Penso che la scelta del PRC in vista delle elezioni politiche vada definita
non in base ad elementi contingenti o negoziali ma in base a un bilancio
di classe della legislatura e all'autonomia di una prospettiva anticapitalistica.
La legislatura che si chiude ha visto i governi di Centrosinistra (Prodi,
D'Alema, Amato) sferrare complessivamente il più pesante attacco
alle condizioni di vita e di lavoro delle classi subalterne che si sia
realizzato in Italia negli ultimi trent'anni. Agli occhi del Capitale il
Centrosinistra non solo non ha "fallito" ma ha riportato una splendida
vittoria di classe, misurata dal calo dei salari e dalla moltiplicazione
dei profitti: fallita è invece l'illusione che un Centrosinistra
sostenuto dalla grande borghesia potesse realizzare, grazie alla "pressione"
dei comunisti, una politica favorevole ai lavoratori. Peraltro la stessa
tesi per cui le classi dominanti avrebbero oggi abbandonato il Centrosinistra
mi pare molto semplificatrice. In realtà persino nel suo momento
di massima crisi l'Ulivo continua ad avvalersi dell'attenzione privilegiata
degli Agnelli, dei Tronchetti Provera, dei Moratti, dei Colaninno... E'
vero invece che da un lato si è indebolita l'egemonia della grande
impresa verso la piccola e media industria, e che dall'altro, proprio la
permanente impronta della grande impresa sul governo ha logorato profondamente
le relazioni tra Centrosinistra e lavoro dipendente, determinando la crisi
del blocco sociale dell'Ulivo e la forte ripresa berlusconiana.
La legislatura registra inoltre un processo di trasformazione profonda
dei DS che il concetto di "sinistra moderata" è del tutto incapace
di descrivere. La scalata di governo dell'apparato DS, la conseguente moltiplicazione
delle sue relazioni materiali con le classi dominanti, hanno provocato
non solo lo scollamento profondo di settori tradizionali dell'insediamento
sociale DS, ma anche una mutazione progressiva di ruolo della sua burocrazia
dirigente, accelerandone contraddizioni e divisioni. Così mentre
Salvi e la sinistra DS puntano a rifondare una socialdemocrazia classica,
basata sul movimento operaio e la collaborazione di classe, la maggioranza
larga dell'apparato DS mira alla costruzione del partito democratico come
rappresentanza politica centrale della borghesia italiana. La fondazione
Italiani Europei di Massimo D'Alema, frequentata e finanziata da Tronchetti
Provera e Colaninno, è la punta emergente di un processo profondo.
Certo, la realtà dei DS è più complessa di quella
della loro burocrazia; lo stesso destino dei DS non è predeterminato.
Ma oggi la maggioranza dell'apparato DS ha realmente rotto con la
funzione della socialdemocrazia: passa da strumento di controllo del movimento
operaio per conto della borghesia a espressione diretta di cordate capitalistiche.
In questo quadro generale la "rottura col centro" si conferma come
indicazione essenziale del nostro partito: ma non certo in direzione di
una "sinistra plurale". Uno schieramento di sinistra plurale, dai liberali
DS al PRC, sarebbe oggi infatti un soggetto politico ancor più moderato
della "gauche plurielle": sarebbe l'alleanza con un'articolazione diretta
della classe dominante, con una parte del centro borghese oggi rappresentata
dall'apparato liberale DS. In termini sociali un blocco con Colaninno.
In termini politici una variante di centro sinistra.
Credo invece necessaria una nostra coerente battaglia di fondo per
la configurazione di un polo autonomo di classe. Solo la mobilitazione
indipendente del movimento operaio contro le politiche dominanti può
infatti ribaltare i rapporti di forza tra le classi e arrestare la stessa
ascesa della destra. A sua volta solo la rottura piena col centro borghese
in tutte le sue espressioni può consentire il dispiegamento della
mobilitazione indipendente dei lavoratori. Il PRC può e deve dunque
rivolgersi a tutte le forze che si basano sul movimento operaio e che esprimono
una critica all'involuzione liberale della sinistra perché rompano
col centro borghese, sia quello tradizionale sia quello configurato dalla
maggioranza dell'apparato DS, e realizzino col PRC un fronte unitario d'azione
tra le masse, nei movimenti di lotta, sul terreno anticapitalistico. Non
si tratta dunque di una proposta di chiusura ma invece di grande
proiezione di massa. E' una politica che può consentire ai comunisti
la più ampia interlocuzione col mondo del lavoro incalzando, agli
occhi dei lavoratori, le contraddizioni clamorose dei vertici della sinistra
"critica" (in primo luogo della sinistra DS), e favorendo così l'egemonia
alternativa del PRC e la costruzione del partito comunista con influenza
di massa: una prospettiva che va coerentemente perseguita fuori da ogni
confusa suggestione minoritaria e subalterna di "sinistra alternativa".
Penso che la scelta del PRC sul piano elettorale debba essere coerente
con questo impianto politico. Naturalmente riconosco che la "non belligeranza"
si presenta diversa dalla soluzione scelta nel '96. Né mi scandalizza
in astratto la duttilità tattica in materia elettorale. E' invece
la logica politica di fondo della proposta che mi pare profondamente sbagliata.
L'opposizione comunista non può ricercare la non belligeranza verso
lo schieramento di governo, liberista e di guerra, del capitale finanziario.
Né possiamo rivendicare la rottura col centro e poi rinunciare a
candidati comunisti nei collegi a favore dei candidati del centro borghese,
spesso persino socialmente avversari diretti dei lavoratori (industriali,
grandi dirigenti aziendali, banchieri..). E poi: la non belligeranza verso
il Centrosinistra non rischierebbe forse di risucchiare il PRC nella maggioranza
di governo, dopo un'eventuale vittoria elettorale dell'Ulivo, riattivando
una relazione compromissoria già tragicamente sperimentata col governo
Prodi?
La proposta del polo autonomo di classe e della coerente rottura col
centro implica, a me pare, un'altra scelta elettorale: la discesa in campo
aperto del nostro partito come forza compiutamente autonoma e alternativa
a Centrosinistra e Centrodestra, quale unica rappresentanza delle ragioni
sociali del mondo del lavoro. Ciò significa presentare le nostre
candidature indipendenti sia alla camera sia al senato, sia nell'ambito
proporzionale sia nei collegi maggioritari; senza alcuna rinuncia, né
a fronte dei candidati del centro borghese tradizionale, né a fronte
dei candidati dell'apparato liberale DS.
La desistenza unilaterale può essere praticata eccezionalmente
solo verso candidati (in ogni caso privi di incarichi di governo) che siano
espressione di quelle forze critiche del movimento operaio cui rivolgiamo
l'appello sfida a rompere col centro(nei soli collegi in cui la presenza
o meno dei comunisti è determinante per il risultato): come messaggio
unitario a quella loro base sociale la cui conquista è centrale
nella battaglia dell'egemonia. Ma proprio per questo, anche in tal caso,
l'asse della battaglia elettorale dei comunisti deve essere quello del
polo autonomo di classe.
Questa scelta ha un'importante implicazione: la designazione del compagno
Fausto Bertinotti, in quanto segretario del PRC, a candidato premier, in
contrapposizione sia a Berlusconi sia ad Amato o Rutelli. Una scelta naturale
che può sottolineare anche sul piano simbolico il carattere compiutamente
autonomo del nostro partito, elevandolo da semplice interlocutore contrattuale
del Centrosinistra ad alternativa complessiva.
A sua volta, la presentazione compiutamente autonoma dei comunisti
dovrebbe impegnare il PRC a un salto e una svolta di elaborazione programmatica.
Un polo di classe autonomo e alternativo non può attestarsi su richieste
negoziali al Centrosinistra ma deve presentare una propria proposta generale
che indichi una via d'uscita complessiva dalla crisi sociale dal punto
di vista degli interessi autonomi del movimento operaio. Un programma che
per ciò stesso deve saper configurare in termini "popolari", non
"ideologici", un'alternativa anticapitalistica a questa società.
In questo senso credo che il partito debba impegnarsi da subito nella elaborazione
e articolazione di una nuova proposta programmatica che colleghi le esigenze
sociali più pressanti e le rivendicazioni immediate (forti aumenti
salariali, riduzione progressiva dell'orario, vero salario sociale per
i disoccupati, abolizione del pacchetto Treu e delle leggi di precarizzazione
del lavoro..) a un piano più generale di misure anticapitalistiche,
quale terreno fondante di una vera alternativa di società e potere.