ROMPERE CON IL CENTRO LIBERALE

 

 

di Marco Ferrando (**)

 

Sergio Cofferati dichiara su “La Repubblica” di voler comporre un programma col centro liberale per poi insieme negoziare con Fausto Bertinotti. Fausto Bertinotti dichiara da tempo di voler aprire un confronto programmatico con Sergio Cofferati per poi insieme negoziare col centro liberale.

 

Sono proposte equivalenti? No. La prima si muove dentro la coalizione dell'Ulivo seppur nel nome di una sua apertura ai movimenti. La seconda rivendica il primato dei movimenti come leva di superamento della “gabbia dell'Ulivo”. Ma entrambe, da angolazioni diverse, muovono a ben vedere nella medesima direzione: un “compromesso dinamico” tra movimenti di massa e centro liberale; di fatto una sorta di rifondazione del centrosinistra.

 

Purtroppo a me pare la direzione sbagliata.

 

Gli anni Novanta ci dicono con sufficiente chiarezza che il centro liberale non è semplicemente una somma di “posizioni moderate”: è l’area di rappresentanza in questo Paese degli interessi del grande capitale.

 

Così è stato nella passata legislatura, con l’infinita sequenza di privatizzazioni, flessibilizzazioni, rottamazioni, regalie fiscali alle grandi imprese vecchie e nuove.

E così è oggi, dal versante dell'opposizione, in forme più contorte ma non meno gravi: dall’opposizione all'estensione dell'articolo 18 sino al rifiuto di ogni intervento pubblico in FIAT; dal sostegno al patto di stabilità europeo sino al voto all'impresa di guerra degli alpini in Afghanistan. E già si preannuncia un sostegno o un avallo alla nuova guerra coloniale contro l'Irak sotto una copertura ONU.

 

Di più: la stessa "opposizione" liberale a Berlusconi muove esattamente dal versante della grande impresa: rimprovera Berlusconi di avere riacceso il conflitto sociale; di rivelare scarsa cultura liberale in fatto di privatizzazioni; di esprimere una politica di clan obiettivamente inadeguata alla rappresentanza generale dell'Italia capitalistica. In una parola: il centro liberale si candida ad una alternanza di governo che garantisca alla borghesia italiana il ritorno alla pace sociale e alla “normalità” del suo sistema. E chiede ai movimenti di massa di fare da semplice sgabello, per l'ennesima volta, di questo progetto. Non nasce forse da qui la stessa remissività verso il governo Berlusconi? Se il fine è un progetto di subordinazione dei lavoratori ad un ennesimo governo del capitale, non si può certo puntare sulla mobilitazione di massa come leva di opposizione al governo delle destre. Al contrario: occorre già ora lavorare a disinnescare la miccia del conflitto e predicare la sfiducia nella piazza. Sino a rassicurare Berlusconi, nel momento stesso dell'affondo plebiscitario, sulla continuità incondizionata del suo governo sino al 2006. Il Cavaliere ringrazia.

 

Chiedo allora a Sergio Cofferati, ma anche a Fausto Bertinotti: la più grande stagione di mobilitazione di massa degli ultimi venti anni in Italia può essere piegata a un nuovo compromesso, oggi o domani, col centro liberale? Vi è una sola istanza di svolta espressa dal movimento di massa che possa aspirare a una soddisfazione reale a braccetto con la Margherita di Rutelli, Prodi, Treu, e quindi col blocco di interessi di cui è portatrice?

 

La direzione di marcia dovrebbe essere, credo, esattamente opposta. Solo una rottura reale e definitiva col centro liberale può sgomberare il campo oggi ad un'opposizione radicale a Berlusconi e domani ad un'alternativa delle classi subalterne: l’unica alternativa che sia all’altezza delle esigenze di svolta e delle potenzialità di lotta dei nuovi movimenti.

 

Ma questa nuova rotta domanda precise assunzioni di responsabilità. Cofferati e Bertinotti, in particolare, quali fiduciari di fatto, a livelli diversi, della più larga parte dell'opposizione di massa, stanno di fronte a un bivio. Possono certo continuare a contendersi lo spazio negoziale del rapporto col centro rischiando così di riprodurre quel tragico riflesso condizionato che nella passata legislatura ha condotto la CGIL a imporre la concertazione e il PRC a votare il pacchetto Treu. Ma possono invece, se davvero lo vogliono, rompere insieme col centro liberale; promuovere insieme un'opposizione radicale mirata ad una autentica esplosione sociale e alla cacciata di un governo reazionario; battersi insieme per una prospettiva di governo dei lavoratori e delle lavoratrici, interamente basato sulla loro forza e sulla coerenza di un programma anticapitalistico.

 

Questa è in ogni caso la linea che Progetto Comunista, sinistra del PRC, sostiene e sosterrà nel proprio partito, nei movimenti, nelle organizzazioni di massa. A partire dalla campagna oggi centrale per l'estensione dell'articolo 18 e per lo sciopero generale contro la guerra.

 

 

(*) (Direzione nazionale PRC - portavoce dell'Associazione Progetto comunista, sinistra del PRC)