PER L’EGEMONIA DEL PROGETTO COMUNISTA RIVOLUZIONARIO TRA LE GIOVANI GENERAZIONI
analisi critica dei documenti presentati per la seconda conferenza nazionale dei Giovani Comunisti

di Nicola di Iasio e Alberto Madoglio

Il senso della II Conferenza Nazionale dei Giovani Comunisti appare ben chiaro.
Dall’esigenza di definire, a distanza di quasi cinque anni dalla I Conferenza, un profilo politico e organizzativo ben definito per la nostra organizzazione. Dal quadro politico internazionale che da diversi anni vede le giovani generazioni protagoniste in tutto il mondo: da Seattle a Genova, alle più recenti esplosioni di lotta di classe in Argentina e Francia per finire con le manifestazioni contro l’aggressione imperialista in Afghanistan e in Palestina. Dallo scenario nazionale che vede le giovani generazioni soggetti maggiormente colpiti dalle politiche liberiste del governo ma allo stesso tempo protagonisti di una nuova e ritrovata capacità di mobilitazione.
In questo contesto, è del tutto condivisibile che la II Conferenza dei GC assuma una valenza politica straordinaria. Viceversa profondamente diversa è l’analisi (e l’orientamento che ne scaturisce) con cui si affronta il nuovo scenario.
Qui sta il senso di una proposta di indirizzo politico e strategico alternativo.
La II Conferenza Nazionale dei GC vedrà una ricca articolazione del dibattito: il Coordinamento nazionale dei GC ha infatti licenziato ben quattro documenti alternativi. Di certo non siamo di fronte a posizioni politiche nuove (tant’è che i quattro documenti sono inscindibilmente legati rispettivamente ai documenti di maggioranza e minoranza del V Congresso e ai relativi emendamenti), ma allo stesso tempo va registrata una significativa e positiva razionalizzazione del dibattito interno.
Per ovvi motivi, molte delle argomentazioni che abbiamo addotto a sostegno del nostro documento congressuale rimangono totalmente valide e quindi di seguito non ripetute; ciò su cui è opportuno soffermarsi è notare come anche gli ultimissimi avvenimenti confermino in pieno gli assi centrali della nostra proposta politica e allo stesso tempo smentiscano letture “ideologiche” della realtà subordinate a priori ad orientamenti opportunistici tanto per il PRC quanto per i GC (siano essi nella variante “movimentista” o nelle varianti “frontiste”).
 

“GIOVANI COMUNISTI SEMPRE RIBELLI”
Il documento presentato dalla maggioranza del Coordinamento Nazionale dei GC riprende in toto il radicalismo verbale necessario per celare, tanto più a fronte di un sempre maggior disgelo sociale, il riformismo della propria proposta politica. Infatti al di là degli slogan (tanto cari alle code sinistre della maggioranza), il documento ammette :“Il congresso non avrebbe fatto del movimento dei movimenti e della costruzione della sinistra alternativa i perni centrali del suo ragionamento, se avessimo scelto la via della ricerca dell’egemonia.”.
Ecco spiegato il rifiuto dell’”egemonia” da parte del PRC e dei GC: non una questione teorica ma la necessità di usare il movimento (sinistra alternativa) come leva di ricomposizione, graduale e negoziale, col centrosinistra per la prospettiva, difficile, ma necessaria della costruzione della sinistra plurale (tesi 37 doc. congressuale).
A tal fine, è indispensabile contrastare “la via della ricerca della egemonia”: non certo per evitare la “morte del movimento”, ma la crescita di “coscienza” del movimento, che lo renderebbe inutilizzabile come leva di ricomposizione col CS in quanto avverso a soluzioni riformiste.
Questa è la lezione che il gruppo dirigente maggioritario trae anche dagli avvenimenti rivoluzionari argentini.
La risultante della battaglia (politica e non burocratica) di egemonia portata avanti dal Partito Obrero nel “movimento” è stata il rifiuto di settori di massa di ipotesi riformistiche (base politica di un governo di sinistra plurale) da cui è scaturita peraltro la piattaforma finale rivoluzionaria dell’Assemblea Nazionale Piquetera del 16 Febbraio.
Infatti rifiutate a furor di popolo la Tobin Tax e il Bilancio Partecipativo (quest’ultimo proposto dal... sindaco di Buenos Aires), la battaglia di egemonia ha contribuito, non certo a rendere “più fluidi i confini tra sinistra alternativa e sinistra moderata”(Bertinotti), ma al contrario a guadagnare vasti settori di lavoratori all’impossibilità di riformare il capitalismo e alla conseguente necessità di un “governo dei lavoratori per i lavoratori”(Marx).
Qui, e non in un presunto realismo, sta la radice del dissenso.Va quindi rovesciata l’impostazione politica del documento di maggioranza: la battaglia di egemonia non come causa della morte del movimento, ma al contrario come unica possibilità di crescita e di salvaguardia dall’abbraccio del centrosinistra (questo si mortale per le istanze profonde del movimento e quindi per il movimento stesso).
E’ a questa proposta politica che è subordinata, tra l’altro, l’analisi del quadro internazionale. Come sarebbe possibile praticare (o solamente predicare) la collaborazione di classe in un paese imperialista (qual è l’Italia)?
Anche in questo ambito non si tratta di un “aggiornamento” dell’analisi marxista, ma di una sua liquidazione necessaria per un orientamento riformista. Quanto più legata a quest’ultimo, tanto più priva di aderenza alla realtà: il ritorno addirittura a molte delle caratteristiche che aveva il capitalismo di inizio Novecento può essere letto realisticamente come una “rivoluzione capitalistica”? Le contraddizioni interimperialistiche fra Inghilterra e Francia per tutto l’ottocento non sono mai sfociate in un conflitto armato, ma non per questo si può dire che le due superpotenze avessero interessi convergenti; inoltre quella che alcuni compagni sottolineano come una novità inedita di questa fase, le “alleanze a geometria variabile”, sono state una costante almeno nei settant’anni che hanno preceduto la prima guerra mondiale.
Non a caso l’analisi del gruppo dirigente maggioritario del PRC e dei GC è molto legata a quella kautskyana-bernsteiniana (“superimperialismo”) di inizio Novecento che aveva come corollario l’abbandono del fine rivoluzionario (“il movimento è tutto, il fine è nulla”): mistificazioni così vecchie servono solo a coprire una pratica altrettanto vecchia (fallita per tutto il 900).
Inoltre tutta l’azione del PRC e dei GC è subordinata a garantire la propria visibilità e il proprio “spazio negoziale”: in un contesto politico radicalizzato e ricco di nuove potenzialità, il gruppo dirigente del PRC e dei GC non avanza una reale proposta unificante per l’azione del movimento di lotta su cui concentrare l’azione di massa del partito e dei GC, ma si limita ad iniziative di  immagine sul puro terreno istituzionale come i referendum, e nello stesso tempo tesse le intese di governo col centrosinistra ( ma non era… morto?) nelle elezioni amministrative.
La stessa adesione dei GC all’area dei Disobbedienti, aggregazione politico-organizzativa su basi confuse e sbagliate (generico antagonismo, movimentismo antipartito e riformismo), non si caratterizza certo come un’alleanza tattica, ma come la pianificazione di una battaglia puramente d’immagine: un gesto eclatante e simbolico non risveglia affatto la coscienza delle masse, anzi al contrario alimenta illusioni sulla possibilità di sostituire l’azione diretta delle masse con l’azione di pochi supereroi.
Naturalmente anche la struttura organizzativa è funzione del progetto politico: a che servirebbero militanti con una formazione complessiva tale da consentire un intervento vasto e complessivo? Di certo non a lasciare volutamente il movimento all’abbraccio mortale delle politiche liberiste e antioperaie del centrosinistra!
Anche in questo caso è una necessità “pratica”, e non una revisione teorica, che spinge a teorizzare “la fine della militanza totale”.
E’ la riprova che il cosiddetto “movimentismo” copre in realtà l’abbandono dei movimenti alle loro attuali direzioni (quindi a una prospettiva di sconfitta) o il loro utilizzo contrattuale per soluzioni borghesi di governo contrarie alle ragioni dei movimenti stessi.
Così relegato negli slogan scarlatti il Socialismo, nella grigia realtà bisogna accontentarsi... della Barbarie. Altro che svolta a sinistra! E’ la politica perseguita per dieci anni (e per dieci anni… fallita).
 

“GIOVANI E COMUNISTI”
Il documento presentato dai compagni dell’area neotogliattiana de “L’Ernesto”, presenta un’analisi precostituita (oggi priva persino delle basi materiali sui era nata) della realtà a cui corrisponde un orientamento politico tanto più oggi nefasto per le sorti del movimento operaio.
Pur facendo propria la categoria d’analisi dell’imperialismo, i compagni sottoscrittori di questo documento “non si accorgono” delle novità post-89 ed in particolare della costituzione dell’Unione Europea come polo imperialistico in diretta concorrenza con gli USA. A dimostrazione di ciò la battaglia protezionistica sull’acciaio e il tentativo della UE di svincolarsi dalla tutela americana con la costruzione di un esercito comune. Su un altro piano,la stessa gestione della ricostruzione della Yugoslavia, con in primis le imprese italiane , mostra (per chi nutrisse dei dubbi) nettamente la natura imperialistica del nostro Paese.
Il documento, inoltre, “sembra ignorare” la stessa alleanza della Russia con la Nato e la dissoluzione della Cina come Stato Operaio.
Tacendo questi “piccoli particolari”, la proposta avanzata è quella di un “Nuovo” internazionalismo che mette assieme indistintamente la coraggiosa lotta del popolo palestinese con l’opportunismo della sua direzione (complice ,soprattutto dopo gli accordi di Oslo, delle tante sconfitte e umiliazioni ricevute); la resistenza del popolo cubano e la necessità di difesa delle basi sociali della rivoluzione con il mantenimento dello status quo politico e quindi dei privilegi della burocrazia; l’esaltazione in maniera acritica di movimenti che pur pagando coraggiosamente un cospicuo prezzo in termini di sangue, sono legati a prospettive gradualiste (Farc e Ezln). In altre parole vi è un adattamento acritico a tutte le direzioni riformiste e nazionaliste dei popoli in lotta che si traduce nella proposta di costruire un fronte dei paesi “Amici della Pace” (di stalinista memoria), “per la tutela dei diritti sociali e dei popoli”.
La prospettiva indicata oltre che priva di realismo appare tanto più oggi assurda: il “nuovo” internazionalismo proposto non è altro che la riedizione della teoria della rivoluzione in due tappe, dove la transizione al socialismo viene sostanzialmente abrogata dalla storia.
In nome di un presunto realismo, si ignora del tutto la realtà e si condanna il movimento operaio internazionale alla barbarie del capitalismo.
L’internazionalismo al contrario, si basa, tanto più oggi, sulla necessità di sottrarre le masse  alle direzioni riformiste e di conquistarle alla necessità della rivoluzione sotto la direzione della classe operaia. Questo si traduce oggi nella necessità di raggruppamento di tutte le forze d’avanguardia della classe lavoratrice e delle loro organizzazioni giovanili che siano disponibili a convergere nel recupero e nella riattualizzazione degli assi programmatici del marxismo rivoluzionario e a rifondare quindi il “Partito Mondiale della Rivoluzione Socialista”(Quarta Internazionale) fondato da Trotsky nel ’38, e rimasto in fase embrionale nonostante la validità del suo programma.
A una lettura “ideologica” del contesto internazionale si accompagna un’analisi e un orientamento sul piano nazionale incentrati sulla necessità di convergenza con le forze della “sinistra”. A giustificazione di ciò viene sventolato strumentalmente il pericolo del Fascismo da contrastare con l’unità delle sinistre. Questo progetto sarebbe reso più facile oggi dalla “svolta a sinistra” (sic) della CGIL! Si tratta di pura mistificazione della realtà, come dimostra l’assenza di ogni piattaforma rivendicativa di svolta della CGIL e l’assunzione dello sciopero come leva di pressione per riconquistare il tavolo della concertazione! Incoronare come leader delle vittorie future l’organizzatore scientifico delle sconfitte passate e quindi “accantonare le differenze”, parola d’ordine lanciata da Bertinotti oggi (ma figlia della “sospensione della critica” verso le burocrazie sindacali del 1994) può, nel migliore dei casi, tagliare le “ali” al movimento e aprire la strada, come nel 94, al centrosinistra e alle sue politiche liberiste che hanno tradito le ragioni del movimento e aperto la strada al Centrodestra.
Ecco perché oggi è necessaria la formulazione di una piattaforma unificante (assente in entrambi i documenti) che coniugata con forme di lotta più radicali e con l’obiettivo della cacciata del Governo Berlusconi (come traduzione coerente di questa lotta), apra la strada non ad un governo di centrosinistra o di sinistra plurale, ma che costruisca nelle lotte reali, nelle lotte presenti un alternativa di classe: ciò che Marx chiamava un governo “dei lavoratori per i lavoratori”.
Anche la battaglia sulla “questione Meridionale” e sulla lotta alla mafia non devono basarsi sulla possibilità, del tutto illusoria, di risoluzione nel contesto dei rapporti di produzione dati, né tanto meno essere motivo di “blocco” con il CS, agente del grande capitale quanto delle sue infiltrazioni mafiose. Ma al contrario devono essere assunte in un’ottica transitoria e la loro risoluzione nella prospettiva della trasformazione socialista.
Infine, l’orientamento opportunistico dei compagni de “L’Ernesto” scaturisce, nel quadro della mobilitazione universitaria, nella scelta di dar vita alle “liste di sinistra”. Questa impostazione va respinta con forza, dal momento che va considerato concluso il tentativo, rivelatosi fallimentare, di condizionamento di organizzazioni come l’UDU. Al contrario i GC devono assumere come centrale la costruzione dei collettivi universitari come luoghi orizzontali di dibattito e mobilitazione su un programma transitorio.
 

“GIOVANI COMUNISTI: RIVOLUZIONARI O DISOBBEDIENTI?”
Il documento presentato dall’area “centrista” di Falcemartello ripropone nella sostanza le posizioni già espresse da quest'area nei cosiddetti emendamenti alle nostre tesi per il V Congresso del Prc: emendamenti che in realtà già configuravano l'impianto di un altro documento, visto lo spessore delle differenze (analisi dei DS e dell'evoluzione di questo partito, analisi della burocrazia CGIL e del suo ruolo, analisi della situazione politica italiana, del rapporto tra grande borghesia e poli dell'alternanza; questione del fronte unico, ecc.); a ciò si aggiunge un deciso attacco al ruolo svolto dalla nostra area nei GC in questi anni. Accuse prive di ogni fondamento come dimostra la vicenda del rinvio della Conferenza GC: non rinviare di qualche mese la conferenza GC, dopo un’attesa di quasi cinque anni, sarebbe significato aggiungere al danno, anche la beffa di una conferenza fatta per di più in tempi che non avrebbero consentito alcun dibattito vero!
La presentazione di un documento alternativo da parte dei compagni di Falcemartello, da un lato scioglie ogni ambiguità circa la collocazione e il rapporto con la sinistra del partito, e pone termine a una confusione da loro volutamente alimentata da tempo, dall’altro rende evidenti le differenze strategiche tra la loro proposta politica e quella della sinistra rivoluzionaria del partito. Infatti entro il campo intermedio (centrismo) che separa il riformismo dal marxismo rivoluzionario, si riproduce una vasta gamma di tendenze diverse che i marxisti rivoluzionari devono analizzare e criticare, quale che sia la sua modestia quantitativa e politica. Innanzitutto il testo contiene indubbiamente elementi di profonda “confusione”: nel mentre il partito mette in campo tutta la sua struttura organizzativa per riannodare i rapporti con il CS (referendum,elezioni amministrative etc.) si afferma che è in atto una svolta che punta alla “liquidazione politica e organizzativa”del Partito. Inoltre si individua nella scissione cossuttiana, e non nella politica perseguita dal partito, la causa che ha impedito al PRC di apparire come alternativa possibile dopo l’uscita dal governo Prodi! Ancora: si individua un “abisso” tra le scelte fatte dalla “direzione” nel primo Social Forum di Porto Alegre e quelle del secondo Forum! Inoltre, da una parte si distribuiscono gratuitamente accuse di settarismo e di “impostazione catechistica”, dall’altra, ad esempio sulla questione palestinese, si preferisce il proprio manuale di scolastica (peraltro mal assortita) ad un’analisi dialettica della realtà.
Ma il cuore della proposta politica di questi compagni si basa su uno schema che vede il blocco borghese compatto attorno all’egemonia del grande capitale; l’insieme del blocco borghese collocato a sostegno di Berlusconi e la gran parte dell’apparato DS (esclusa l’area liberal di Morando) come rappresentanza socialdemocratica (D’Alema incluso...) del movimento operaio e quindi estranea alla borghesia.
Da qui nasce la definizione dei DS (ripetuta più volte nel testo) di “sinistra moderata” (tra l’altro cara a Bertinotti): una definizione astratta che non tiene conto della natura di classe e dell’evoluzione storica della funzione sociale dei DS ed in particolare del suo gruppo dirigente maggioritario. Una funzione non più di “agenzia della borghesia nel movimento operaio”(socialdemocrazia) ma di piena assunzione degli interessi complessivi del grande capitale: tant’è che il grande capitale ha scelto nel centrosinistra il suo interlocutore preferenziale di fase. Non una scelta ideologica, ma dettata dalla maggior affidabilità del personale politico sperimentato del centrosinistra rispetto al centrodestra e dalla garanzia di pace sociale assicurata. Gli esempi da citare sono infiniti: dalla scelta diretta del grande capitale di Prodi a candidato premier (decisa in una cena a casa Abete), al sostegno pubblicamente espresso ai candidati del CS nelle elezioni regionali e amministrative ancorché sfavoriti rispetto a quelli di Centrodestra etc.Questa scelta è stata mantenuta anche a seguito della vittoria di Berlusconi (che certo non impedisce al grande capitale di dettare le leggi finanziarie al governo): il ministro di “controllo” Fiat, Ruggiero ne era l’esemplificazione più evidente,e il suo “licenziamento” la controprova.
Anche gli ultimissimi eventi ed in particolare il contrasto sui modi e sui tempi della abrogazione dell’art.18 evidenzia ancora maggiormente le differenziazioni tra grande capitale e piccola e media borghesia (D’Amato) e la assenza di compattezza nel blocco borghese. Allo stesso tempo la vicenda politica degli ultimi giorni mostra inequivocabilmente la funzione sociale del CS e dei DS: lo “Statuto dei lavori” presentato in Parlamento è il biglietto da visita che il Centrosinistra presenta al grande capitale, candidandosi già da adesso ad una gestione migliore (più risultati e più pace sociale) degli affari della borghesia per il 2006.
Risulta evidente, anche per quanto detto sopra, che nello scontro sociale in atto non è possibile alcun “fronte unico” con chi, come D’Alema, Rutelli, Treu, Fassino etc., per un verso cerca di incanalare lo scontro sociale (e di sabotarlo in alcuni casi), e allo stesso tempo, anche dall’opposizione, si pone come miglior interprete degli interessi del grande capitale. Al contrario, se la mobilitazione deve coinvolgere tutte le tendenze del movimento operaio (sinistra DS, CGIL, sindacalismo extraconfederale), deve altresì avere come elemento centrale la “rottura col Centro”, che può diventare un cuneo nelle contraddizioni dell’Ulivo e dei DS; una forma di interlocuzione  verso l’aperta contestazione dei vertici ulivisti da parte di un vasto settore del popolo di sinistra; un possibile fattore di rafforzamento dell’influenza politica dei comunisti tra le masse a scapito sia dell’Ulivo sia delle stesse tendenze socialdemocratiche della sinistra DS e della CGIL (che vanno incalzate nelle loro insuperabili contraddizioni). E’ un modo di articolare la battaglia per una direzione politica alternativa del movimento operaio: che resta la questione decisiva per il futuro del movimento (e dei movimenti).
In questo quadro la proposta di “fronte unico” -nella versione centrista di Falcemartello- assume sempre più i caratteri di una formula precostituita e schematica (secondo uno schema tra l’altro sbagliato), dal momento che è una costante nei documenti dei compagni di FM a prescindere dalla situazione politica: da tattica rivoluzionaria il fronte unico assume quindi i contorni di una formula permanente che si configura inequivocabilmente come un obiettivo strategico: la rottura dei DS con il centro diventa quindi, per FM, una questione fondamentale del processo di autonomia di classe. In altre parole, quindi, la politica dei comunisti andrebbe finalizzata allo spostamento a sinistra dell’apparato DS. Si tratta di un rovesciamento radicale dell’impostazione marxista rivoluzionaria: la politica dei comunisti deve essere finalizzata alla rottura dei lavoratori con le agenzie borghesi come condizione di emancipazione della classe, e non , come propongono i centristi di FM, allo spostamento a sinistra di quelle agenzie!
In definitiva, riteniamo la II Conferenza dei GC un momento centrale nel processo, non semplice ma necessario, della rifondazione di un organizzazione rivoluzionaria, giovanile ma non solo, tanto più a fronte di una situazione nazionale e internazionale che pone l’urgenza di sottrarre le giovani generazioni, ma non solo, all’egemonia di direzioni riformiste sulla base di una piattaforma transitoria e, nel contesto più generale, della prospettiva socialista internazionale come unica alternativa alla barbarie capitalista.Qui sta il senso di un documento politico strategicamente alternativo tanto a posizioni riformiste (movimentiste o frontiste), quanto a quelle centriste.