Marxismo rivoluzionario n. 5 – editoriale / i risultati delle elezioni europee e l’alternativa alla nuova costituzione dell’unione
UNA NUOVA TAPPA
DELL’IMPERIALISMO EUROPEO
di Franco Grisolia
I risultati delle elezioni
europee di giugno e il progetto di nuova costituzione dell’Unione indicano che
gli elementi di crisi politica nel Vecchio continente sono lungi dall’essersi
sopiti.
I dati più evidenti del
voto sono stati l’astensione di massa e la “punizione” di quasi tutti
governi in carica, con una perdita di voti che colpisce in particolare, dove
esistono governi di coalizione tra diverse forze politiche, quella che incarna
più compiutamente il governo e la sua politica (così tracollano l’Spd in
Germania e Forza Italia di Berlusconi, anche se i loro partners – i
verdi in Germania, gli altri partiti della destra in Italia – mantengono le
loro posizioni o addirittura avanzano).
Le eccezioni all’ultima
regola sono state la Grecia e la Spagna, reduci da un cambio di governo recente;
per quanto riguarda il secondo paese, determinante è stato poi il prestigio
guadagnato dal governo Zapatero con il mantenimento della promessa elettorale di
ritiro delle truppe dall’Iraq.
I governi pagano
l’insoddisfazione di massa per le loro politiche sociali di attacco alle
conquiste dei lavoratori e il sostegno alla guerra, senza che la
differenziazione su quest’ultima questione sia elemento sufficiente per farsi
“assolvere” sul primo terreno, come dimostrano i risultati dell’Spd
tedesco e della coalizione Chiraquiana in Francia.
Il carattere
contraddittorio del voto di sfiducia ai governi in carica.
Il carattere di questo voto
di sfiducia resta tuttavia contraddittorio. Lo scontento favorisce le forze di
opposizione, indipendentemente dalla loro collocazione, sia a sinistra (Partito
socialista in Francia, Sinn Fein in Irlanda, Partito comunista in Repubblica
Ceca) che a destra (Cdu in Germania, Partito per l’indipendenza in Gran
Bretagna, varie formazioni di destra in Polonia, ecc). Insieme allo sviluppo
dell’astensionismo, che è una risposta di passività, tutto ciò sottolinea i
limiti di coscienza nelle masse e l’incapacità della maggioranza del
proletariato di trovare spontaneamente la via dell’indipendenza di classe. Lo
sviluppo di lotte pur importanti sul terreno sociale e, ancora di più su quello
politico più generale – in particolare le mobilitazioni contro la guerra –
non si traduce, di per sé, in avanzamento della coscienza di classe, se non per
un settore d’avanguardia. Solo una costante battaglia politica delle forze
rivoluzionarie per la conquista dell’egemonia in tutte le più significative
mobilitazioni della lotta di classe e dello scontro politico, con il metodo
della lotta per gli obbiettivi transitori (cioè di quegli obbiettivi che
partano dagli attuali bisogni e dall’attuale coscienza delle masse e li
colleghino alla prospettiva del socialismo e della presa di potere da parte del
proletariato) può permettere di far avanzare la coscienza anticapitalistica di
massa.
Le forze della sinistra
europea
Da questo punto di vista può
essere considerato il ruolo delle forze della sinistra (cioè quelle che si
pongono a sinistra delle formazioni dell’Internazionale socialista). Tutte
esse hanno avuto un ruolo, nello scontro di classe e nelle mobilitazioni di
massa, che è stato esattamente l’opposto di quello che abbiamo indicato. In
forme e modalità diverse esse o si sono semplicemente adattate ai livelli di
coscienza con un approccio del tutto minimalistico o, peggio, hanno cercato di
utilizzare la forza delle lotte e dei movimenti per farne una leva di
ricomposizione di alleanza con la socialdemocrazia e i settori “liberali”
della borghesia.
Questo è il caso in primo
luogo di quella che oggi è la principale forza della sinistra in Europa, cioè
il neonato Partito della sinistra europea e in particolare del suo partito
leader, il Partito della rifondazione comunista (Prc) in Italia – non è certo
un caso che Bertinotti sia anche Presidente unico del partito europeo – che si
sta preparando, come i nostri lettori ben sanno, ad una alternanza di governo in
alleanza con i rappresentanti diretti del grande padronato.
I risultati elettorali delle
forze del Partito della sinistra europea riflettono le situazioni nazionali,
anche se in generale appaiono moderatamente positivi (dalla tenuta del Pcf in
Francia, al modesto incremento del Prc in Italia e della Pds in Germania, al
successo del Pc ceco). In realtà, in generale, non riescono ad intercettare
massicciamente i livelli di insoddisfazione popolare, oggettivamente per i loro
ricordati caratteri contraddittori, soggettivamente perché, come detto, non si
prospettano come terzo polo di classe rispetto allo scontro tra “reazionari”
e “progressisti” nell’ambito delle forze borghesi.
A sinistra del Pdse e delle
formazioni più tradizionalmente staliniste – come il Pc greco – i risultati
delle forze della sinistra “alternativa” hanno valenza analoga, stretti
anch’essi tra limiti oggettivi e carattere soggettivamente riformista della
loro proposta. Così esse realizzano risultati positivi nella situazione
portoghese (Blocco di sinistra) e olandese (Partito socialista di sinistra), ma
insoddisfacenti in Inghilterra (Respect) e del tutto negativi in Francia.
Il mini fronte popolare
del Swp Britannico
Queste due ultimi esempi
hanno una valenza particolare per il ruolo di forze che si richiamano al
marxismo rivoluzionario. In Inghilterra il motore di Respect è stato il Partito
socialista dei lavoratori (Swp). Esso ha liquidato ogni prospettiva di una lista
classista scegliendo di realizzare un mini fronte popolare con il demagogo ex
laburista, feroce avversario del diritto all’aborto, Gallowey e con la
Associazione dei mussulmani britannici (Bma) rappresentanza borghese reazionaria
dei mussulmani (i risultati più positivi della lista riguardano proprio le
situazioni dove la Bma è più forte, così la giusta lotta per raggruppare
l’oppressa comunità mussulmana si è trasformata in adattamento alle sue
presenti direzioni borghesi). Anche questa esperienza conferma dunque il ruolo
negativo storicamente svolto da questa organizzazione (nata nel 1950 dalla
rottura con la sezione britannica della Quarta Internazionale di una frazione
che aveva sviluppato posizioni di tipo “capitaliste di stato” nei confronti
dell’Urss e degli altri regimi imperialisti, considerando in quel momento la
guerra di Corea come espressione di uno “scontro interimperialistico” e
rifiutando così di difendere la Corea e la rivoluzione cinese
dall’imperialismo). Il Swp continua a combinare il peggior opportunismo con
uno spirito di setta. Infatti unisce l’adattamento al movimento antiglobal nei
suoi limiti politici e teorici, il minimalismo politico tipico del centrismo, le
alleanze senza principi, con la sostanziale convinzione di essere già il
partito rivoluzionario, che deve solo ingrandirsi. Per fare questo ogni manovra,
anche senza principio, è giusta, così come la costruzione, a volte positiva,
di fronti unici su questioni parziali, che poi è pronto a liquidare una volta
serviti ai suoi scopi di allargamento o se teme che il suo controllo sia messo
in questione da altre forze politiche (quindi con un’ottica non di egemonia
politica, ma di controllo “amministrativo”). Così ha fatto rispetto
all’Alleanza Socialista, una struttura di fronte unico politico-elettorale,
certo con un programma molto minimale, ma espressione malgrado tutto classista,
a vantaggio appunto del mini fronte popolare (sia pure di “sinistra”)
Respect, il che ha certamente rappresentato l’espressione di una deriva a
destra rispetto al passato del Swp stesso.
La sconfitta delle
organizzazioni trotskiste francesi
Una valenza particolare ha
il risultato della liste di Lutte Ouvriere-Lega comunista rivoluzionaria in
Francia. Si trattava dell’unica lista di una certa consistenza precedente che
si presentava e veniva presentata con l’etichetta di “trotskista” e
dichiarava di opporsi alla politica di alleanza col “centro-sinistra” e con
la “sinistra plurale”. Il risultato è stato completamente negativo. Lo-Lcr
hanno preso in tutto il 2,6% dei voti (a cui per completare il quadro del
sostegno al “trotskismo” francese va aggiunto lo 0,7 % delle liste del
Partito dei lavoratori, Pt, lambertista). Si tratta della metà dei voti in
percentuale delle precedenti elezioni europee, che avevano permesso alle due
organizzazioni di eleggere cinque parlamentari e del 40% in meno delle regionali
dello scorso mese di marzo. Soprattutto esso appare lontano dai risultati dei
due candidati alle presidenziali del 2002, Laguiller e Besancenot, che avevano
ottenuto congiuntamente più del 10% e soprattutto dai primi (certamente
generici) sondaggi dello scorso autunno che ipotizzavano un bacino di sostegno
potenziale addirittura superiore al 20% dell’intero corpo elettorale del paese
(i voti invece sono corrispondenti al grave insuccesso delle elezioni
parlamentari nazionali del 2002, dopo il successo di Chirac).
Le cause della sconfitta si
trovano nella politica di fondo delle due organizzazioni e in particolare in
quella della maggiore (dal punto di vista elettorale) e più di sinistra, Lo.
Questa organizzazione si è costruita elettoralmente dalla metà degli anni
settanta intorno alla carismatica figura di Arlette Laguiller – in realtà non
una dirigente principale dell’organizzazione, in particolare all’epoca, ma
fedelissima del vero leader unico e incontestabile di Lo, Barcia, detto Hardy
– con un approccio che mischiava un minimalismo operaista con un vago richiamo
a una lontana prospettiva di una società comunista. In questo modo riusciva a
mordere sull’elettorato non militante di un Pcf in progressiva crisi. Il salto
di qualità possibile avvenne nel 1995, quando, sulla base di una campagna più
a sinistra delle precedenti, la Laguiller superò il 5% dei voti, raddoppiando
il suo risultato precedente. Le condizioni erano riunite per un raggruppamento
rivoluzionario con la costituzione di quel “partito in rappresentanza degli
interessi politici del proletariato” che Lo e Laguiller avevano ipotizzato
nella campagna elettorale. Ma per fare ciò Lo avrebbe superare i caratteri di
setta autocentrata che costituiscono una delle sue caratteristiche fondanti. Non
se ne fece niente e Lo giustificò questa scelta con l’argomento assurdo,
ridicolo, rinunciatario e liquidazionista che per fondare un partito sarebbe
stato necessario ottenere almeno il 10% dei voti espressi, se non dell’intero
elettorato. In questo modo liquidò una occasione storica. Se avesse agito
diversamente avrebbe potuto costituire un punto di riferimento per un’ampia
parte delle masse proletarie, portare un colpo mortale al Pcf, segnandone il
definitivo crollo e conquistando la parte migliore dei suoi militanti;
ugualmente rispetto a una Lcr allora divisa e in piena crisi. Lo avrebbe potuto
cioè consolidare intorno ad un partito rivoluzionario un sostegno sia
elettorale che militante meno soggetto a variazioni possibili e in grado di
permettere di giocare un ruolo significativo nello scontro politico tra le
classi in Francia. Come diceva Trotsky “più che un errore un crimine”.
Quanto alla Lcr,
l’opportunismo e la confusione del suo progetto le ha reso impossibile
consolidare il risultato delle presidenziali del 2002, riperdendo sostegno verso
il voto “utile” per il partito socialista e restituendo al Pcf i voti che
erano passati a Besancenot a causa dell’impresentabilità del vecchio
segretario e candidato presidenziale Robert Hue. La sconfitta elettorale ha
aperto una crisi politica nella Lcr. La contraddizione tra un programma concreto
e una pulsione semi riformista da un lato e l’alleanza con una forza come Lo,
le cui caratteristiche negative abbiamo indicato qui sopra, ma che è certamente
ostile ad ogni compromesso con la borghesia e il riformismo, e le cui
caratteristiche di setta la fanno apparire più “rivoluzionaria” di quanto
sia, ha dominato da molti anni la politica della Lcr. La sua scelta di alleanza
è stata determinata da motivazioni opportuniste ed elettoraliste. Tra la fine
degli anni ’80 e i primi anni ’90 la Lcr si era posta sul terreno della
prospettiva piccolo-borghese della costruzione di un partito rosso-verde. Alle
elezioni presidenziali del 1995 la maggioranza della Lcr aveva appoggiato,
contro Arlette Laguiller, la candidata dei verdi, la futura ministra Voynet.
Continuare su quella strada dopo il successo di Lo avrebbe significato portare a
termine la distruzione della Lcr, dalla quale, del resto, l’organizzazione
pablista fu salvata dalla follia settario-opportunista di Lo. Il risultato
elettorale di quest’ultima apriva invece la via a ipotesi di presenza
istituzionale, sia a livello regionale che Europeo (tenendo conto dello
sbarramento del 5% – in alcuni casi 10% – previsto dalle leggi elettorali
francesi). Pertanto si costituì all’interno della Lega una nuova maggioranza
di centro-sinistra, centrata intorno a François Ollivier (Sabado) e Alain
Krivine del centro del partito più la vecchia opposizione di sinistra (che nel
’95 aveva fatto pubblico appello al voto per la Laguiller e per la
costituzione del nuovo partito) . Ad essa si aggiunse successivamente una
corrente esclusa da Lo (Voix des Travailleurs, oggi Democratie et Revolution).
In alleanza con Lo la Lcr riuscì quindi ad avere una presenza istituzionale e
un relativo successo elettorale, riuscendo a mettere in minoranza la destra
interna, contraria all’alleanza con Lo, pur forte, all’ultimo congresso
dell’organizzazione, di circa il 30% dei voti. Il disastro alle elezioni
europee e quello precedente alle regionali, privando di rappresentanza
istituzionale l’organizzazione pablista, ha portato ad un rafforzamento delle
posizioni di destra, con spostamento verso di esse di importanti leader del
centro, come Daniel Bensaid. Contro l’opinione di Ollivier la destra e Bensaid
sviluppano l’idea di una “gestione comune” (cioè di governo) con la
“sinistra plurale” . Come la corrente di “Erre” in Italia pongono alcune
richieste “riformiste radicali” per tale alleanza. Riforme utopistiche anche
in Francia, benchè a differenza che in Italia, la grande borghesia non abbia i
suoi rappresentanti diretti nell’opposizione (l’alleato di Prodi a livello
europeo, Bayrou, e il suo partito stanno, logicamente, nella maggioranza di
centro destra). Ma nella sostanza tale impostazione è il primo passo verso
quella che persino un dirigente molto lontano dal trotskismo conseguente, ma
certamente non riformista come Ollivier ha definito la prospettiva della
partecipazione ad un governo di collaborazione di classe.
L’insuccesso della lista
Lo-Lcr sottolinea il paradosso francese. Cioè il fatto che proprio dove il
sostegno alle forze che si richiamano al trotskismo è il più ampio, almeno nei
paesi imperialisti, le prospettive di costruzione del partito rivoluzionario
sono bloccate dalla politica delle tre organizzazioni revisioniste lì presenti
(Lo, Lcr e Pt). La necessità della dislocazione di queste organizzazioni e
della ricostruzione di una presenza trotskista su nuove basi nasce quindi non da
motivi “ideologici” ma dalle necessità proprie della lotta di classe.
Crisi del capitale e
contraddizioni all’interno degli imperialismi europei
L’insieme dei risultati
delle elezioni europee e della situazione oggettiva che li determina indica
nuovamente con forza come la prospettiva di uno sviluppo positivo per il
proletariato sia indissolubilmente legata a quella della rifondazione
dell’internazionale rivoluzionaria, cioè della IV Internazionale e delle sue
sezioni.
Questa necessità è
sottolineata dalle prospettive generali del quadro continentale. Negli ultimi
decenni la crisi del capitale lo ha spinto, anche nel “vecchio continente”,
ad un costante attacco al salario, diretto, indiretto (“stato sociale”) e
differito (pensione), e alle altre conquiste del proletariato e delle masse
popolari. Questa offensiva è stata portata avanti da tutti i governi, di
qualunque colore, che si sono succeduti nei diversi paesi europei, che fossero
di destra, di centro-sinistra o di “sinistra plurale”. Nonostante i successi
ottenuti, malgrado la resistenza della classe operaia, questa offensiva è lungi
dall’essersi risolta. Con tutte le sue contraddizioni la crisi capitalistica
persiste, e con essa la necessità del capitale di difendere e recuperare i
tassi di profitto. Il futuro vedrà nuovi pesantissimi attacchi.
Ciò che è manifesto
considerando anche la difficile nuova strutturazione “costituzionale” della
Unione europea. Il testo di costituzione varato il 18 giugno scorso esprime su
un terreno formale le contraddizioni generali della Ue. In questa si sviluppa
sempre più pesantemente, infatti, il contrasto tra una linea tesa a costruire
progressivamente l’Europa come struttura di alleanza imperialista coesa e
unificata, progressivamente in contrapposizione all’imperialismo Usa
(posizione dell’asse franco-tedesco e del presidente uscente della commissione
Ue Romano Prodi) e quella di chi mira a farne un partner fedele e in definitiva
subordinato dell’imperialismo dominante (Gran Bretagna, Berlusconi e diversi
paesi di nuova adesione dell’Est, come la Polonia). Gli avvenimenti
postbellici in Irak hanno certamente determinato un rafforzamento relativo
dell’asse franco-tedesco, che può farsi forte della crisi dell’imperialismo
statunitense. Tuttavia nulla è determinato e questa contraddizione resta come
fattore potenzialmente esplosivo dell’attuale Ue; né alcuno dei marchingegni
per il voto qualificato adottati nel testo costituzionale potrà risolverla.
Ma il punto su cui invece
c’è l’unanimità tra i governi e quello di avere regole che siano
funzionali al rinnovo degli attacchi alla classe operaia e alle masse popolari.
Le norme costituzionali sono così chiaramente improntate all’ottica
“liberista” e all’attacco alle conquiste sociali che persino all’interno
di una forza riformista social liberale come il Partito Socialista Francese si
sono levate voci favorevoli (certo in modo molto strumentale rispetto alla
guerra di potere interna al partito) ad un voto contrario in caso di referendum
in Francia, a causa della mancanza delle cosiddette “clausole sociali” (cioè
della dichiarazione, almeno formale, della difesa delle conquiste sociali
minime).
Miseria
dell’alternativa “sociale” all’Europa del capitale
Gli oppositori “sociali”
dell’attuale costituzione europea dalla sinistra del Ps francese al Prc con i
suoi partners fino ai neoriformisti di sinistra del “Segretariato Unificato”
sono lungi dal proporre una alternativa di classe, fosse pure confusa e
limitata.
Ecco le loro proposte
alternative su alcuni punti chiave, come riportate da Liberazione del 31
marzo scorso:
“ART III-14-
Ci diamo dieci anni di tempo per raggiungere i seguenti obbiettivi.
-
lavoro per tutti: un tasso di
disoccupazione al di sotto del 5%;
-
una società solidale: un tasso
di povertà al di sotto del 5%;
-
un tetto per ognuno: una
percentuale di persone prive di alloggio adeguato inferiore al 3%;
-
solidarietà con il Sud:
contributo pubblico per lo sviluppo superiore all’1% del Pil.
Per gli stati che nel
2015 non rispetteranno questi parametri sociali devono essere previste sanzioni
analoghe a quelle inflitte ai paesi che non rispettino i parametri di Maastricht.”
C’è da rimanere a bocca
aperta. Dunque se nel 2015 l’Italia avesse tre milioni di persone che
sopravvivano in povertà, di cui più della metà senza casa, con più di un
milione di disoccupati e analfabeti, si sarebbe nelle regole e avremmo raggiunto
la società ideale. Moltiplicate tutti i numeri per sette o otto e avrete
l’“Europa sociale”. Fermo restando che se anche un paese non raggiungesse
questi “audaci obbiettivi sociali” basterebbe pagare una multa e tutto
sarebbe in regola.
Ma come si potrebbe pensare
che la borghesia capitalistica con cui questi signori si vogliono alleare, o
meglio che vogliono servire. Non a caso nello stesso testo si parla
dell’obbiettivo della “concordia sociale” (non si voglia mica pensare a
quella volgarità novecentesca della lotta di classe!) e si dice che “il
principio di interesse generale” deve andare “alla pari” con quello della
“concorrenza di mercato” (i democratici delle rivoluzioni borghesi come
quella francese affermavano che l’interesse generale deve sovrastare tutto,
ma, vivaddio, sono passati più di due secoli e non possiamo essere così
“estremisti”).
Marx ed Engels nel
“Manifesto” affermano che i socialisti borghesi della loro epoca
desideravano “portar rimedio agli inconvenienti sociali, per garantire
l’esistenza della società borghese”. I loro miserevoli epigoni odierni si
limitano, allo stesso scopo, a voler “limitare un poco” gli inconvenienti
della società borghese. Ed hanno il coraggio di chiamare tutto ciò “un nuovo
mondo possibile” o “Europa sociale”.
In conclusione
Il proletariato ha il dovere
e la necessità di pronunciarsi frontalmente contro la costituzione dell’Ue e
l’Europa imperialista del capitale e tutte le sue frazioni. Una battaglia
tanto più importante nel Prc oggi, nella misura in cui si realizza l’alleanza
con il centrosinistra e Romano Prodi, appunto uno dei principali rappresentanti
del progetto di sviluppo, anche militare, dell’imperialismo europeo, come
chiaramente indicato nel suo programma. In ogni consultazione referendaria il
proletariato deve esprimersi per il no alla nuova costituzione. Ma lo deve fare
dal suo autonomo punto di vista di classe. Non quello dell’utopica e
riformista “Europa sociale”; tanto meno quello della difesa dei vecchi stati
borghesi nazionali, ma quello della prospettiva dell’unità dei proletari di
tutta Europa in lotta contro l’offensiva del capitale sulla base di un
progetto anticapitalistico contro la disoccupazione, la miseria, lo sfruttamento
e l’oppressione di questa società; per l’unica alternativa realistica
contro di essa: la conquista rivoluzionaria del potere e la creazione degli
Stati uniti socialisti d’Europa.
La necessaria costruzione
dei partiti rivoluzionari nei paesi europei, nel quadro della rifondazione della
Quarta Internazionale non potrà avere altra prospettiva.
(Ottobre 2004)