperialismo e la necessità dell'unità internazionale del movimento operaio contro e oltre ogni frontiera borghese; intervenire sulle lotte di liberazione nazionale dei popoli oppressi, a partire oggi dal popolo palestinese, per coniugare il sostegno totale e incondizionato ad ogni movimento progressivo antimperialista con la costruzione di una analisi di classe della loro dinamica e della loro leadership; intervenire sulle minacce globali alla condizione ambientale e di vita del mondo imposte dal dominio del capitale e delle sue leggi, riarticolando una risposta comunista all'emergenza ambientale, fuori e contro un ambientalismo verde tradizionale tanto effimero ed elettoralistico quanto subalterno e fallimentare.

Tutto ciò rappresenta una necessità vitale per l'intervento operaio del nostro partito. Occorre infatti evitare sia un puro arroccamento sindacalistico e minimalistico dell'intervento di classe; sia la sommatoria "policentrica" delle tante "emergenze parallele" che affianca a un intervento operaio relegato all'ambito sindacale la convegnistica separata su ambiente, pace, democrazia, oppressione della donna (generalmente attestata sull'accettazione acritica delle posizioni emergenti negli ambiti intellettual/progressisti). Si tratta invece di assumere la centralità dell'intervento nella classe lavoratrice, entro la centralità della contraddizione tra capitale e lavoro, come leva di sviluppo della coscienza anticapitalistica complessiva della classe; come leva della maturazione politica della sua stessa avanguardia in direzione della comprensione della rivoluzione socialista come unica vera risposta di fondo a tante contraddizioni del mondo; come leva di rifondazione di un movimento operaio capace di egemonia anticapitalistica sull'insieme dei soggetti oppressi dal capitale.
 

10 gennaio 2001