Le posizioni di Falcemartello (mozione 5) sulla questione centrale nel dibattito del Partito

La pretesa “tendenza marxista” contro Rosa Luxemburg, Lenin e Trotsky

Una risposta alle argomentazioni teoriche di FM sul “Governo Operaio”

 

di Franco Grisolia

 

Lo sviluppo del dibattito preparatorio per il VI Congresso del Partito della Rifondazione Comunista, con la presentazione di 5 mozioni congressuali, ha avuto se non altro il pregio di far sì che ciascuna delle diverse “aree” del partito fosse obbligata a mettere più in chiaro le proprie posizioni, a mostrare il proprio “passaporto politico”. Questo è avvenuto in particolare sulla questione delle questioni che è al centro di questo congresso. Quella del governo. E, alla luce di ciò che è scritto si può vedere che al di là della ampia differenza di posizioni, la linea discriminante fondamentale tra marxismo rivoluzionario e opportunismo di vario tipo vede da un lato la mozione di Progetto Comunista e dall’altro le altre quattro. Ciò vale anche per la più a sinistra di queste, cioè quella presentata dai compagni di Falcemartello, che ha espresso con chiarezza posizioni così opportuniste e contrarie alle basi del leninismo-trotskismo da lasciare un po’ sorpresi persino noi, che pure non abbiamo mai sottovalutato l’enorme distanza tra il trotskismo conseguente e lo pseudomarxismo centrista di FM. Sintomo tutto ciò, ci pare di un evidente spostamento a destra che sta colpendo l’organizzazione nazionale e internazionale di FM.

E’ nella polemica contro le nostre posizioni sul polo autonomo di classe e sulle conseguenti posizioni sul governo che l’opportunismo revisionista dei dirigenti di FM si è manifestato nella maniera più chiara. Il punto di partenza è stato la rivendicazione da parte nostra della tradizionale posizione dell’ala conseguentemente marxista del movimento operaio espressa magnificamente oltre cento anni fa, contro i governisti della sua epoca, da Rosa Luxemburg nella sua frase “Nella società borghese il ruolo spettante alla socialdemocrazia è per sua essenza quello di opposizione; come partito di governo può farsi avanti solamente sulle rovine dello stato borghese”.

I dirigenti di Falcemartello, esprimendo con ciò la loro distanza dalle basi fondamentali del marxismo rivoluzionario, hanno cercato di mettere in questione questa posizione , argomentando assurdamente a partire dalla tattica leninista del governo operaio. Ciò è avvenuto in diverse occasioni e per quanto ci consta in ogni nostra presentazione in cui erano presenti e sono intervenuti compagni di FM, il che segnala che è stato scelto come argomento di “linea” contro il nostro documento. La sintesi più chiara di questa posizione è ormai espressa dall’articolo del compagno Bellotti pubblicato sul n° 180 di FM e intitolato “Sinistra Prc. Le ragioni di una divisione”.(e reperibile anche sul sito di Falcemartello). In tale articolo -che vuole essere una replica alla risposta del compagno Francesco Ricci a un precedente articolo di Bellotti in polemica con noi- con abbondanza di sarcasmo pesante (che è sempre o quasi sempre sintomo di difficoltà di argomentazione critica positiva) il compagno Bellotti cerca di dimostrare l’indimostrabile e cioè che dopo l’esperienza della rivoluzione russa che confermava pienamente nei fatti la posizione di Rosa Luxemburg (che era quella dell’insieme della sinistra rivoluzionaria della seconda internazionale), la Terza Internazionale di Lenin elaborò, stante lo sviluppo di una situazione rivoluzionaria, una posizione diversa in relazione al concetto di “Governo Operaio” elaborato in particolare nel IV congresso dell’Internazionale Comunista (1922). Per cercare di sostenere sulla base dei testi questa assurdità il compagno Bellotti compie una vecchia operazione scorretta. Tronca i testi artificialmente (cioè non per legittime ragioni di spazio e di sintesi), falsificando il loro vero significato. Ci sembra quindi necessario ristabilire la verità, segnalando i punti fondamentali delle tesi dell’Internazionale Comunista sul Governo Operaio che Bellotti omette:

“Il più elementare programma di un governo operaio deve consistere nell’armamento del proletariato, nel disarmo delle organizzazioni borghesi controrivoluzionarie, nell’instaurazione del controllo sulla produzione, nel far cadere sui ricchi il peso determinante delle tasse e nel fiaccare la resistenza della borghesia controrivoluzionaria”.

Il testo continua poi con un paragrafo citato dal compagno Bellotti, ma con un significativo zig-zag tra quello che cita e quello che omette:

“Tale governo operaio è possibile solo se esso sorge dalla lotta delle masse (citato), se si fonda su organismi operai atti alla lotta e creati dai settori più ampi delle masse in lotta (tagliato). Tuttavia persino un governo operaio che sorga attraverso un riallineamento parlamentare, cioè un governo di origini parlamentare, può aprire la strada ad una sollevazione del movimento operaio rivoluzionario (citato anche se in una versione, questa, diversa da tutte le versioni che abbiamo potuto consultare, compresa quella pubblicata dai trotskisti francesi nel 1934, che concludono tutte la frase con la formula “può fornire l’occasione per rianimare il movimento operaio rivoluzionario”) Ma va da sé che la nascita di un vero governo operaio e il mantenimento di un governo che faccia una politica rivoluzionaria condurranno necessariamente alla lotta più accanita e, eventualmente, alla guerra civile contro la borghesia (tagliato).

Quale poi l’atteggiamento dei comunisti? Ecco cosa afferma il testo:

“In alcune circostanze  i comunisti devono dichiararsi disposti a formare un governo con partiti e organizzazioni operaie non comuniste. Ma non possono farlo che di fronte a precise garanzie che questi governi operai condurranno una vera lotta contro la borghesia nel senso sopra indicato”  (….) “Malgrado i grandi vantaggi la parola d’ordine del governo operaio ha anche dei pericoli, come tutte le tattiche di fronte unico: per parare questi pericoli non devono perdere di vista il fatto che se ogni governo borghese è allo stesso tempo capitalistico, non è altrettanto vero che ogni governo operaio debba essere un governo proletario, cioè uno strumento rivoluzionario del proletariato. L’Internazionale Comunista deve prevedere le seguenti possibili varianti: 1) un governo operaio liberale (…); 2) un governo operaio socialdemocratico (…); 3) un governo dei contadini e degli operai; 4) un governo operaio con la partecipazione dei comunisti; 5) un vero governo proletario che nella sua forma più pura non può essere impersonificato che dal partito comunista.

I due primi tipi di governi operaio non sono governi operai rivoluzionari ma governi, camuffati, di coalizione tra la borghesia e i leader operai controrivoluzionari.(…) I comunisti non dovranno partecipare a governi del genere. Al contrario, dovranno smascherare implacabilmente di fronte alle masse il vero carattere di questi falsi “governi operai”. (…)i comunisti dovranno a tutti i costi spiegare alla classe operaia che la sua liberazione non potrà essere assicurata che dalla dittatura del proletariato. Gli altri due tipi di governo operaio ai quali possono partecipare i comunisti non sono ancora la dittatura del proletariato, non costituiscono ancora una necessaria forma di transizione verso la dittatura, ma possono costituire un punto di partenza per la conquista di tale dittatura. La dittatura completa del proletariato non può essere realizzata che da un governo operaio composto da comunisti.”

Alla luce del testo nella sua compiutezza (testo non a caso da noi pubblicato nel numero 8 di Progetto Comunista del settembre 2004) non è possibile -per chiunque non voglia essere politicamente totalmente cieco e sordo- non vedere che non c’è alcuna contraddizione tra la politica dell’Internazionale Comunista e quella prospettata da Rosa Luxemburg. L’appoggio o l’alleanza che l’Internazionale Comunista prospetta è rispetto a un vero governo operaio, cioè uno strumento rivoluzionario del proletariato basato perlomeno su un programma quale quello suindicato, un possibile passo verso la dittatura del proletariato e quindi un sintomo e un attore della distruzione (“le rovine”) dello stato borghese. Che cosa ha a che vedere con un qualsivoglia vero governo operaio il governo Zapatero, che lungi certo dall’instaurare il controllo operaio sulla produzione (per non parlare dell’armamento del proletariato) privatizza a tutto spiano a cominciare dai cantieri navali del Nord della Spagna, con conseguente violenta rivolta operaia contro il governo. E il compagno Bellotti, nel suo articolo, ha il coraggio politico di chiedere, con il solito sarcasmo di scarsa serietà, che cosa avrebbero dovuto dire i marxisti di fronte a questo esempio tra i più degenerati di governo socialdemocratico. Avremmo cercato e cercheremmo di “smascherarlo implacabilmente  di fronte alla masse” come ci indica il testo dell’Internazionale Comunista, cioè esattamente il contrario di quanto ci propone da revisionista conseguente il compagno Bellotti e da quanto stanno facendo nei fatti i partners spagnoli di Falcemartello.

La polemica sul governo operaio con l’indicato stravolgimento delle posizioni leniniste si inserisce come tentativo di argomentazione teorica rispetto alla polemica frontale sulla nostra proposta programmatica di “polo autonomo di classe anticapitalistico”.

Scrive Bellotti: “ Ma un polo anticapitalistico è cosa ben diversa: significa pensare che si può fare sottoscrivere a Mussi o a Epifani un programma anticapitalistico e di classe. Ah, ma questa è una tattica per smascherare questi burocrati di fronte ai lavoratori!, ci spiegheranno allora i nostri compagni di Progetto. Insomma, l’applicazione pratica della vostra tattica è la seguente. Il Prc deve dire “Epifani, Mussi, dovete essere anticapitalisti!” Al loro prevedibile rifiuto (ammesso che rispondano), andremo dagli iscritti dei Ds e della Cgil a dire: “Visto? I vostri dirigenti sono opportunisti e non vogliono una vera alternativa, venite con noi nel “polo autonomo di classe”. Peccato che queste stupidaggini siano state ripetute da oltre un secolo da tutte le sette pseudorivoluzionarie a tutte le latitudini e non abbiano scalfito di un millimetro l’egemonia dei riformisti sul movimento operaio”.

Nuovamente le cose sono presentate a barzelletta (ciò che non è offensivo tanto verso di noi quanto verso i lettori, e quindi in primo luogo i sostenitori, di FM, trattati come incapaci di intendere un confronto teorico serio) e senza dialettizzazione. Tuttavia, sfrondato da ciò, confessiamo la nostra solidarietà con gli accusati “settari” di oltre un secolo di movimento operaio.

Perché chi sono dunque questi nostri progenitori? Sono, oltre Rosa Luxemburg, Lenin, Trotsky i bolscevichi e i trotskisti della IV Internazionale originaria.

Vediamo infatti come Trotsky affronta la questione nel capitolo “Il governo operaio e contadino” del fondamentale “Programma di Transizione” su cui nel 1938 fu fondata la IV Internazionale:

“Tra l’aprile e il settembre del 1917 i bolscevichi esigevano che i socialrivoluzionari e i menscevichi rompessero i loro legami con la borghesia e prendessero direttamente il potere. (…) la parola d’ordine dei bolscevichi, rivolta ai menscevichi e ai socialisti rivoluzionari :Rompete con la borghesia, prendete voi stessi il potere! aveva per le masse un enorme valore educativo. Il rifiuto ostinato dei menscevichi e dei socialisti rivoluzionari di prendere il potere (…) li ha compromessi definitivamente agli occhi del popolo preparando la vittoria dei bolscevichi. (…) L’accusa fondamentale che la IV Internazionale rivolge alle organizzazioni tradizionali del proletariato è di non volersi staccare dal semicadavere della borghesia. In queste condizioni la rivendicazione rivolta sistematicamente alla vecchia direzione: Rompete con la borghesia,prendete il potere! è uno strumento estremamente importante per smascherare il tradimento dei partiti e delle organizzazioni della II e della III Internazionale, come pure dell’Internazionale di Amsterdam (sindacale). (…) Da tutti i partiti e le organizzazioni che si basano sugli operai e i contadini e che parlano in loro nome esigiamo che rompano politicamente con la borghesia e imbocchino la strada della lotta per il potere degli operai e dei contadini. Su questa strada promettiamo loro un completo appoggio contro la reazione capitalista. Allo stesso tempo, sviluppiamo una agitazione instancabile attorno a rivendicazioni transitorie che dovrebbero, secondo noi, costituire il programma del governo operaio e contadino. E’ possibile la costituzione di un tale governo da parte delle organizzazioni operaie tradizionali? L’esperienza precedente ci dimostra (…) che ciò è per lo meno poco verosimile.(…) Ma è inutile perdersi in congetture. L’agitazione attorno alla parola d’ordine del governo operaio e contadino conserva in tutte le situazioni un enorme valore educativo”.

Più chiaro di così. Quelle che Bellotti chiama le “stupidaggini delle sette pseudorivoluzionarie a tutte le latitudini” e che “non avrebbero scalfito di un millimetro l’egemonia dei riformisti” è semplicemente il metodo con cui si è realizzata l’egemonia dei bolscevichi nella rivoluzione russa.

Alla luce di tutto ciò il senso delle vecchie divergenze sulla natura della maggioranza dei DS e , più importante, quella che ha portato Falcemartello a presentare al quinto congresso del partito un emendamento centrale alle nostre tesi, che proponeva di cassare il riferimento alla concezione leninista (in realtà gia di Engels a proposito dei prodromi del futuro laburismo inglese) dei partiti riformisti come partiti “operaio-borghesi”, si chiarisce pienamente. La realtà è che la teoria e il metodo politico di FM sono assolutamente opposti ai “settari di oltre un secolo di storia del movimento operaio”, cioè alla sinistra marxista della II Internazionale con Rosa Luxemburg (e Lenin e Trotsky), ai bolscevichi e all’Internazionale Comunista delle origini con Lenin (e Trotsky), e alla IV Internazionale delle origini con Trotsky.

Sulla questione centrale del governo FM avrebbe salutato e appoggiato (“criticamente” naturalmente) quel governo socialista omogeneo, nato da una rivoluzione in sviluppo, che includeva pariteticamente i due grandi partiti, quello riformista e quello centrista, della classe; cioè quel governo Scheidemann nella Germania del 1918/19, i cui dirigenti socialdemocratici fecero pagare alla “settaria” Luxemburg la sua intransigente opposizione facendole spaccare la testa dai loro scherani reazionari.

Ecco la realtà politica di FM, quello di una setta antileninista e antitrotskista (e quindi antimarxista) che si basa su posizioni centriste sempre più di destra e semiriformiste, e il cui settarismo autocentrato è esattamente la copertura di una natura opportunista.

Se oggi il centro del congresso del PRC è la battaglia contro la scelta di aperta collaborazione di classe della maggioranza bertinottiana, la denuncia dell’opportunismo dei critici di sinistra, riformisti o semiriformisti, tutti in un modo o nell’altro governisti, è parte centrale della battaglia per la costruzione di una alternativa marxista rivoluzionaria, nel PRC e nel movimento operaio in generale.

Naturalmente sappiamo bene che la stragrande maggioranza dei sostenitori/trici di FM agisce in questo partito con la volontà di opporre al riformismo non un opportunismo lontano e opposto al marxismo rivoluzionario, ma una vera alternativa rivoluzionaria. Ma all’evidenza ciò non è possibile a partire dalle posizioni di FM.

E’ tempo, quindi, che chiunque vuole realmente lottare per costruire una alternativa marxista e rivoluzionaria nel PRC rompa con l’opportunismo antileninista e antitrotskista di FM e si unisca alla battaglia di Progetto Comunista in una azione comune ed unitaria, perché basata, al di là di possibili divergenze di analisi e di tattica secondarie, su un preciso, chiaro e coerente programma rivoluzionario.