Marxismo rivoluzionario n. 5 – antonio labriola (1843 - 1904) / archivio

 

LA DOTTRINA DEI FATTORI STORICI E IL MATERIALISMO STORICO

 

 

di Antonio Labriola

 

A una domanda noi non possiamo sottrarci, ed è questa; donde ebbe origine la credenza nei fattori storici? Cotesta espressione ricorre assai di frequente per le menti e per gli scritti di molti eruditi, scienziati e filosofi, e di quegli espositori, i quali, o ragionando o combinando, si dilungano alquanto dalla mera narrazione, e di tale opinione si giovano, come di presupposto per orientarsi su la ingente massa dei fatti umani, che, a prima vista e nella immediata considerazione, appaiono tanto confusi e irriducibili. Cotesta credenza, cotesta opinione corrente è diventata presso gli storiografi ragionatori, o a dirittura razionalisti, una semidottrina, che di recente fu più volte addotta, quale argomento decisivo, contro la teoria unitaria della concezione materialistica. Gli è, anzi, tanto radicata la credenza, ed è tanto diffusa la opinione, che la storia non si possa intenderla, se non come incontro ed incidenza di diversi fattori, che molti di quelli i quali parlano di materialismo sociale, sia in favore o sia contro, credono di cavarsi d'ogni impaccio quando affermano, che tutta questa dottrina qui consista poi in ultimo nell'attribuire la prevalenza o l'azione decisiva al fattore economico.

Certo gli è che importa di rendersi conto del come cotesta credenza, o opinione, o semidottrina abbia avuto origine perché la verace ed effettiva critica consiste principalmente nel riconoscere e nell'intendere i motivi di ciò che dichiariamo errore. Non basta di respingere una opinione, col designarla spicciativamente per erronea. L'errore dottrinale è nato sempre da qualche lato male inteso di una esperienza incompleta, o da qualche imperfezione soggettiva. Non basta respingere l'errore; bisogna vincerlo, e superarlo, spiegando/o.

 

Ogni storico, che cominci a narrare, compie, per cosi dire, un atto di astrazione. Innanzi tutto eseguisce come un taglio in una serie continuativa di avvenimenti; e poi prescinde da molti e svariati presupposti e precedenti, e anzi spezza e scompone una intricata tela. Per cominciare bisogna pure che fissi un punto, una linea, un termine, di sua elezione, e dica p. e.: vogliamo raccontare come ebbe inizio la guerra tra greci e persiani; vediamo come Luigi XVI venne nella risoluzione di convocare gli Stati Generali. Il narratore si trova, insomma, dinanzi ad un complesso di fatti accaduti, e di fatti che stanno per accadere, i quali, nel tutt'insieme, appariscono come una configurazione. In tale suo atteggiamento ha origine il modo d'essere e lo stile di ogni racconto; perché, ad ordirlo, occorre pigliar le mosse da cose già divenute, per poi vedere come continuino nel divenire.

E pure in quel complesso bisogna introdurre un certo sentimento di analisi, risolvendolo in varii gruppi e in varii aspetti di fatti, od in elementi concorrenti, che appariscono poi ad un certo punto come delle categorie per sé stanti. Ecco: qui è lo stato in una certa forma e con certi poteri; e qui son le leggi, che determinano, per comando o per proibizione, certi rapporti; e qui son gli abiti e i costumi, che rivelano tendenze, bisogni, e modi di pensare, di credere, di fantasticare; e nell'insieme si vede una moltitudine d'uomini conviventi e collaboranti, con spartizione di ufficii e di occupazioni; e poi si notano i pensieri, le idee, le inclinazioni, le passioni, i desiderii, le aspirazioni, che da cotesto variopinto modo di coesistenza e dai suoi attriti in determinate maniere si sprigionano e sviluppano. Avviene una mutazione, e questa si rivela in uno dei lati od aspetti del complesso empirico, o in tutti essi in maggiore o in minore spazio di tempo: p. e. lo stato slarga i suoi confini esterni, o altera i suoi limiti interni verso la società, crescendo o diminuendo di poteri e di attribuzioni, o cambiando di forma nell'esercizio di quelli e di queste; ovvero il diritto muta le sue disposizioni, o s'esprime ed afferma in nuovi organi; ovvero, da ultimo, dietro al cambiamento delle abitudini esterne cotidiane, si rivela un cambiamento nei sentimenti, e nei pensieri, e nelle inclinazioni degli uomini variamente distribuiti nelle diverse classi sociali, le quali si rimescolano, si alterano, si spostano, si fondono o rinnovano. Ad intendere tutto ciò, in quanto e per il modo come apparisce alla prima e si disegna alla ordinaria attenzione, bastano le comuni doti della intelligenza normale, di quella, intendo dire, che non è sussidiata ancora, né corretta o completata dalla scienza propriamente detta. Chiudere in precisi confini un insieme di tali mutazioni, ecco l'oggetto vero e proprio della narrazione la quale riesce tanto più perspicua, efficace e plasmata, quanto è più monografica: p. e. Tucidide nella guerra del Peloponneso.

La società già in un certo modo divenuta, la società già arrivata ad un certo grado di sviluppo, la società giù tanto complicata da nascondere il sottostrato economico che il resto sorregge, non si è rivelata ai puri narratori, se non in quegli apici visibili, in quei resultati più appariscenti, in quei sintomi più significativi, che son le forme politiche, le disposizioni di legge e le passioni di parte. Il narratore, oltre che per la mancanza di una dottrina teoretica su le fonti vere del movimento storico, per l'atteggiamento stesso che egli assume di fronte alle cose che coglie nelle apparenze del loro divenire, non può ridurre questo ad unità, se non nell'aspetto della sola intuizione immediata; e, se è artista, cotesta intuizione gli si colorisce nell'animo, e vi si trasmuta in azione drammatica. Il suo ufficio è adempiuto, se egli riesce ad inquadrare un certo numero di fatti e di accadimenti entro termini e confini, su i quali lo sguardo possa muoversi come su chiara prospettiva; alla stessa guisa, che il geografo puramente descrittivo ha fatta per intero la parte sua, se racchiude in vivo e perspicuo disegno la concorrenza delle cause fisiche che determinano l'intuitivo aspetto, poniamo del golfo di Napoli, senza punto risalire alla genesi di esso.

In cotesto bisogno della configurazione narrativa è la occasione prima, intuitiva, palpabile, e direi quasi estetica ed artistica, di tutte quelle astrazioni e generalizzazioni, che da ultimo mettono capo nella semidottrina dei così detti fattori. […]

In ciò consiste la origine prima di quelle astrazioni, per cui i lati varii di un determinato complesso sociale vengono, poco per volta, distratti dalla loro qualità di semplici aspetti di un insieme, e via via generalizzati menano poi alla dottrina dei presunti fattori.

Questi, in altri termini, intendo dire dei fattori, si originano nella mente, per via della astrazione e della generalizzazione degli aspetti immediati del movimento apparente, e stanno alla pari con tutti gli altri concetti empirici, i quali, sorti che siano in ogni altro campo del sapere, vi si mantengono, finché, o non vengano ridotti ed eliminati per via di nuova esperienza, o non si trovino riassorbiti da una concezione più generale, che sia genetica, evolutiva, dialettica.

Non era forse necessario, che nell'analisi empirica e nello studio immediato delle cause e degli effetti di certi determinati fenomeni, p. e. dei calorifici, la mente si fermasse dapprima nella presunzione e nella persuasione di poterli e di doverli attribuire ad un subietto, che, se non parve mai a nessun fisico un vero ente sostanziale, parve di certo una forza determinata e specifica, che sarebbe il calore. Ed ecco che ad un certo punto, per nuova combinazione di esperienza, cotesto escogitato calore si risolve, a date condizioni, in una certa quantità di moto. E anzi, ora, il pensiero è su la via di risolvere tanti degli escogitati fattori fisici nel flusso di una universale Energhetica, nella quale la ipotesi degli atomi, per quanto essa è necessaria e utilizzabile, perde ogni residuo di sopravvissuta metafisica.

Non era forse inevitabile, come primo stadio della conoscenza rispetto al problema della vita, l'indugiarsi a lungo nello studio distinto degli organi, e il ridur questi in sistemi? Senza cotesta anatomia, che pare per fin troppo materiale e grossolana, nessun progresso di studi sarebbe stato possibile; e intanto, su la ignorata genesi e coordinazione di tale molteplicità analitica, s'aggiravano incerti e vaghi i concetti generici di vita, di anima e simili. In coteste creazioni mentali si cercò per ripiego di escogitazione, e per gran tempo, quella unità biologica, che ha da ultimo trovato il suo riscontro intuitivo nell'inizio certo della cellula, e nel suo processo di immanente moltiplicazione.

Più difficile fu certamente il cammino, che il pensiero dovette percorrere per ridurre ad evidenza di genesi i dati tutti della vita psichica, dai semplicissimi delle elementari sensazioni fino ai prodotti di molto derivati e complessi. Non solo per ragioni di difficoltà teoretiche, ma per altri pregiudizii popolari, l'unità e continuità incessante dei fenomeni psichici apparve fino ad Herbart come spartita e spezzata in tanti fattori, ossia nelle così dette facoltà dell’anima.

Per le medesime difficoltà è passata la interpretazione dei processi storico-sociali; ed anche essa s'è dovuta dapprima arrestare nella veduta provvisoria dei fattori. E, perciò, riesce ora a noi cosa agevole il rintracciare la occasione prima di tale opinione nel bisogno che hanno gli storici narratori di trovare, nell'atto che raccontano con più o meno di capacità artistica, e con vario intendimento di ammaestrare, dei punti di orientazione immediata, quali può offrirli lo studio del moto apparente delle cose umane.

 

Ma in quel movimento apparente son pure delle indicazioni, che rimandano ad altro. Quei fattori concorrenti, che l'astrazione escogita e poi si permette di isolare, non furon mai visti ad operare ciascuno per sé; perché, anzi, operano per un modo di efficacia, che dà luogo al concetto dell'azione reciproca. Inoltre, quei fattori son pur essi nati una volta, e son poi giunti a quella fisionomia, che rivelano nella particolare narrazione. Di quel tale stato si sapeva pure che fosse nato una volta. Di ogni diritto, o si serbava memoria, o si congetturava, che fosse entrato in vigore in tali o tali altre circostanze. Di tanti costumi si serbava il ricordo, che fossero stati una volta introdotti; e il più semplice confronto dei fatti accertati, per rispetto a diversi tempi e luoghi, facea vedere, come la società nel suo insieme, in quanto somma di diverse classi, avesse assunto, ed assumesse di continuo forme diverse.

Tanto l'azione reciproca dei diversi fattori, senza della quale nemmeno il più semplice racconto sarebbe mai possibile, quanto le notizie più o meno accertate circa le origini e le variazioni dei fattori stessi, sollecitavano alla ricerca ed al pensiero, assai più che non facesse la narrazione configurativa di quei grandi storici, che sono veri e propri artisti. E difatti, i problemi che resultano spontanei dai dati della storia, quando questi sian combinati con altri elementi teoretici, dettero luogo alle diverse discipline così dette pratiche, che, con varia rapidità di moto e con vario successo, si svilupparono dai tempi antichi a venire ai moderni, dall'Etica alla Filosofia del Diritto, dalla Politica alla Sociologia, dalla Giurisprudenza all'Economia.

Ed ecco che col nascere e col formarsi di tante discipline, per la stessa inevitabile division del lavoro, si moltiplicarono fuor di misura i punti di vista. Certo è, che alla prima ed immediata analisi dei multiformi aspetti empirici del complesso sociale, occorreva un lungo lavoro di parziale astrazione; il che reca sempre con sé l'inevitabile conseguenza del vedere unilaterale. Ciò si è verificato in modo più acuto e più appariscente, che non in altro campo, in quello della Giurisprudenza, e nelle sue varie generalizzazioni fino alla Filosofia del Diritto. Per via di cotali astrazioni, che sono inevitabili nell'analisi parziale ed empirica, e per effetto della divisione del lavoro, i diversi lati e le diverse manifestazioni del complesso sociale furono, di quando in quando, fissati ed immobilizzati in concetti generali ed in categorie. Le opere, gli effetti, le emanazioni, gli efflussi dell'attività umana - diritto, forme economiche, principii di condotta e così via - furono come tradotti e convertiti in leggi, in imperativi e in principii che stessero al di sopra dell'uomo stesso. E di quando in quando s'è poi dovuto di nuovo scovrire questa verità semplice; che il solo fatto permanente e sicuro, ossia il solo dato, da cui muova o a cui si riferisca ogni particolare disciplina pratica, è questo: gli uomini congregati in una determinata forma sociale, per via di determinati vincoli. Le varie discipline analitiche, che illustrano i fatti che si svolgono nella storia, han finito per occasionare da ultimo il bisogno di una comune e generale scienza sociale, che renda possibile la unificazione dei processi storici. E di tale unificazione la dottrina materialistica segna appunto l'ultimo termine, e anzi l'apice.

 

Ma non fu, come non sarà mai tempo perso quello che sia speso nell'analisi preliminare e laterale dei fatti complessi. Dobbiamo alla metodica division del lavoro la erudizione precisa, ossia la massa delle conoscenze dichiarate, cribrate, sistemate, senza delle quali ogni storia sociale vagherebbe sempre nel puramente astratto, nel formale e nel terminologico. Lo studio a parte dei presunti fattori storico-sociali ha giovato, come giova ogni altro studio empirico che si attenga al moto apparente delle cose, a raffinare gl'istrumenti della osservazione, e a dar modo di ritrovare nei fatti stessi, che furono artificiosamente distratti dall'insieme, gli addentellati che al complesso sociale li legano. Le diverse discipline, che son tenute isolate ed indipendenti per via del presupposto dei fattori concorrenti nella formazione storica, per il grado di sviluppo che han raggiunto, per il materiale che han raccolto, e pei metodi che han prodotti, sono ora per noi tutte indispensabili, quando si voglia ricostruire qualunque parte dei tempi passati. Che ne sarebbe della nostra scienza storica senza la unilateralità della Filologia, che è il sussidio istrumentale d'ogni ricerca; e dove si sarebbe mai trovato il bandolo di una storia delle istituzioni giuridiche, che poi a tante altre cose e combinazioni da se stessa rimanda, senza l'ostinata fede dei romanisti nella eccellenza universale del Diritto Romano, la quale ha generato, con la Giurisprudenza generalizzata e con la Filosofia del Diritto, tanti dei problemi in cui germoglia da ultimo la Sociologia?

 

Così che, al postutto, i fattori storici, che ricorrono per le menti e per gli scritti di tanti, indicano qualcosa che è molto meno della verità, ma che è molto di più del semplice errore, nel senso grossolano di abbaglio, di illusione e di inganno. Sono il prodotto necessario di una conoscenza, che è in via di sviluppo e di formazione. Nascono dal bisogno di orientarsi sopra lo spettacolo confuso, che le cose umane presentano a chi voglia narrarle; e servono poi, dirò così, di titolo, di categoria, di indice a quella inevitabile division del lavoro, per entro alla quale fu finora teoreticamente elaborata la materia storico-sociale. In questo campo di conoscenza, del pari che in quello delle scienze naturali, la unità di principio reale, e la unità di trattazione formale, non s'incontran mai di primo acchito, anzi si trovano solo a capo di lungo ed intricato cammino; cosicché, anche per cotesto rispetto, ci pare calzante l'analogia stabilita da Engels tra il ritrovamento del materialismo storico e quello della conservazione dell'energia.

 

La provvisoria orientazione, secondo l'ovvio schema di ciò che dicono fattori, può, in date circostanze, occorrere anche a noi, che professiamo un principio affatto unitario della interpretazione storica. Intendo dire, se vogliamo non semplicemente teorizzare, ma se vogliamo, con propria nostra ricerca, illustrare un determinato periodo di storia. Come in cotesto caso c'incombe l'obbligo della minuta e diretta ricerca, cosi ci è giuoco forza di attenerci dapprima ai gruppi difatti che paiono, o prominenti, o indipendenti, o staccati, negli aspetti della immediata esperienza. Perché non è veramente il caso di credere, che il principio unitario di massima evidenza e trasparenza, cui siam giunti nella concezione generale della storia, possa, a guisa di talismano, valer di continuo, e a prima vista, come di mezzo infallibile per risolvere in elementi semplici l'immane apparato e il complicato ingranaggio della società. La sottostante struttura economica, che determina tutto il resto, non è un semplice meccanismo, dal quale saltino fuori, a guisa d'immediati effetti automatici e macchinali, istituzioni, e leggi, e costumi, e pensieri, e sentimenti, e ideologie. Da quel sottostrato a tutto il resto, il processo di derivazione e di mediazione è assai complicato, spesso sottile e tortuoso, non sempre decifrabile.

L'organamento sociale è, come già sappiamo, di continuo instabile, sebbene ciò non appaia evidente a tutti, se non quando la instabilità entra in quel periodo acuto che chiamiamo rivoluzione. Cotesta instabilità, con le continue lotte nel seno della stessa società organata, esclude sì la possibilità che gli uomini entrino in una condizione di continuata acquiescenza od accomodazione, per cui potrebbe accadere che tornassero nel vivere animale. Nell'antitesi è la causa precipua del progresso (Marx). Ma è altrettanto vero, però, che in cotesto organamento instabile, nel quale è data la forma inevitabile del dominio e della soggezione, la intelligenza si è sempre sviluppata, non solo disugualmente, ma assai imperfettamente, incongruamente e parzialmente. Ci fu ed è ancora nella società come una gerarchia dell'intelletto, e poi dei sentimenti e delle ideazioni. Supporre che gli uomini, sempre e in tutti i casi, abbiano avuto una coscienza approssimativamente chiara della propria situazione, e di quello che convenisse loro più ragionevolmente di fare gli è supporre l'inverosimile, anzi l'insussistente.

Forme di diritto, e azioni politiche e tentativi di ordinamento sociale, furono, come sono tuttora, a volte cose indovinate, a volte cose sbagliate, cioè sproporzionate e incongrue al caso. La storia è piena di errori; il che vuoi dire, che se tutto vi fu necessario, data la intelligenza relativa di quelli che avessero a risolvere una difficoltà, o a trovare una soluzione a un dato problema e così via, se tutto v'ebbe la sua ragion sufficiente, non tutto vi fu ragionevole, secondo il senso che dànno a questa parola gli ottimisti che raziocinano. A lungo andare le cause determinanti alle mutazioni, e ossia le cambiate condizioni economiche, finirono e finiscono per far trovare, fosse pur per vie assai tortuose, le occorrenti forme di diritto, gli ordini politici adattati, e le maniere più o meno convenienti della accomodazione sociale. Ma non è però da credere, che la istintiva sapienza dell'animale ragionevole si manifestasse, o si manifesti, sic et simpliciter, nella piena e chiara intelligenza di ogni situazione; e che a noi non tocchi ora se non di rifare semplicisticamente il cammino deduttivo dalla situazione economica a tutto il resto. L'ignoranza - la quale alla sua volta può anch'essa essere spiegata - è cagione non piccola del modo come la storia è proceduta; e all'ignoranza bisogna aggiungere la bestialità non mai interamente vinta, e tutte le passioni e le nequizie, e le svariate forme di corruzione, che furono e sono il portato necessario di una società così organata che il dominio dell'uomo su l'uomo vi è inevitabile, e da tale dominio la bugia, l'ipocrisia, la prepotenza e la viltà furono e sono inseparabili. Noi possiamo, senza essere utopisti, ma solo in quanto siamo comunisti critici, prevedere, come di fatti prevediamo, l'avvento di una società, che svolgendosi dalla presente, e anzi dai suoi contrasti, per le leggi immanenti del divenire storico, metta capo in una associazione senza antitesi di classe: il che porta seco, che la regolata produzione eliminerebbe l'aleatorio dalla vita, che nella storia si rivela finora come multiforme intreccio di accidenti e d'incidenze. Ma ciò è l'avvenire, e non è, né il presente, né il passato. Se noi invece ci proponiamo di penetrare nelle vicende storiche svoltesi fino ad ora, assumendo, come assumiamo, a filo conduttore il variare delle forme della sottostante struttura economica, fino al dato più semplice del variare degl'istrumenti, noi dobbiamo aver piena coscienza della difficoltà del problema che ci proponiamo; perché qui non si tratta già di aprir gli occhi e di vedere, ma di uno sforzo massimo del pensiero, che è diretto a vincere il multiforme spettacolo della esperienza immediata, per ridurne gli elementi in una serie genetica. E per ciò, dicevo, che nella ricerca particolare tocca anche a noi di pigliar le mosse da quei gruppi di fatti apparentemente isolati, e da quel variopinto intreccio, dallo studio empirico, insomma, dal quale è nata la credenza nei fattori, che poi si è svolta in una semidottrina.

Né vale di contrapporre a queste difficoltà di fatto la presunzione alquanto metaforica, spesso equivoca, e al postutto di un valore puramente analogico, del così detto organismo sociale. Anche per cotesto supposito, diventato poi in così breve tempo una mera e volgare fraseologia, bisognava pure che il pensiero passasse. Perché esso adombra la comprensione del movimento storico, come nascente dalle leggi immanenti alla società stessa, ed esclude con ciò l'arbitrario, il trascendente e l'irrazionale. Ma più in là di così la metafora non regge; e la ricerca specificata, critica e circostanziata dei fatti storici è la sola fonte di quel sapere concreto e positivo, che occorre allo sviluppo completo del materialismo economico.

[Da Del materialismo storico, dilucidazione preliminare, in A. Labriola, La concezione materialistica della storia, a cura di E. Garin, Laterza, Bari 1971, pp. 87-96]