LA GRANDE RIMOZIONE DELLA “SINISTRA CRITICA”
di Marco Ferrando


Le reazioni che si sono prodotte nella "sinistra critica' di fronte ai fatti argentini (Per lo più limitate alla denuncia del liberismo e agli appelli antirepressivi) paiono segnate da un punto comune: la rimozione della crisi rivoluzionaria che ha attraversato e attraversa quel Paese. Ma si può cercare un’altro “mondo possibile” senza indagare quei movimenti reali delle masse oppresse che ne sono l'unica possibile leva?
Nelle strade di Buenos Aires, di Cordova, di Mendoza si è affacciato il reale "movimento dei movimenti”: non una contestazione simbolica, per quanto vasta e preziosa, delle ingiustizie del mondo, ma un'esplosione di lotta di classe; un'esplosione sociale concentrata, sul terreno dell'azione, di tutte le domande delle classi subalterne: dei lavoratori delle aziende in crisi, dei dipendenti pubblici dal salario falcidiato, dei giovani disoccupati senza salario, degli studenti universitari senza futuro, di vasti settori di classe media impoveriti dalla criminalità del capitale finanziario. Un blocco sociale certo segnato da inevitabili contraddizioni, e tuttavia caratterizzato da un segno di classe e inequivoco: sono stati i grandi scioperi generali di novembre e dicembre ad avergli aperto la strada; è stato il movimento dei piqueteros a costituirne, per un versante, il detonatore; sono state spesso le parole d'ordine dell'avanguardia di classe a esercitare egemonia nella sollevazione.
E di sollevazione si è trattato. Milioni di argentini hanno scelto di rispondere alla violenza della legge, ossia della fame, con la forza gigantesca della propria azione diretta. L'occupazione delle piazze e la loro attiva autodifesa, i picchetti di strada permanenti, lo stesso svuotamento dei supermercati, il ripetuto assedio del parlamento, hanno espresso un unico impulso di fondo: la volontà di risolvere direttamente con le proprie mani la drammatica crisi argentina, di fronte al fallimento delle vecchie classi dirigenti. Il coraggio delle masse, come tante volte nella storia, ha pagato il suo tragico prezzo di sangue. Ma la repressione assassina non ha piegato la rivolta. AI contrario sono i militari ad esser stati costretti a cedere il passo; ed è il governo che li ha impiegati e coperti che ha dovuto togliere il disturbo. Una sollevazione popolare ha dunque fronteggiato con la propria forza la forza dello stato e ha cacciato in pochi giorni tre governi. E' un fatto.
La borghesia argentina per cercare di rimanere in sella, ricorrerà nuovamente alla consumata carta peronista: ma dovrà fronteggiare, in condizioni di maggiore debolezza, un movimento di massa incoraggiato dal suo stesso successo. Non è la riprova che solo un'esplosione sociale concentrata, basata sulla forza indipendente delle masse, può scompaginare gli scenari politici e aprire il varco a nuovi sviluppi?
La profondità della crisi pone sempre più in evidenza la necessità obiettiva di soluzioni radicali. Di fronte a un debito pubblico di 160 milioni di dollari; a fronte soprattutto della profonda domanda di svolta posta sul campo dalle classi subalterne, nessuna mezza misura potrebbe indicare una soluzione reale della crisi: né una operazione di pura ingegneria monetaria, né un'ipotesi neo keynesiana affidata alla concertazione con la "borghesia produttiva", né una vaga ricetta antispeculativa magari basata sul ripescaggio di una Tobin tax. L'alternativa vera è drastica: o una nuova sudditanza all'imperialismo (americano ed europeo) e agli interessi dorati del 20% della società argentina, ciò che significa un'ulteriore compressione delle condizioni di vita delle masse (e quindi, tanto più oggi, una loro sconfitta frontale); oppure l'annullamento del debito estero, la nazionalizzazione delle banche e delle grandi imprese, il controllo dei lavoratori sulla produzione e la distribuzione: ciò che significa la rottura radicale con l'imperialismo e con i due poli borghesi d'alternanza (Radicali e Peronisti). Con buona pace di ogni ricerca di capitalismo equo e di banche etiche, la crisi argentina ripropone dunque nella sua concretezza il nodo di fondo: o il capitalismo reale o il reale socialismo; o il potere dei capitalisti, che è inseparabile dai suoi crimini sociali, o il potere delle masse lavoratrici, imposto dalla loro forza e basato sulla loro organizzazione.
La questione del potere, la grande rimossa dalla cultura egemone del movimento antiglobal, si ripresenta dunque in tutta la sua portata strategica nel vivo di una crisi acutissima. Non in termini ideologici, né in termini di "bilanci partecipativi" (Porto Alegre): ma sul terreno dell'alternativa di classe. Nel corso dell'intero 2001, l’ascesa delle masse argentine, pur disomogenea, ha moltiplicato le esperienze di autorganizzazione popolare. L'esperienza dei piqueteros ha costituito spesso un'espressione importantissima di autorganizzazione di massa carica di capacità di contagio. Così il precipitare delle crisi, sullo sfondo della rivolta di dicembre, ha moltiplicato, a partire dalle città, le esperienze di comitati di lotta, commissioni popolari, organismi di massa. Si tratta delle prime espressioni, appena embrionali, di un possibile potere alternativo. La loro estensione, il loro possibile incontro col necessario sviluppo dell'autorganizzazione operaia, la loro ricomposizione in assemblee popolari democraticamente organizzate e progressivamente unificate su base cittadina, distrettuale, nazionale, segnerebbe l'emersione di un autentico contropotere.
E' questa oggi la parola d'ordine centrale del Partido Obrero argentino: certo un piccolo partito, ma che svolge un ruolo di primo piano nel movimento di massa dei piqueteros e che negli epicentri sociali dello scontro (10% dei voti a General Mosconi, 7% a Salta...). Avversario irriducibile di ogni blocco progressista con la borghesia argentina, il Po ha radunato diecimila lavoratori e disoccupati nella sola Plaza de Mayo durante la rivolta del 20 dicembre, attorno alla rivendicazione rivoluzionaria di "governo obrero". Non a caso la stampa borghese argentina ha pubblicamente denunciato le responsabilità dell' “estrema sinistra trotskysta” nell'immancabile “complotto sovversivo”. Non è forse una buona ragione per approfondire la conoscenza di questa esperienza politica e aprire con essa un aperto confronto.
La crisi rivoluzionaria in Argentina è appena ai suoi inizi. La sproporzione tra la maturità delle condizioni oggettive di una rottura anticapitalistica e la debolezza soggettiva delle forze politiche rivoluzionarie resta ampia e non autorizza ottimismi faciloni. Ma resta il fatto che questa vicenda ripropone la categoria della rivoluzione non in cielo ma in terra; ne descrive concretamente dinamiche e potenzialità; ne disvela grandi generosità e drammatiche difficoltà; mette alla prova una sinistra rivoluzionaria socialmente radicata che fa del richiamo aperto a Lenin e a Trotsky il criterio ispiratore della propria politica di massa e della stessa costruzione (decisiva) del partito. Il prossimo incontro di Porto Alegre e soprattutto la Rifondazione Comunista hanno dunque un nuovo materiale di riflessione e confronto. Che sarebbe difficile ignorare.