In una multisala
cinematografica nasce il partito comunista dei lavoratori. Bordate a Bertinotti
Ferrando battezza il nuovo Pcl "Questa è l´alba della rivoluzione"
di Antonello Caporale
ROMA - Bisogna usare tutte le dita delle mani: da ieri sono nove i partiti di
centro e di sinistra che sostengono il governo e uno che si oppone ad esso.
L´ultimo, il decimo, è nato a Roma in piazza Barberini, nel cinema Barberini.
Mingherlino ma già con la barba, è figlio legittimo di Rifondazione comunista.
In Italia, questo è il secondo dato notevole, con la nascita del Partito
comunista dei lavoratori (in siglia: Pcl) sono ad oggi tre le formazioni che
nel simbolo si ritrovano la falce e martello. La dimensione della falce (e
anche quella del martello) sono inversamente proporzionali all´anzianità della
presenza sulla scheda elettorale. Grandissimo nel più piccolo dei tre, questo
qui appunto, che ha come guida Marco Ferrando, fino a pochi mesi fa capo degli
oppositori di Bertinotti, da questi licenziato in piena campagna elettorale per
le sue posizioni troppo amichevoli verso gli iracheni che sparano (li chiamò
"resistenti"), chiunque, ovunque e con qualunque mezzo.
Ferrando è dunque la guida. L´uomo ha la barba come Karl Marx e anche i suoi
tratti somatici lo rendono felice. In qualche misura somiglia al Capo. Nella
penombra della multisala lui (Ferrando) si è però notato poco. Più ossessiva
l´aria pregna del fritto da pop corn, un´americanata che i comunisti marxisti
non avevano previsto. In cinquecento si sono ritrovati infatti nella sala
insonorizzata, e già molto chic. Senza soldi e senza neanche la colonna sonora,
hanno intonato l´Internazionale portandola fino alle estreme conseguenze,
concludendo con l´ultima strofa il rito dei pugni chiusi. Felici, già parecchio
incavolati ma strasicuri. Un delegato di Bologna: «Forse oggi la rivoluzione
inizia».
Inizia, forse. I compagni vengono dal nord operaio, ma ci sono molti giovani
delle periferie metropolitane e persino irpini disubbidienti a De Mita. Avevano
tutti la tessera di Rifondazione, ieri l´hanno stracciata. Affidano le loro
residue speranze al genovese Ferrando. Che ha un eloquio elegante, senza però
la erre francese di Bertinotti, una efficace capacità di sintesi, e pare
anch´egli molto televisivo, molto da Porta a porta. Bertinotti? «L´anima di qua
e il corpo di là. Con l´anima era insieme ai pacifisti, col corpo con i
militari». Padoa-Schioppa? «Espressione chimicamente perfetta degli interessi
finanziari». E il governo, questo governo: «E´ così distante anche
antropologicamente da noi. Compagni, c´è persino un profilo estetico che ci
divide. Ma li vedete?».
La platea si sollazza, le telecamere oggi mancano ma chissà domani. Bertinotti
ha più volte dichiarato: «Bruno Vespa è stato l´unico che ha rotto il fronte di
isolamento nel quale Rifondazione piombò all´indomani della crisi col governo
Prodi, nel 1996. Io non dimentico...». Anche Ferrando ci spera: «Ci andrei, hai
voglia se ci andrei!».
E di corsa spiegherebbe quanto è "traditore" il compagno Fausto, l´ex
subcomandante «che oggi coniuga il massimo della visibilità istituzionale con
il massimo di impotenza politica». Ferrando sa come far sanguinare
Rifondazione, conosce la sua pancia e il male che adesso prova il partito a
tenere i nervi a posto, tranquillo, in ordine. Pungerà la barba marxista: «Da
domani dobbiamo scrivere a tutti i parlamentari e incalzarli, chiedere il loro
no al rifinanziamento per l´Afghanistan». Fare opposizione è sempre più facile
che governare: «I girotondi volevano più Giustizia e si ritrovanbo Clemente
Mastella. Beati loro! Doveva essere il governo dell´Italia che cambia e invece
ritroviamo al potere tutti gli avversari dei lavoratori negli ultimi quindici
anni».
Da oggi la prospettiva cambia e come dice quel compagno di Bologna «la
rivoluzione forse inizia».