PER LA CANDIDATURA A PREMIER DI FAUSTO BERTINOTTI
NEL NOME DI UN POLO AUTONOMO DI CLASSE
Una proposta alternativa alla "non belligeranza"
 
articolo di Marco Ferrando pubblicato da "Liberazione" il 15 settembre 2000
 

Penso che la scelta del PRC in vista delle elezioni politiche vada definita non in base ad elementi contingenti o negoziali ma in base a un bilancio di classe della legislatura e all'autonomia di una prospettiva anticapitalistica.
 
La legislatura che si chiude ha visto i governi di Centrosinistra (Prodi, D'Alema, Amato) sferrare complessivamente il più pesante attacco alle condizioni di vita e di lavoro delle classi subalterne che si sia realizzato in Italia negli ultimi trent'anni. Agli occhi del Capitale il Centrosinistra non solo non ha "fallito" ma ha riportato una splendida vittoria di classe, misurata dal calo dei salari e dalla moltiplicazione dei profitti: fallita è invece l'illusione che un Centrosinistra sostenuto dalla grande borghesia potesse realizzare, grazie alla "pressione" dei comunisti, una politica favorevole ai lavoratori. Peraltro la stessa tesi per cui le classi dominanti avrebbero oggi abbandonato il Centrosinistra mi pare molto semplificatrice. In realtà persino nel suo momento di massima crisi l'Ulivo continua ad avvalersi dell'attenzione privilegiata degli Agnelli, dei Tronchetti Provera, dei Moratti, dei Colaninno... E' vero invece che da un lato si è indebolita l'egemonia della grande impresa verso la piccola e media industria, e che dall'altro, proprio la permanente impronta della grande impresa sul governo ha logorato profondamente le relazioni tra Centrosinistra e lavoro dipendente, determinando la crisi del blocco sociale dell'Ulivo e la forte ripresa berlusconiana.
 
La legislatura registra inoltre un processo di trasformazione profonda dei DS che il concetto di "sinistra moderata" è del tutto incapace di descrivere. La scalata di governo dell'apparato DS, la conseguente moltiplicazione delle sue relazioni materiali con le classi dominanti, hanno provocato non solo lo scollamento profondo di settori tradizionali dell'insediamento sociale DS, ma anche una mutazione progressiva di ruolo della sua burocrazia dirigente, accelerandone contraddizioni e divisioni. Così mentre Salvi e la sinistra DS puntano a rifondare una socialdemocrazia classica, basata sul movimento operaio e la collaborazione di classe, la maggioranza larga dell'apparato DS mira alla costruzione del partito democratico come rappresentanza politica centrale della borghesia italiana. La fondazione Italiani Europei di Massimo D'Alema, frequentata e finanziata da Tronchetti Provera e Colaninno, è la punta emergente di un processo profondo. Certo, la realtà dei DS è più complessa di quella della loro burocrazia; lo stesso destino dei DS non è predeterminato. Ma oggi la maggioranza dell'apparato DS  ha realmente rotto con la funzione della socialdemocrazia: passa da strumento di controllo del movimento operaio per conto della borghesia a espressione diretta di cordate capitalistiche.
 
In questo quadro generale la "rottura col centro" si conferma come indicazione essenziale del nostro partito: ma non certo in direzione di una "sinistra plurale". Uno schieramento di sinistra plurale, dai liberali DS al PRC, sarebbe oggi infatti un soggetto politico ancor più moderato della "gauche plurielle": sarebbe l'alleanza con un'articolazione diretta della classe dominante, con una parte del centro borghese oggi rappresentata dall'apparato liberale DS. In termini sociali un blocco con Colaninno. In termini politici una variante di centro sinistra.
 
Credo invece necessaria una nostra coerente battaglia di fondo per la configurazione di un  polo autonomo di classe. Solo la mobilitazione indipendente del movimento operaio contro le politiche dominanti può infatti ribaltare i rapporti di forza tra le classi e arrestare la stessa ascesa della destra. A sua volta solo la rottura piena col centro borghese in tutte le sue espressioni può consentire il dispiegamento della mobilitazione indipendente dei lavoratori. Il PRC può e deve dunque rivolgersi a tutte le forze che si basano sul movimento operaio e che esprimono una critica all'involuzione liberale della sinistra perché rompano col centro borghese, sia quello tradizionale sia quello configurato dalla maggioranza dell'apparato DS, e realizzino col PRC un fronte unitario d'azione tra le masse, nei movimenti di lotta, sul terreno anticapitalistico. Non si tratta dunque di una proposta di chiusura ma invece di grande  proiezione di massa. E' una politica che può consentire ai comunisti la più ampia interlocuzione col mondo del lavoro incalzando, agli occhi dei lavoratori, le contraddizioni clamorose dei vertici della sinistra "critica" (in primo luogo della sinistra DS), e favorendo così l'egemonia alternativa del PRC e la costruzione del partito comunista con influenza di massa: una prospettiva che va coerentemente perseguita fuori da ogni confusa suggestione minoritaria e subalterna di "sinistra alternativa".
 
Penso che la scelta del PRC sul piano elettorale debba essere coerente con questo impianto politico. Naturalmente riconosco che la "non belligeranza" si presenta diversa dalla soluzione scelta nel '96. Né mi scandalizza in astratto la duttilità tattica in materia elettorale. E' invece la logica politica di fondo della proposta che mi pare profondamente sbagliata. L'opposizione comunista non può ricercare la non belligeranza verso lo schieramento di governo, liberista e di guerra, del capitale finanziario. Né possiamo rivendicare la rottura col centro e poi rinunciare a candidati comunisti nei collegi a favore dei candidati del centro borghese, spesso persino socialmente avversari diretti dei lavoratori (industriali, grandi dirigenti aziendali, banchieri..). E poi: la non belligeranza verso il Centrosinistra non rischierebbe forse di risucchiare il PRC nella maggioranza di governo, dopo un'eventuale vittoria elettorale dell'Ulivo, riattivando una relazione compromissoria già tragicamente sperimentata col governo Prodi?
 
La proposta del polo autonomo di classe e della coerente rottura col centro implica, a me pare, un'altra scelta elettorale: la discesa in campo aperto del nostro partito come forza compiutamente autonoma e alternativa a Centrosinistra e Centrodestra, quale unica rappresentanza delle ragioni sociali del mondo del lavoro. Ciò significa presentare le nostre candidature indipendenti sia alla camera sia al senato, sia nell'ambito proporzionale sia nei collegi maggioritari; senza alcuna rinuncia, né a fronte dei candidati del centro borghese tradizionale, né a fronte dei candidati dell'apparato liberale DS.
La desistenza unilaterale può essere praticata eccezionalmente solo verso candidati (in ogni caso privi di incarichi di governo) che siano espressione di quelle forze critiche del movimento operaio cui rivolgiamo l'appello sfida a rompere col centro(nei soli collegi in cui la presenza o meno dei comunisti è determinante per il risultato): come messaggio unitario a quella loro base sociale la cui conquista è centrale nella battaglia dell'egemonia. Ma proprio per questo, anche in tal caso, l'asse della battaglia elettorale dei comunisti deve essere quello del polo autonomo di classe.
 
Questa scelta ha un'importante implicazione: la designazione del compagno Fausto Bertinotti, in quanto segretario del PRC, a candidato premier, in contrapposizione sia a Berlusconi sia ad Amato o Rutelli. Una scelta naturale che può sottolineare anche sul piano simbolico il carattere compiutamente autonomo del nostro partito, elevandolo da semplice interlocutore contrattuale del Centrosinistra ad alternativa complessiva.
 
A sua volta, la presentazione compiutamente autonoma dei comunisti dovrebbe impegnare il PRC a un salto e una svolta di elaborazione programmatica. Un polo di classe autonomo e alternativo non può attestarsi su richieste negoziali al Centrosinistra ma deve presentare una propria proposta generale che indichi una via d'uscita complessiva dalla crisi sociale dal punto di vista degli interessi autonomi del movimento operaio. Un programma che per ciò stesso deve saper configurare in termini "popolari", non "ideologici", un'alternativa anticapitalistica a questa società. In questo senso credo che il partito debba impegnarsi da subito nella elaborazione e articolazione di una nuova proposta programmatica che colleghi le esigenze sociali più pressanti e le rivendicazioni immediate (forti aumenti salariali, riduzione progressiva dell'orario, vero salario sociale per i disoccupati, abolizione del pacchetto Treu e delle leggi di precarizzazione del lavoro..) a un piano più generale di misure anticapitalistiche, quale terreno fondante di una vera alternativa di società e potere.