DICHIARAZIONE
DI PRINCIPI DELL’OPPOSIZIONE TROTSKISTA INTERNAZIONALE (OTI)
Approvato dalla seconda Conferenza Internazionale
dell'Opposizione Trotskysta Inetrnazionale
5 Settembre 1998
1 - La rivoluzione
socialista mondiale
Il fine dell’azione rivoluzionaria del trotskismo
è la distruzione della società capitalistica e lo sviluppo della società
socialista.
Solo con la distruzione del capitalismo su scala
mondiale sarà possibile realizzare un poderoso sviluppo delle forze produttive
e liberare l’umanità dallo sfruttamento, dalla miseria, dall’oppressione
sessuale e razziale, dall’ineguaglianza, dal deterioramento e dalla
distruzione delle risorse naturali e dell’ambiente, dalle guerre e dalla
violenza, prodotti della società divisa in classi.
L’abolizione del capitalismo con la socializzazione
dei mezzi di produzione e di scambio e il processo di costruzione del socialismo
presuppongono la distruzione dello stato borghese.
Tale distruzione è possibile solo tramite
l’insurrezione armata realizzata dal proletariato, unica classe
conseguentemente rivoluzionaria della società capitalistica, che trascini
dietro di sé le masse della piccola borghesia urbana e rurale oppresse dal
capitalismo.
Solo con tale insurrezione sarà possibile al
proletariato impadronirsi del potere politico e sconfiggere l’inevitabile
resistenza violenta della classe dominante e delle forze sociali ad essa legate,
e la trasformazione della società in senso socialista.
I trotskisti rigettano come illusoria la pretesa di
arrivare al socialismo per via pacifica e graduale, come risultato di un
progressivo sviluppo della democrazia conseguente per azione del proletariato
all’interno dello stato borghese. Nella stragrande maggioranza dei casi tali
posizioni mascherano la volontà di non mettere in causa i rapporti di
produzione e di proprietà capitalistici; ma anche dove esse sono espressione di
reale volontà anticapitalistica, sono utopiche e di fronte alla violenza dello
stato borghese, che la storia anche recente ha sempre dimostrato manifestarsi
nelle forme più brutali ove la borghesia senta messo in causa il suo dominio
sociale, non possono che portare alla disfatta del proletariato.
Nello stesso tempo il trotskismo conseguente rifiuta
ogni strategia rivoluzionaria centrata sulla guerra di guerriglia di tipo sia
contadino che urbano.
Infatti tale strategia porta alla sostituzione del
proletariato come forza motrice della rivoluzione con altre classi sociali
(contadini, piccola borghesia urbana, gioventù declassata) e con ciò dimostra
il suo carattere non socialista.
Allo stesso modo il trotskismo rigetta l’azione dei
gruppi terroristicoguerriglieri che pretendono di parlare in nome del
proletariato ma che, anche quando composti in maggioranza da proletari, in realtà
rappresentano settori staccati dalla classe operaia e il cui avventurismo è un
elemento di disgregazione nelle file proletarie.
Il trotskismo ribadisce la concezione marxista e
leninista secondo cui l’insurrezione proletaria vittoriosa può realizzarsi
solo se gode dell’appoggio attivo della maggioranza politica del proletariato
e nel quadro di una situazione di crisi rivoluzionaria.
2 - La dittatura del
proletariato
In luogo dell’apparato statale borghese distrutto,
il proletariato edificherà il proprio stato (dittatura del proletariato). Esso
si baserà sugli organi della democrazia sovietica: i consigli dei lavoratori
nelle fabbriche, nei campi, nei quartieri popolari, centralizzati ai livelli
superiori dello stato operaio.
Uno dei compiti centrali dello stato proletario sarà
la lotta contro il pericolo della burocratizzazione. La dittatura del
proletariato prevederà l’eleggibilità e revocabilità dei funzionari dello
stato, che in ogni caso non dovranno godere di privilegi particolari per le loro
funzioni.
I trotskisti devono promuovere la più compiuta
democrazia nello stato operaio. Le modalità concrete di attuazione della
democrazia proletaria saranno determinate dalla situazione concreta dello stato
operaio. Come argomentava Trotsky: «È una dittatura, e al contempo la sola
vera democrazia proletaria. La sua ampiezza e la sua profondità dipendono dalle
condizioni storiche concrete. Più stati prenderanno la via della rivoluzione
socialista, più libere e duttili saranno le forme della dittatura, più ampia e
profonda sarà la democrazia operaia.». Nostro obiettivo è appunto
quest’ampia e profonda democrazia operaia (a tal punto che il proletariato
potrà estendere laddove possibile i diritti democratici anche ai nemici della
rivoluzione, e lottare contro di essi con mezzi politici.) Ma ricusiamo di
legarci in anticipo a schemi garantistici, che non possono prendere in
considerazione lo sviluppo concreto del processo rivoluzionario, e in
particolare il contesto internazionale.
La dittatura del proletariato costituisce una fase di
transizione che col progressivo sviluppo delle forze produttive porterà
all’estinzione delle classi sociali e al socialismo.
Tale fine sarà raggiungibile solo con l’estensione
internazionale della rivoluzione proletaria e la creazione di una repubblica
mondiale dei consigli dei lavoratori.
Con il raggiungimento del socialismo le funzioni
coercitive della dittatura proletaria verranno a cadere portando così
all’estinzione dello stato.
3 - Il partito mondiale
della rivoluzione socialista
La realizzazione dei fini indicati necessita la
presenza come direzione del processo rivoluzionario di distruzione degli stati
borghesi e di costruzione della Repubblica mondiale dei consigli di una
organizzazione internazionale che rappresenti gli interessi storici del
proletariato in quanto classe conseguentemente rivoluzionaria e basata sui
fondamenti teorici e strategici del socialismo scientifico.
Tale organizzazione non può essere quindi che
un’internazionale fermamente basata sui principi del marxismo e del leninismo
della nostra epoca cioè del trotskismo.
È necessaria la creazione di sezioni nazionali di
tale internazionale in ogni paese del mondo, senza esclusione. Compito dei
partiti trotskisti è di elevare il proletariato dalla sua spontanea coscienza
di natura tradeunionistica fino alla coscienza socialista, trasformandolo da «classe
in sé» a «classe per sé»; combattere le organizzazioni politiche borghesi e
le agenzie della borghesia in seno al movimento proletario, oggi direzioni
maggioritarie del movimento operaio, nonché tutte le forme di opportunismo e
avventurismo presenti in seno al movimento delle masse. In queste condizioni il
mantenimento dell’indipendenza dei partiti trotskisti è una necessità
ineliminabile.
4 - La lotta per la
risoluzione della crisi di direzione del proletariato
I partiti socialdemocratici e riformisti di origine
staliniana che, nella maggior parte degli stati capitalistici, in particolare
quelli imperialisti, rappresentano le principali direzioni del movimento di
massa, costituiscono delle agenzie della borghesia in seno al movimento operaio
(partiti operai-borghesi). Il legame di questi partiti con la borghesia e il suo
stato è un legame diretto nel caso dei partiti socialdemocratici e un legame
storico indiretto nel caso dei partiti stalinisti, determinato e mediato dalle
politiche della casta burocratica che governava in URSS o negli altri stati
operai degenerati o deformati. Il collasso dello stalinismo internazionale alla
fine degli anni Ottanta ha modificato questa situazione. Alcuni partiti che
nella fase precedente si erano progressivamente autonomizzati dalla burocrazia
stalinista dell’URSS e avevano approfondito I legami con la borghesia del
proprio paese (partiti «eurocomunisti») si sono in alcuni casi trasformati in
partiti di tipo neosocialdemocratico (l’esempio maggiore è il Partito
comunista italiano, trasformatosi in Partito democratico della sinistra). Altri,
invece, rimasti strettamente legati alla burocrazia russa fino al suo collasso o
impediti in una evoluzione puramente neosocialdemocratica dall’esistenza di
significativi partiti socialdemocratici, hanno mantenuto il tradizionale
riferimento formale al «comunismo». Il loro ruolo non è però sostanzialmente
cambiato. Restano dei partiti riformisti operai-borghesi, agenzie della
borghesia in seno al movimento operaio.
La politica dei partiti socialdemocratici e
riformisti di origine stalinista è indirizzata alla difesa dello stato borghese
e dei rapporti di proprietà capitalistici.
Un ruolo analogo è svolto nei paesi oppressi dalle
organizzazioni nazionaliste piccoloborghesi.
Vacillando tra riformismo e trotskismo le direzioni
centriste, cui possono essere assimilate le forze più radicali del nazionalismo
piccoloborghese e le organizzazioni di tipo anarchico, pur non svolgendo una
costante azione apertamente controrivoluzionaria, con la loro politica
opportunistica e confusionista, costituiscono un ulteriore ostacolo alla
rivoluzione proletaria.
I trotskisti conseguenti si pongono il compito di
sconfiggere politicamente le organizzazioni riformiste, staliniste, centriste e
nazionaliste e di distruggere la loro egemonia e il loro controllo organizzativo
sul movimento operaio, con lo scopo di raccogliere attorno al programma del
trotskismo la maggioranza politica del proletariato e i settori più vasti
possibile delle altre classi oppresse dal capitalismo. Allo stesso modo i
trotskisti conseguenti lottano per strappare le masse dall’influenza delle
opposizioni riformiste e centriste negli stati operai degenerati o deformati che
ancora permangono.
Il trotskismo conseguente respinge come revisioniste
le tesi che ipotizzano la trasformazione delle organizzazioni opportuniste in «direzioni
rivoluzionarie» sotto la spinta del movimento di massa. Allo stesso modo
rigetta la convinzione secondo cui le direzioni riformiste e/o centriste
potrebbero essere rigenerate per un’evoluzione interna.
Il trotskismo conseguente lotta per il «raggruppamento
rivoluzionario» cioè per l’unificazione sulle basi programmatiche del
bolscevismo delle forze di avanguardia del proletariato. In questo ambito può
adottare ove le condizioni lo richiedano la tattica dell’entrismo nelle
organizzazioni riformiste, centriste, nazionaliste piccoloborghesi, con lo scopo
di provocare la rottura degli elementi soggettivamente rivoluzionari con le loro
direzioni e operarne così il raggruppamento su basi bolsceviche.
Il trotskismo conseguente rifiuta come revisionista
la politica di «unità dei rivoluzionari», cioè la posizione secondo la quale
il partito rivoluzionario potrebbe nascere dalla fusione su basi vaghe e «di
mediazione» tra il trotskismo e forze di tipo centrista. Allo stesso modo il
trotskismo rigetta l’entrismo profondo o «sui generis», cioè la politica
che vuole ridurre il ruolo dei trotskisti a elementi di pressione all’interno
dei partiti opportunisti, sulla base di illusioni revisioniste circa la
possibile evoluzione complessiva o parziale di tali partiti.
5 - Gli stati
capitalisti
Le dinamiche fondamentali tra stati capitalisti
derivano dall’interazione tra la lotta di classe internazionale con le rivalità
interimperialistiche e le contraddizioni tra imperialisti e nazioni oppresse.
Queste dinamiche esprimono la contraddizione fondamentale del capitalismo,
l’antagonismo tra le forze di produzione sempre più socializzate e
interdipendenti e i rapporti di produzione privati, ancor più intensificata
nell’epoca dell’imperialismo dalla contraddizione tra il carattere
internazionale della produzione capitalistica e la limitazione dei confini
nazionali.
Il tradimento collaborazionista delle burocrazie
staliniste è stato ripetute volte decisivo nel procurare agli imperialisti la
possibilità di evitare grandi sconfitte o arretramenti. All’interno del mondo
coloniale o semicoloniale ha giocato lo stesso ruolo il tradimento delle
direzioni nazionaliste borghesi e piccolo borghesi. Quando le contraddizioni si
sono intensificate, le nazioni imperialiste sono state costrette a fare maggiore
affidamento sugli stati ad insediamento coloniale (Sudafrica, lo stato sionista
di Israele) e sulle popolazioni (vedi Falklands) impiantate nel centro di
territori semicoloniali, imperialiste esse stesse o profondamente dipendenti dai
paesi imperialisti per la loro sopravvivenza, quali isole privilegiate,
circondate da nazioni e popoli oppressi, per collaborare ai loro sforzi di
mantenimento della dominazione economica sopra il mondo semicoloniale.
Nell’attuale epoca storica il marxismo opera
nettamente una distinzione tra le diverse nazioni capitalistiche, distinguendo
in particolare tra nazioni oppresse e nazioni che svolgono un ruolo di
oppressore. I vari stati capitalistici si suddividono in certe categorie
fondamentali, basate su differenze qualitative tra loro nel livello di sviluppo
delle forze produttive e sulle relazioni specifiche tra ogni economia nazionale
e l’intero sistema imperialista, cioè nei confronti dell’economia
capitalistica mondiale. Con questi criteri possiamo riconoscere tre tipi di
stati capitalistici basati su tre livelli differenti di sviluppo economico: 1,
stati imperialisti; 2, stati semicoloniali o, in generale, oppressi
dall’imperialismo; 3 stati con un livello intermedio di sviluppo
capitalistico.
Gli stati imperialisti (tra i quali i principali sono
USA, Germania, Giappone, Francia, Gran Bretagna, Italia e Canada), dominati dal
capitale finanziario a carattere internazionale (esportazione di capitali) e dai
grandi monopoli, rappresentano i dominatori del mondo, su cui operano
un’azione di sfruttamento e rapina sulla base della divisione internazionale
del lavoro, e hanno così per natura un ruolo di stati oppressori. In essi le
forze produttive hanno raggiunto un più ampio livello di sviluppo e il
proletariato rappresenta la maggioranza della popolazione lavoratrice. In
definitiva i destini della rivoluzione socialista si determinano sulla vittoria
della rivoluzione proletaria nelle metropoli imperialiste.
I paesi semicoloniali o, in genere, oppressi
dall’imperialismo (tra cui pochi territori minori rimasti in una situazione di
colonia), comprendono una gamma di paesi con situazioni sociali assai diverse:
la maggior parte dei paesi dell’Asia e tutti i paesi dell’Africa (eccetto il
Sudafrica) e dell’America latina (eccetto Cuba) sono in questa categoria, come
paesi il cui stadio di sviluppo delle forze produttive è basso. Essi sono in
genere sottoposti allo sfruttamento e alla rapina imperialista e, quasi ovunque,
anche dove le traformazioni nella divisione internazionale hanno portato nei
decenni passati ad un massiccio sviluppo del proletariato, a partire da quello
industriale, vi è una forte presenza sia di proletariato agrario (bracciantato)
che di settori non proletari sfruttati ed oppressi dal capitalismo, in primo
luogo contadini, che, infine, di settori semiproletari: le masse povere delle
grandi periferie urbane.
Nei paesi oppressi i compiti democratici
(indipendenza nazionale reale, riforma agraria, democrazia politica, ecc.) hanno
un’importanza centrale. Il trotskismo risponde a questa situazione sulla base
della rivoluzione permanente. Si dà cioè il compito di raccogliere sotto la
direzione del proletariato e del suo partito di avanguardia le masse
semiproletarie, contadine e piccolo borghesi in genere, e di attuare la
dittatura del proletariato che realizzando i compiti democratici passerà senza
soluzione di continuità a quelli socialisti, distruggendo la proprietà privata
dei mezzi di produzione non solo dell’imperialismo ma anche della borghesia
nazionale, e sostituendola con un’economia pianificata. Il trotskismo
conseguente rifiuta ogni concezione che veda nella teoria della rivoluzione
permanente solo una descrizione di un processo oggettivo: per il trotskismo, la
rivoluzione permanente è una strategia d’azione e non può essere realizzata
da altri.
Mentre la soverchiante maggioranza dei paesi
capitalisti è imperialista o dominata e oppressa dall’imperialismo coloniale
o semicoloniale esiste un piccolo gruppo di paesi capitalisti a un livello medio
di sviluppo (per es. Portogallo). Questi paesi non hanno acquisito un livello di
sviluppo tale da aver portato alla creazione di grandi monopoli o di capitale
finanziario a livello sovrannazionale, o se hanno visto l’inizio di un tale
andamento, sono in seguito decaduti nell’attuale situazione. Però neppure si
può guardare ad essi come a paesi semicoloniali. Generalmente essi sono legati
alla catena imperialista.
In questi stati accanto al proletariato vi è
generalmente un’ampia presenza di contadini e di piccola borghesia urbana.
Da ciò deriva l’importanza di una politica di
alleanze tra il proletariato e i contadini poveri e gli strati poveri della
piccola borghesia urbana.
Il riconoscere l’esistenza di nazioni che non sono
né imperialiste né oppresse non deve essere confuso con la teoria revisionista
del «subimperialismo» che porta a equiparare i più sviluppati paesi
semicoloniali (come l’Argentina, il Brasile, il Messico e l’Iran) con le
nazioni imperialiste o, in ogni caso, con i paesi imperialisti meno sviluppati e
più soggetti a crisi, che in effetti tradisce o per lo meno offusca la
divisione del mondo capitalista in paesi capitalisti e paesi oppressi.
Nel quadro delle nazioni capitalistiche si vanno
progressivamente inserendo gli ex stati operai dell’Est Europa e dell’ex
URSS. Si tratta di paesi in cui esiste, come lascito dell’economia
postcapitalistica, una forte concentrazione del proletariato, in particolare
industriale, che si trova oggi confrontato con le conseguenze della
restaurazione capitalistica.
Alcuni di questi stati, i più avanzati
economicamente, si stanno posizionando come stati a medio sviluppo capitalistico
(sia pure ai più bassi livelli di questa categoria) È il caso di Ungheria,
Polonia e Cekia. All’estremo opposto l’Albania si trova ad essere in una
situazione di tipo neocoloniale. Per molti di questi stati, inclusa la Russia,
tuttavia, il futuro ruolo è ancora indeterminato e dipenderà dagli sviluppi
dei caotici processi politico-economici, nazionali e internazionali, in cui sono
coinvolti.
6 - Gli stati operai
degenerati e deformati
La rivoluzione russa del 1917 ha rappresentato la
prima consolidata realizzazione della dittatura del proletariato, aprendo in tal
modo una nuova epoca storica.
Tuttavia, l’arretratezza della situazione
economico-sociale della Russia, la sconfitta della rivoluzione internazionale e
le conseguenze sulla classe operaia e la sua avanguardia della guerra civile del
1918-20 e le relative difficoltà economiche del nuovo stato portarono al
trionfo di una casta burocratica che trovò il suo rappresentante principale in
Stalin.
Assurta al potere negli anni Venti e consolidatasi
negli anni Trenta la burocrazia stalinista ha da allora parassitato lo stato
creato dalla rivoluzione e dai processi rivoluzionari nel mondo. Essa e/o le
forze politiche ad essa legate hanno diretto e controllato alcuni di questi
processi, in particolare nel periodo immediatamente successivo alla seconda
guerra mondiale, fino all’abbattimento del capitalismo.
Ciò ha provocato la nascita, accanto
all’originario stato operaio degenerato dell’URSS (cui va aggiunta la
Mongolia, trasformata socialmente in stretta connessione con l’URSS fin dagli
anni Venti), di una serie di stati operai burocraticamente deformati fin dalla
loro origine.
Gli stati operai degenerati (URSS, Mongolia) e
deformati (approssimativamente nell’ordine storico di fuoriuscita dai rapporti
di proprietà capitalistici: Jugoslavia, Albania, Polonia, Cecoslovacchia,
Ungheria, Romania, Bulgaria, Germania Est, Corea del Nord, Cina, Vietnam, Cuba,
Cambogia, Laos) sono stati caratterizzati dalla contraddizione tra il carattere
socializzato (proletario) dei rapporti di produzione e quindi di proprietà, e
il fatto che il proletariato fosse espropriato del potere politico da una casta
burocratica di natura piccolo borghese. Questa esercitava la propria dittatura
oppressiva sulle masse e si serviva del suo potere politico per mantenere e
rafforzare i privilegi materiali di cui godeva in virtù del carattere borghese
dei rapporti di distribuzione.
La burocrazia dominante costituiva un ostacolo
fondamentale per ogni ulteriore progresso verso il socialismo, e la difesa dei
suoi interessi materiali e del suo potere politico ne faceva un elemento
fondamentale di perturbazione e blocco allo sviluppo dello stato operaio e
altresì un veicolo della riproduzione della pressione esercitata dal mondo
capitalistico su di esso. Per tutto ciò il compito del proletariato doveva
essere quello di rovesciare, con una rivoluzione politica, la casta burocratica
stalinista dominante, il cui potere tendeva in definitiva a mettere in causa le
stesse basi sociali dello stato.
Il trotskismo conseguente ha rifiutato la concezione
secondo la quale fra lo stato operaio (dittatura del proletariato) e lo stato
operaio degenerato sarebbe esistita una semplice differenza quantitativa e non
una netta differenza qualitativa. Conseguentemente ha rigettato la concezione
che considerava la burocrazia parassitaria una componente del movimento
proletario. Ha rigettato inoltre come revisioniste e liquidazioniste le teorie
sulla possibilità di pacifica rigenerazione di tutti o di alcuni stati operai
degenerati e/o deformati tramite un processo di autoriforma o di riforma sotto
la pressione della mobilitazione delle masse. A più forte ragione ha rifiutato
le posizioni revisioniste che consideravano alcune burocrazie staliniste
dominanti (in particolare quella cubana) come stato operaio non deformato.
La situazione sopra descritta si è profondamente e
drammaticamente modificata a partire dalla fine degli anni Ottanta.
Nel Programma
di transizione del 1938 Trotsky affermava in riferimento all’URSS: «Il
pronostico politico ha un carattere alternativo: o la burocrazia, divenendo
sempre di più l’organo della borghesia mondiale nello stato operaio,
distrugge le nuove forme di proprietà e respinge il paese nel capitalismo, o la
classe operaia schiaccia la burocrazia e si apre una via verso il socialismo».
Nel quadro di una situazione internazionale negativa
– caratterizzata anche dall’assenza di una direzione conseguentemente
rivoluzionaria internazionale, anche minoritaria – e a causa anche del peso
sulla classe operaia degli stati degenerati o deformati di una pluridecennale
oppressione stalinista, è stata la prima ipotesi a realizzarsi. Di fronte alle
contraddizioni sempre più gravi del suo dominio la burocrazia, nella sua larga
maggioranza, si è posta sul terreno della restaurazione del capitalismo.
Questo ha provocato il tracollo, in forme
parzialmente differenti, dell’URSS, dei regimi degli stati operai deformati
dell’Europa dell’Est e dello stato operaio degenerato della Mongolia (a cui
si è aggiunta, in un quadro storico-politico differente, la Cambogia) con la
costituzione di regimi e apparati statali a carattere borghese. Questi hanno
sviluppato il processo di restaurazione capitalista e creato nuovi stati
borghesi, in generale caratterizzati da una situazione estremamente critica e da
forte instabilità politica.
In altri paesi (Cina, Vietnam, Laos) la burocrazia
sta cercando di sviluppare un progetto restaurazionista, evitando i contraccolpi
negativi avvenuti in URSS e nell’Est Europa. Sviluppa quindi tale processo
mantenendo nel contempo le forme di controllo burocratico-statale sul processo
stesso. Nella misura in cui il processo restaurazionista avviene con limiti e
nel quadro di controllo suindicato è necessario considerare questi paesi
tuttora stati operai deformati; però in progressiva dissoluzione in marcia
verso una restaurazione capitalistica, che implicherà necessariamente una
modifica nelle forme di dominio politico.
La burocrazia cubana, che avrebbe voluto mantenersi
nella precedente situazione, incapace di sviluppare una prospettiva alternativa
rivoluzionaria, si è rassegnata a seguire gli esempi precedenti, aprendo
anch’essa un processo di restaurazione e trasformando Cuba in uno stato
operaio deformato in dissoluzione.
Ad oggi, solo la Corea del Nord rimane uno stato
operaio deformato nei termini originari, sottoposto ad uno dei più oppressivi
regimi stalinisti della storia.
7 - Guerre tra nazioni
Nei confronti dei conflitti tra i diversi stati e
nazioni, le posizioni del trotskismo conseguente sono così determinate:
a) il trotskismo adotta una posizione di disfattismo
rivoluzionario nei conflitti tra gli stati imperialisti che sono determinati
dalla lotta per la spartizione dei mercati e del dominio economico del mondo.
b) il trotskismo difende incondizionatamente gli
stati semicoloniali e oppressi nei confronti delle potenze imperialiste e degli
stati a medio sviluppo capitalistico. La difesa incondizionata di questi stati
non significa in nessun caso appoggio politico ai regimi feudalborghesi,
borghesi, o piccoloborghesi degli stati oppressi.
c) il trotskismo difende incondizionatamente il
diritto all’autodeterminazione di tutte le nazioni oppresse e la loro lotta
per realizzarlo. Questo in primo luogo nei confronti dell’oppressione
imperialista, ma anche quando l’oppressione sia esercitata da stati
semicoloniali o a loro volta oppressi dell’imperialismo (ad esempio il
Kurdistan oppresso da Iran, Irak e Siria oltre che dalla Turchia).
d) il trotskismo difende incondizionatamente gli
stati operai deformati ancora esistenti nei conflitti tra questi e gli stati
capitalisti. Questa posizione non significa in alcun caso appoggio politico alla
burocrazia parassitaria dominante.
In ogni caso i trotskisti cercano di sfruttare la
situazione determinata dai conflitti per giungere all’abbattimento della
borghesia o della burocrazia parassitaria e instaurare la dittatura del
proletariato. Essi infatti rigettano il puro pacifismo proprio di settori
borghesi «progressisti» o «isolazionisti» e soprattutto dei settori della
sinistra piccolo borghese democratica. L’unica condizione per salvare
l’umanità dalle guerre è infatti la rivoluzione socialista. Nei paesi
imperialisti in particolare i trotskisti rivendicano pienamente la tradizione
del bolscevismo nei confronti della I guerra mondiale: dichiarando che il nemico
principale è nel proprio paese, essi lottano per la trasformazione della guerra
imperialista in guerra di classe contro la propria borghesia.
8 - Il programma di
transizione
Il Programma di
transizione adottato come documento centrale al Congresso di fondazione
della Quarta Internazionale (1938) costituisce un fondamentale riferimento per
l’azione del trotskismo. I trotskisti rivendicano il metodo, le indicazioni
strategiche e quelle tattiche generali del Programma
di transizione. È solo su queste basi che può essere avanzata oggigiorno
una politica coerentemente rivoluzionaria.
I trotskisti conseguenti rigettano le concezioni
revisioniste secondo cui il Programma di
transizione costituirebbe un documento storicamente superato e inattuale o
rivendicabile solo nel metodo. Ciò costituisce soltanto un mascherato abbandono
dell’essenza del Programma di
transizione come programma d’azione del bolscevismo.
I trotskisti conseguenti si danno il compito di
sviluppare e aggiornare sulle sue proprie basi il Programma di transizione alla luce degli avvenimenti postbellici e
della situazione contemporanea.
9 - La lotta per il
governo operaio
Punto centrale della strategia rivoluzionaria è la
lotta per il governo operaio (operaio-contadino). Nella sua prospettiva
strategica generale il termine «governo operaio» costituisce un’espressione
popolare della dittatura del proletariato. In questo senso esso è realizzabile
in generale solo come governo del partito trotskista o da questo egemonizzato.
Nella misura in cui la direzione delle masse
proletarie e contadine non si trovi unicamente nelle mani del partito trotskista
ma in quelle dei partiti operai-borghesi o nazionalisti piccolo borghesi, i
trotskisti devono contrapporre alla collaborazione di classe, la necessità
dell’unità dell’insieme del movimento proletario e delle masse su un
programma anticapitalistico, avanzando la prospettiva di un governo operaio
(operaio-contadino). Come afferma il Programma
di transizione: «A tutti i partiti e le organizzazioni che si basano sugli
operai e i contadini e parlano in loro nome, noi chiediamo di rompere
politicamente con la borghesia e di entrare sulla via della lotta per il potere
degli operai e dei contadini. Su questa via noi promettiamo loro un sostegno
contro la reazione capitalista. Nello stesso tempo, noi dispieghiamo
un’agitazione instancabile intorno alle rivendicazioni transitorie, che
dovrebbero, a nostro avviso, costituire il programma del governo operaio e
contadino».
Lo scopo essenziale di questa tattica è quello di
contrapporre le aspirazioni anticapitalistiche della base proletaria e popolare
alla politica controrivoluzionaria delle loro direzioni piccolo borghesi, per
favorire il raggruppamento rivoluzionario dell’avanguardia proletaria, lo
sviluppo della coscienza delle masse e l’evoluzione in senso rivoluzionario
della lotta tra le classi.
I trotskisti rigettano la concezione revisionista
secondo la quale la costituzione di un «governo operaio e contadino» da parte
delle organizzazioni opportuniste costituisce una «tappa inevitabile» nello
sviluppo della lotta per la rivoluzione socialista, perciò lanciano
l’indicazione di lotta per un «governo operaio e contadino» basato su un
programma anticapitalistico e rifiutano per principio ogni appoggio a un governo
dei soli partiti operai-borghesi o nazionalisti piccolo borghesi che sia basato
su un programma di difesa della proprietà e dello stato capitalistici; governo
che costituisce solo una forma mascherata di collaborazione con la borghesia.
Inoltre anche nel caso eccezionale, ma non
irrealizzabile, come lo ha dimostrato l’esperienza del dopoguerra che dei
partiti piccolo borghesi rompano effettivamente con la borghesia e costituiscano
un «governo operaio e contadino» i trotskisti gli offriranno un appoggio
incondizionato «contro la reazione capitalista» (Programma
di transizione), ma non un sostegno politico incondizionato.
L’atteggiamento dei trotskisti sarà sempre determinato dallo scopo centrale
della loro azione: la costituzione di un governo proletario egemonizzato dal
partito trotskista, unica garanzia della continuità rivoluzionaria del «governo
operaio».
A questo scopo noi lottiamo sulle basi del nostro
programma di obiettivi, sia contro i governi capitalisti che contro quelli
burocratico stalinisti per la costruzione di organismi di controllo operaio
sulla produzione, di autodifesa operaia e per comitati di fabbrica di potere
operaio, comitati di occupazione, milizie operaie e soviet. Solo sulla base di
tali organi di dualità di potere la classe operaia può, guidata da un partito
rivoluzionario, sviluppare la necessaria forza indipendente per arrivare a
superare il governo capitalistico e instaurare la dittatura del proletariato.
10 - Il fronte unico
A. Il fronte unico
proletario
La tattica della lotta per il «governo operaio»
costituisce un aspetto centrale della più ampia tattica del fronte unico. Da un
punto di vista generale i trotskisti lottano per l’unità del proletariato e
delle masse oppresse su obiettivi anticapitalistici. In questo quadro si
propongono accordi tattici, anche di ampio respiro, alle organizzazioni
opportuniste del movimento operaio. Riconosciamo che solo con la lotta per
vincere forze sufficienti al nostro programma possiamo sperare di forzare i
leader istituzionali del movimento operaio a un’alleanza con i trotskisti. Gli
scopi di questa politica sono gli stessi già indicati per la tattica del
governo operaio: contrapporre le aspirazioni anticapitalistiche della base
proletaria alla politica dei vertici, favorire il raggruppamento rivoluzionario,
sviluppare la coscienza delle masse; inoltre soprattutto nella misura in cui il
fronte unico si realizzi ottenere successi parziali, sia offensivi che
difensivi, contro la borghesia.
In tutte le occasioni in cui il fronte unico
proletario sia effettivamente realizzato, lo scopo del partito trotskista è
quello di affermare la propria egemonia politica sullo stesso. I trotskisti
conseguenti rifiutano la politica revisionista che trasforma il fronte unico in
una strategia per l’azione anticapitalistica, la costruzione del partito o la
presa del potere da parte del proletariato, così rinunciando al ruolo di
partito d’avanguardia. I trotskisti rifiutano inoltre la concezione per cui la
realizzazione del fronte unico sia positiva di per sé, senza porre una
discriminante sugli obiettivi su cui si basa, rifiutano anche accordi che
contemplino la cessazione della battaglia politica tra i partiti interessati.
B. Il fronte unico
antimperialista
Nella maggioranza dei paesi oppressi, ove vi è una
vasta presenza di settori non proletari poveri e oppressi dal capitalismo e gli
obiettivi democratici hanno un ruolo centrale, i trotskisti possono realizzare
con i partiti e le organizzazioni nazionaliste piccolo borghesi accordi tattici
di Fronte unico antimperialista. All’interno di simili fronti unici
antimperialisti, i trotskisti lottano generalmente per il massimo di unità con
la direzione delle forze proletarie e in particolare per la direzione
rivoluzionaria del partito trotskista. Essi rifiutano invece la posizione
revisionista che partendo dalla natura dei paesi oppressi dall’imperialismo e
dalla centralità della lotta contro di esso, sostiene la possibilità di
realizzare accordi di fronte unico antimperialista con la borghesia nazionale
del paese oppresso. Per il trotskismo il fronte unico antimperialista è, come
afferma Trotsky (La rivoluzione in India,
suoi compiti e pericoli, 30 maggio 1930): «Un blocco di operai, contadini e
piccola borghesia (...) diretto non solo contro l’imperialismo e il
feudalesimo, ma anche contro la borghesia nazionale, che ad essi è legata in
tutte le questioni fondamentali.»
Nella misura in cui i partiti della borghesia
nazionale si scontrino con l’imperialismo è possibile realizzare con essi dei
limitati accordi pratici allo scopo di mettere in pratica la politica di difesa
incondizionata delle nazioni oppresse contro l’imperialismo, ma mai un fronte
unico.
C. Il fronte unico
contro la burocrazia stalinista
Analogamente a quanto detto per i paesi capitalisti,
negli stati operai deformati ancora esistenti è possibile stabilire alleanze di
fronte unico con gli oppositori riformisti e centristi della burocrazia
stalinista. Tuttavia non con gli elementi pro imperialisti e restaurazionisti.
Essenzialmente una simile politica di fronte unico è
semplicemente una applicazione del fronte unico proletario relativa alle
condizioni particolari di questi paesi. In parte, lo scopo del fronte unico
contro la burocrazia stalinista è di unire la classe operaia di questi paesi
sia contro l’oppressore stalinista e in difesa delle relazioni di proprietà
collettiva contro le minacce e le distorsioni del sistema capitalistico, che
contro le false pretese della burocrazia di essere il «difensore del socialismo»
e contro il ruolo ostacolante il pieno sviluppo delle forze di produzione
collettivizzate da essa sostenuto. Una tale politica di fronte unico ha inoltre
come scopo fondamentale di facilitare la lotta dei trotskisti per guadagnare la
direzione del movimento operaio negli stati operai deformati, quindi di portare
la maggioranza politica di questi lavoratori dalle concezioni riformiste e
centriste al programma trotskista di rivoluzione politica, attraverso le
esperienze dirette all’interno delle lotte concrete, al fine di soppiantare la
burocrazia e creare un sano stato operaio basato sui soviet rivoluzionari. Lotta
che oggi diventa in termini immediati lotta per la difesa dello stato operaio e
delle conquiste socialiste contro una burocrazia diventata coscientemente e
compiutamente restaurazionista.
Ancor oltre, in questi stati operai deformati dove
larghe masse contadine soffrono con la classe operaia della tirannia della
burocrazia, i trotskisti devono lottare per alleanze di fronte unico tra gli
elementi più oppressi dei contadini e le forze politiche che si oppongono alla
burocrazia, allo scopo di guadagnare i primi allontanandoli dalle tendenze di
restaurazione capitalistica, ad accettare la direzione della classe operaia
nella lotta per uno sviluppo rapido e socialista dell’agricolutura, con una
attenta pianificazione che si leghi allo sviluppo socialista dell’industria.
11 - La lotta di classe
proletaria e l’orientamento verso gli operai d’avanguardia
Il principale terreno di intervento dei rivoluzionari
è costituito dalla classe operaia, per guadagnarne l’avanguardia alla
militanza nel partito marxista rivoluzionario e la maggioranza politica al
sostegno del suo programma e della sua azione. Poiché la forma elementare di
organizzazione della classe in quanto tale è rappresentata dalle organizzazioni
sindacali compito centrale dei trotskisti è l’intervento al loro interno.
Nella quasi totalità dei paesi in cui esse hanno una qualche indipendenza dallo
stato, sono dirette da burocrazie piccolo borghesi, agenti diretti o indiretti
della borghesia. La lotta per scacciare tali burocrazie dalla direzione dei
sindacati e sostituirle con una direzione rivoluzionaria, garantendone
l’indipendenza nei confronti dello stato borghese, è il compito centrale dei
trotskisti.
Per realizzare i loro fini all’interno dei
sindacati i trotskisti devono organizzare sotto la propria egemonia politica
delle frazioni sindacali rivoluzionarie aperte alla partecipazione non solo dei
militanti e simpatizzanti dei partiti marxisti rivoluzionari ma a tutti gli
attivisti conseguentemente classisti. Il programma di tali frazioni deve basarsi
sulle indicazioni generali strategiche e tattiche del Programma
di transizione. I trotskisti possono certamente partecipare a più ampi
raggruppamenti di opposizione antiburocratica nei sindacati («sinistra
sindacale larga») ma devono vedere tale azione come un passo transitorio
mantenendo come loro scopo quello di costruire, a partire dall’azione in tali
raggruppamenti «larghi», delle vere frazioni sindacali classiste
rivoluzionarie.
Il trotskismo conseguente rigetta la posizione
secondo la quale, poiché i sindacati hanno un ruolo differente da quello del
partito rivoluzionario (cioè in primo luogo la difesa delle condizioni di vita
e di lavoro della classe operaia), essi non potrebbero essere conquistati a un
vero programma rivoluzionario, ma solo a una prospettiva di combattività
rivendicativa. I trotskisti considerano che i sindacati benché non possano
avere un programma e una attività rivoluzionaria compiuti possono e devono
essere trasformati in organizzazioni ausiliarie della rivoluzione proletaria,
facendoli uscire sia da un’azione politica di appoggio allo stato borghese,
sia dal puro sindacalismo. Nel loro lavoro nei sindacati e nell’insieme delle
loro attività, l’orientamento principale dei trotskisti è verso gli operai
d’avanguardia, quegli operai più pronti sia nelle parole che nei fatti ad
opporsi ai capitalisti e a estendere le lezioni della loro lotta alla
comprensione della natura oppressiva e sfruttatrice del sistema capitalistico
nel suo insieme e della necessità della sua sconfitta. I partiti trotskisti
perciò cercano attivamente e sistematicamente non solo di intervenire nei
sindacati operai e in altre lotte e di combattere per la loro direzione, ma
anche di guadagnare i comunisti operai ai partiti trotskisti, attraverso le
lotte, e di sviluppare questi nuovi quadri operai. In questo modo i trotskisti
approfondiscono sia il radicamento del trotskismo nella classe che la
proletarizzazione dei loro partiti.
12 - Unificazione di
tutti gli oppressi e sfruttati sotto direzione proletaria
Il proletariato ed il suo partito devono operare come
«tribuni del popolo», campioni di tutti gli oppressi e sfruttati. Di fatto, la
maggioranza dell’umanità è soggetta a forme di oppressione specifiche, non
riducibili alla pura oppressione di classe. A partire da diversi fondamenti
storici, esse comprendono: l’oppressione delle donne, degli omosessuali di
entrambi i sessi, dei giovani, l’oppressione razziale, quella degli
handicappati, e quella delle minoranze nazionali religiose e di casta.
Il partito rivoluzionario deve promuovere movimenti
di massa degli oppressi e sfruttati su queste tematiche, mobilitando non solo il
proletariato, ma anche i ceti medi oppressi.
Questi movimenti di massa non solo esclusivamente
proletari. Lottano su contraddizioni non risolvibili senza l’abbattimento
dello stato borghese e del capitalismo, e sono quindi continuamente portati a
confliggere con la classe borghese ed il suo stato. I trotskisti devono
intervenire con metodo analogo a quello adottato per l’intervento nelle lotte
del proletariato, basandosi cioè sul Programma
di transizione.
Devono lottare contro le direzioni piccolo-borghesi
(in certi casi anche borghesi) di questi movimenti, per l’egemonia proletaria
sui movimenti di massa non proletari. Quest’impostazione comporta due aspetti
paralleli: da un lato, la lotta in seno al proletariato perché questo si faccia
direttamente carico degli obiettivi dei movimenti di massa non- proletaria, ciò
che presuppone una lotta diretta contro ideologie ed atteggiamenti reazionari
presenti nella stessa classe operaia (per es. razzismo, sessismo, pregiudizi
contro gli omosessuali); d’altro lato, l’attività in seno a questi
movimenti per sconfiggere l’ideologia borghese e riformista, nonché le
posizioni «autonomiste» o «separatiste», e per portare ciascuno di questi
movimenti a comprendere che solo partecipando ad un’alleanza diretta dalla
classe operaia rivoluzionaria contro la borghesia essi hanno reali possibilità
di vincere.
In particolare, laddove i settori della classe
operaia soggetti ad oppressione particolare tendono ad essere particolarmente
combattivi e classisti, l’intervento dei trotskisti nei movimenti di massa e
nelle lotte degli strati specialmente oppressi è parte essenziale del processo
di mobilitazione dell’avanguardia proletaria, conquista dei lavoratori più
avanzati al programma rivoluzionario, costruzione della direzione rivoluzionaria
della classe operaia.
In tutti i movimenti di massa, generalmente poco o
nulla organizzati per la loro instabilità, i trotskisti si battono per la
costruzione di organizzazioni di massa ben strutturate. Dov’esse esistano o
vengano costruite sotto direzione opportunista, i trotskisti devono lavorarvi
come nei sindacati, cioè formando tendenze rivoluzionarie sulla linea generale
del Programma di transizione, con
l’obiettivo di conquistare la direzione di tale organizzazioni. I trotskisti
conseguenti respingono come revisioniste le posizioni secondo cui i movimenti di
massa dovrebbero svilupparsi «autonomamente», e per cui, quindi i trotskisti
dovrebbero soltanto parteciparvi senza lottare per conquistarli ad una
prospettiva proletaria.
13 - Il centralismo
democratico internazionale
Il trotskismo considera come base della struttura
dell’organizzazione politica rivoluzionaria il centralismo democratico. I suoi
principi implicano il diritto al libero dibattito interno e il dovere alla
disciplina con la subordinazione della minoranza alla maggioranza. Il
centralismo democratico comprende il diritto di costituire all’interno
dell’organizzazione rivoluzionaria sia tendenze che frazioni. Il centralismo
democratico deve essere vigente sia a livello nazionale che internazionale, sia
nella Quarta Internazionale rigenerata che nelle diverse fasi di organizzazione
dei trotskisti conseguenti durante la lotta contro il revisionismo.
Il trotskismo conseguente respinge la concezione
secondo cui il centralismo democratico deve vigere compiutamente solo a livello
nazionale, mentre a livello internazionale deve trovare dei limiti nel rispetto
dell’autonomia dei singoli partiti nazionali. Allo stesso modo respinge la
pratica di organizzazioni mondiali le cui diverse frazioni conducono una
politica sostanzialmente indipendente. Rifiuta altresì la pratica di chi in
nome del «centralismo democratico» blocca ogni possibilità reale di lotta di
tendenze o frazioni.
Rigetta la concezione che distingue tra organizzazioni nazionali «maggiori» e quindi incaricate di «dare la linea», e «minori» che a esse devono subordinarsi. Rifiuta infine la concezione che accetta la prospettiva del centralismo democratico solo per l’Internazionale rigenerata del futuro e non per le fasi di organizzazione internazionale transitorie a tale fine.