Marxismo rivoluzionario n. 2 - nel mondo / il brasile di lula
A
un anno dall'elezione di Lula da Silva, un primo bilancio
UN
GOVERNO NEOLIBERALE
di Mario
Maestri*
Nel 2001, per la quarta volta consecutiva,
Lula da Silva si è presentato come candidato del PT e del fronte popolare alla
presidenza della Repubblica del Brasile. Non si trattava già più di quel
partito tendenzialmente antimperialista e anticapitalista la cui fondazione nel
1982 era stata fortemente influenzata dal rinascere delle lotte dei lavoratori
nelle città e nelle campagne, verificatesi a partire degli anni 1977-79, nel
dopo regime militare, durato dal 1964 al 1985.
La
vittoria della controrivoluzione neoliberale mondiale avvenuta alla fine degli
anni ottanta aveva determinato la distruzione degli Stati a economia
nazionalizzata dell’Europa orientale e la perdita per i lavoratori di tutto il
mondo di gran parte delle loro conquiste sociali storiche. Questa vittoria
neoliberale assieme a vent’anni d’inflazione, marasma economico,
privatizzazioni, disindustrializzazione e internazionalizzazione
dell’economia provocarono un forte arretramento e un indebolimento del
movimento sociale brasiliano, con un’unica eccezione costituita dalla lotta
per la riforma agraria, diretta soprattutto dal Mst, che continuò a
consolidarsi nelle zone rurali.
In tale
contesto generale, nei due ultimi decenni, il PT ha abbandonato in modo
crescente il suo primo carattere tendenzialmente classista e popolare per
trasformarsi in un partito parlamentare socialdemocratico tradizionale, ormai
dedicato alla conquista, gestione e difesa dello status quo socioeconomico
e dello Stato di classe che nel passato intendeva conquistare per creare un
nuovo ordine sociale.
Tutti i
segmenti del PT, di destra, di centro e di sinistra hanno partecipato, in modo
più o meno profondo e definitivo a questa rottura dei vincoli col movimento
sociale per privilegiare la gestione dello Stato. Membri del parlamento,
amministratori, fornitori di servizi, sindacalisti, ecc. hanno preso ad
esercitare un controllo crescente sulla vita del PT, offuscando sempre di più,
fino a farla sparire, l’influenza operaia. Oggi, si stima che più del 50% dei
militanti del PT siano legati in qualche modo alla gestione dello Stato, a
livello comunale, statale e federale.
Sviluppare il capitalismo nazionale
A metà
del 2001, mentre stava per concludersi il secondo governo neoliberale di
Fernando Henrique Cardoso (FHC), del PsdB, i dirigenti del nucleo centrale del
PT rinnegarono radicalmente l’orientamento redistributivo socialdemocratico
presentando un programma elettorale volto allo sviluppo nazionalborghese, il cui
impegno prioritario era rispettare le privatizzazioni e gli accordi
internazionali e dare appoggio all’industria e al mercato capitalistico
nazionali.
Grazie
alla notevole debolezza di un movimento operaio e sociale urbano fortemente
smobilitati, il nuovo orientamento si è potuto consolidare senza troppa
opposizione, materializzandosi nella presentazione di José Alencar –
megaimprenditore nazionale dell’industria tessile – come candidato a
vicepresidente del fronte popolare. In pratica, il nuovo progetto politico
sottometteva i lavoratori delle città e delle campagne alla direzione delle
classi borghesi industriali e commerciali nazionali.
All’inizio
del 2002, in ragione della crescente crisi sociale ed economica del governo FHC,
vi fu da parte di grandi settori del capitale nazionale ed internazionale una
volontà esplicita di trovare sia nei partiti di governo sia in quelli
dell’opposizione un candidato alternativo, in grado di garantire, senza troppe
convulsioni sociali, il proseguimento del programma neoliberale, operazione che
il candidato del governo e del PsdB era ritenuto incapace di realizzare.
Era una
visione assolutamente corretta. Negli ultimi giorni di giugno 2003, Olavo
Setubal, ottantenne, presidente del consiglio di amministrazione della seconda
maggiore banca brasiliana, lettore attento dell’Impero di Toni Negri e
osservatore arguto della realtà nazionale, ricordava che il candidato sconfitto
José Serra, del PsdB, “non avrebbe applicato, né avrebbe potuto farlo, un
programma antinflazionare, una riforma tributaria e una riforma della
previdenza sociale, così come Lula sta cercando di fare”. [“Carta
Capital”, 246.]
Sotto la stella del capitale finanziario
In
risposta alla nuova situazione, il nucleo dirigente duro del PT – José Dirceu,
Luís Gushiken, Aluízio Mercadante, José Genuíno, Luiz Dulci – ha
abbandonato il programma di sviluppo nazional-borghese, per assumere con
l’imperialismo e con il capitale finanziario l’impegno del pagamento
incondizionato del debito finanziario nazionale ed internazionale. Tale
movimento si è materializzato nella Lettera al popolo brasiliano, del 22
giugno 2002, nella quale veniva confermato la rottura radicale con il passato
nonché l’impegno di rispettare i cosiddetti “contratti” internazionali
del Brasile. Tale evoluzione ha accelerato la metamorfosi politica e sociale che
veniva consolidandosi negli anni anteriori.
Alla
fine del 2002, la campagna elettorale del fronte popolare si svolse senza alcun
impegno sociale preciso, tranne un vago impegno di creare otto milioni di nuovi
posti di lavoro e di raddoppiare, in valori reali, entro quattro anni, lo
stipendio minimo, che attualmente è di 70 euro. In questa occasione, le riforme
neoliberali della previdenza sociale, delle leggi fiscali e della legislazione
sul lavoro, che il governo Cardoso non era riuscito a portare a termine, vennero
presentate come misure sociali, senza altre precisazioni. In realtà, non
c’erano differenze fra il programma del candidato José Serra, del PsdB, e
quello di Lula da Silva, del fronte popolare. All’epoca, il PT respinse
apertamente il plebiscito sull’Alca intrapreso dal Mst e dai settori
progressisti della Chiesa, proponendo al contrario che si lottasse per ottenere
un accordo “favorevole” al Brasile.
Prima
delle elezioni, il PT ed il fronte popolare assunsero pubblicamente l’impegno
di rispettare incondizionatamente gli accordi pattuiti dal governo di cardoso
con l’Fmi, da cui risultò il megaprestito di 31,9 miliardi di dollari,
affinché il governo potesse proseguire il pagamento senza riserva dell’enorme
debito finanziario nazionale e internazionale che, da più di venticinque anni,
opprime il popolo brasiliano, in modo impietoso e crescente. Negli ultimi anni,
più del 60% del budget brasiliano venne destinato al pagamento del capitale
finanziario.
Le promesse vanno mantenute
La
vittoria al secondo turno del fronte popolare, alla fine del 2002, va ricondotta
sia alla sfiducia popolare nei confronti del governo uscente sia all’appoggio
che alcuni settori della borghesia nazionale avevano dato alla candidatura di
Lula. Ciononostante, per il fatto di materializzare la possibilità di una
sconfitta elettorale dell’ordine costituito, la vittoria di Lula ha generato
un’innegabile politicizzazione del paese, soprattutto dei settori sociali più
avanzati. Soprattutto, ha rafforzato la fiducia popolare in Lula da Silva, nel
PT e nel fronte popolare, a cui veniva riconosciuto il merito del risultato
elettorale.
Subito
dopo l’elezione, i dirigenti petisti hanno cominciato a concretare gli
impegni assunti, consegnando i principali ministeri economici: a Antonio Palloci,
le finanze; a Luiz Furlan, presidente del consiglio di amministrazione della
Sadia – una delle più importanti industrie del settore alimentare –
l’industria e sviluppo; a Roberto Rodrigues, presidente dell’Associazione
brasiliana di agrobusiness, l’agricoltura. Alla carica di presidente
della Banca centrale venne designato Henrique Meirelles, ex-dirigente mondiale
del Bank Boston, secondo creditore del Brasile, eletto deputato al parlamento
federale per il PsdB di Cardoso!
L’approfondimento
dell’orientamento politico neoliberale, concordato con l’Fmi e con gli
organismi finanziari internazionali prima ancora delle elezioni, si è
concretato tramite una sovrarimunerazione del capitale finanziario – con
tassi d’interesse reali base del 15% – e con il mantenimento della
fortissima svalutazione cambiale promossa alla fine del governo Cardoso con lo
scopo di finanziare le esportazioni e deprezzare le importazioni. È stata
inoltre rinforzata la già fortissima oppressione fiscale – circa il 40% del
Pnl – verso una popolazione praticamente sprovvista di assistenza statale per
quanto riguarda l’educazione, la sanità, la cultura, ecc.
Esproprio degli espropriati
Nel
concedere un aumento reale uguale a zero del salario minimo garantito ed
un’indicizzazione negativa degli stipendi degli impiegati dello Stato, che da
più di dieci anni non vengano indicizzati, il governo Lula ha ugualmente
mantenuto – anzi, approfondito – il supersfruttamento dei lavoratori sia del
settore privato che dello Stato. Alla fine del mese di agosto, abbandonando uno
dei pochi e timidi impegni elettorali, il governo dichiarò la sua intenzione di
raddoppiare solo nominalmente il valore minimo degli stipendi, entro la fine del
suo mandato. In altre parole, di mantenerlo praticamente al suo attuale livello,
già bassissimo.
Infine,
gli investimenti pubblici e sociali sono stati sospesi, in modo radicale. Tali
misure, associate agli elevatissimi tassi di interesse, hanno sospinto il
Brasile in una forte depressione economica, con una perdita negli ultimi sette
mesi di circa cinquecentomila posti di lavoro.
Sempre
in questo senso, è stata intrapresa un’offensiva, attualmente in via di
conclusione, per l’approvazione al parlamento di una riforma della previdenza
sociale che se approvata penalizzerà duramente gli impiegati dello Stato e
favorirà la privatizzazione di gran parte del sistema previdenziale, attraverso
istituti pensionistici privati e paraprivati per le pensioni più elevate. Il
principale obiettivo della riforma è quello di ottenere risorse monetarie per
il pagamento del debito finanziario e proteggere gli interessi economici
interessati nella privatizzazione del sistema previdenziale. L’obiettivo
ultimo sembra essere quello di promuovere nei prossimi mesi
l’istituzionalizzazione dell’autonomia della Banca Centrale, altra
esigenza del grande capitale finanziario.
Contemporaneamente
alla riforma della previdenza sociale, il governo sta promuovendo una riforma
tributaria, con la quale intende trasferire il tributo sulla produzione,
sull’esportazione e sul profitto, a quello sul consumo, ed una riforma della
legislazione sul lavoro, che vuole liberalizzare maggiormente la legislazione
brasiliana del lavoro, già duramente deterioratasi negli ultimi dodici anni:
fine della tredicesima; fine dell’indennizzo in caso di licenziamento non
giustificato, ecc. Inoltre il governo sta per far approvare una legge sui
fallimenti destinata a privilegiare il ricupero dei prestiti da parte del
capitale bancario.
Nell’accettare
l’imposizione dell’Fmi di garantire un surplus primario del 4,25% del Pil
– differenza tra spese e introiti pubblici, ad esclusione del pagamento del
debito pubblico – al fine di assicurare che parte sostanziale delle risorse
passino al capitale finanziario, il governo ha previsto dei tagli significativi
ad un budget già rachitico approvato dallo scorso governo, riducendo
drasticamente gli investimenti sociali – sanità, istruzione pubblica, ecc.
– e produttivi. Circa il 5% delle case brasiliane non sono collegate alle
fognature. Ciononostante il governo non ha previsto risorse, né per
quest’anno né per i prossimi, in modo da superare al meno parzialmente tale
situazione.
Banchieri ed esportatori
I primi
sette mesi del governo Lula da Silva si sono svolti sotto la totale egemonia del
capitale finanziario nazionale ed internazionale e, subordinatamente, dei
settori dell’agroindustria che lavorano per l’esportazione. I settori
bancari realizzano immensi profitti e quello delle esportazioni sono esplosi
grazie alla svalutazione del cambio – più del 24% in sette mesi. Al contrario
i settori industriali e commerciali che lavorano per il mercato interno sono
stati fortemente colpiti e si sono ritratti, determinando un’importante
diminuzione dell’offerta di lavoro e del valore dei salari.
La grave
recessione della produzione interna ha determinato che i settori industriali e
commerciali vincolati al mercato interno abbiano rivendicato un’accelerazione
della diminuzione dei tassi di interesse, un aumento dei prestiti ed una ripresa
degli investimenti produttivi e sociali da parte del governo. D’altra parte, i
gruppi vincolati all’esportazione hanno richiesto il mantenimento della
svalutazione della moneta nazionale (il real) che negli ultimi mesi ha
conosciuto una valorizzazione relativa e parziale, nonché il proseguimento
della riduzione salariale. L’ossessione per le esportazioni domina il governo
nonostante il debito pubblico netto superi il 55% del Pil brasiliano e che le
esportazioni non corrispondano che ad un terzo dell’impegno annuo del debito!
Ciò determina il bisogno di capitali nel paese a qualsiasi prezzo, il rinnovo
dei prestiti ad altissimi tassi di interesse ed incessanti accordi con l’Fmi.
La
subordinazione del governo Lula da Silva al grande capitale internazionale
determina che non appena concluse le riforme fiscale e della previdenza imposte
dall’Fmi nonché l’accordo che Cardoso aveva firmato con lo stesso organismo
alla fine del 2002, venga promosso un nuovo patto, da firmarsi ad ottobre,
affinché venga suppostamente mantenuta la fiducia degli investitori
nell’economia brasiliana. I promotori del nuovo accordo propongono che
contenga anche delle finalità sociali (promozione di nuovi insediamenti per i
Sem terra, investimenti nel programma Fome zero, ecc.) al fine di
compensare l’insensibilità sociale delle proposte dell’Fmi e del governo di
Lula da Silva.
In una
dichiarazione al quotidiano “Folha de São Paulo” del 24 agosto scorso, il
senatore Aluízio Mercadante, membro del circolo ristretto del direttivo del
PT, difendeva il nuovo accordo: “Il momento è pertanto opportuno affinché
l’Fmi che viene da un’esperienza di sconfitte ricorrenti nell’applicazione
di politiche restrittive della crescita, possa tramite una partnership
con il governo brasiliano, dare una nuova dimensione alla sua missione
istituzionale [sic]. Il Brasile vuole cambiare e il suo esito può essere
anche il successo dell’Fmi [sic].”
Attualmente,
le politiche preconizzate ed avviate dal governo, dal PT e dal fronte popolare
permettono un importante ma difficile aggiustamento politico, in corso, poiché
esprimono le necessità delle forze sociali organizzate soprattutto negli
squalificati partiti borghesi che hanno dato man forte ai precedenti governi
neoliberali: PsdB, PmdB, Pfl, PP, Ptb, ecc. In questo senso, l’approvazione da
parte del Congresso, in prima votazione, il 6 agosto scorso, della riforma della
previdenza, è stato reso possibile soltanto dall’appoggio significativo dei
deputati dei partiti conservatori: a favore hanno votato 33 deputati del Pfl e
29 del PsdB.
Governo nell’opposizione, opposizione nel governo
Quindi,
mentre le forze conservatrici danno man forte alle politiche che rappresentano i
loro interessi, la base sociale ed elettorale tradizionale del PT e del fronte
popolare viene colpita nei suoi interessi da politiche implementate dal governo
che ha eletto affinché effettuasse cambiamenti qualitativi nell’ordine
sociale ed economico. Tale situazione determina aggiustamenti e forti dissensi
politici dentro e fuori dal PT.
L’orientamento
neoliberale del governo ha ricevuto l’immediata adesione della destra
parlamentare. PmdB e Ptb hanno pattuito il loro sostegno organico al governo
Lula da Silva, così come avevano fatto con il governo Cardoso. Un altro partito
di destra, il PP, ha concordato un accordo non organico con il fronte popolare.
Si è ugualmente verificata una forte migrazione di deputati borghesi da partiti
sostenitori dello scorso governo (PP, Pfl, PsdB, Pst, ecc.) verso partiti che
oggi appoggiano Lula da Silva – PL, Ptb, Pps. Il PsdB, partito
dell’ex-presidente Fernando Henrique Cardoso, ha perso diversi deputati in
questo processo.
All’interno
del PT, i settori di destra, interessati ai vantaggi derivati dalla gestione
dello Stato, ai piani di privatizzazione della previdenza sociale, ecc.,
sostengono in modo incondizionato l’orientamento neoliberale del fronte
popolare, mentre il centrosinistra del partito – Articolazione di sinistra,
Democrazia socialista (legata al Segretariato unificato della Quarta
Internazionale), Forza Socialista, ecc. – vi si sottomette malvolentieri, però
senza una vera resistenza. Astenutisi nella prima votazione della riforma della
previdenza, otto parlamentari del centrosinistra petista (Articolazione di
sinistra, Democrazia socialista, Forza socialista, ecc.) si sono poi lasciati
inquadrare dall’orientamento antipopolare del direttivo del PT e hanno
votato a favore della contribuzione fiscale dei pensionati.
La sinistra del PT
Soltanto
un piccolo settore della sinistra rivoluzionaria del PT (la senatrice Heloísa
Helena, i deputati federali João Batista de Araújo, detto Babá, del Pará;
Luciana Genro, del Rio Grande do Sul e João Fontes, di Sergipe, con importanti
basi elettorali e sociali tra gli impiegati dello Stato) hanno intrapreso una
durissima opposizione interna ed esterna contro l’orientamento neoliberale,
nonostante fosse quasi certa la loro espulsione dal partito nel caso
proseguissero nella difesa di una politica classista. Il Pdt, esauritosi negli
ultimi anni, viene via via allontanandosi dalla politica di appoggio al governo,
mosso soprattutto dalla spinta del suo principale leader, il caudillo nazionalpopulista
Leonel Brizola. Quattro degli undici deputati del PcdB [ex-maoista], con forti
vincoli tra i lavoratori dello Stato, hanno votato anche loro contro la riforma
della previdenza, senza che il partito li minacciasse di espulsione.
La
resistenza del movimento sociale al governo di Lula da Silva viene
organizzandosi con grandi difficoltà, soprattutto in ragione del prestigio del
presidente, del PT e dei partiti del fronte popolare, rinvigoriti dalla vittoria
elettorale. Anche la radicalizzazione dell’ormai tradizionale cooptazione da
parte del governo di decine di migliaia di sindacalisti e leader sociali rende
molto difficile tale resistenza.
Negli
congressi della Centrale unica dei lavoratori (Cut), il 3-7 giugno scorso a São
Paulo, e dell’Unione nazionale degli studenti (Une), il 18-22 giugno, hanno
predominato le proposte collaborazioniste sostenute dal governo e difese
rispettivamente dal PT e dal PcdB. Subito dopo la sua elezione, Luís Marinho,
neopresidente della Cut indicato dallo stesso Lula, ha dichiarato che si
opponeva alla lotta per l’indicizzazione salariale e che non avrebbe sostenuto
lo sciopero degli impiegati dello Stato, a cui ha finito per aderire in modo però
molto parziale e formale. All’ottavo congresso della Cut l’opposizione
classista ottenne il 25,3% dei voti validi.
Prime reazioni
Le prime
reazioni del movimento sociale sono avvenute attraverso la lotta per il recupero
delle perdite salariali dovute all’inflazione, organizzata dal nucleo centrale
dei lavoratori metalmeccanici di São Paulo, che ha il maggior poter
contrattuale e la migliore organizzazione sindacale nel paese. Tuttavia, negli
ultimi mesi, anche questi settori metalmeccanici sono stati fortemente colpiti
dalla recessione e dall’annuncio dei tagli nei posti di lavoro
dell’industria automobilistica – Ford, General Motors, Fiat, Volkwagen,
Peugeot, Citroën. L’industria automobilistica brasiliana ha già venduto sul
mercato interno 2,2 milioni di veicoli e ha attualmente la capacità di produrre
3,2 milioni di veicoli l’anno. Si teme che nel 2003 produca solo tra l’1,4 e
l’1,8 milioni di unità.
In
agosto, il governo ha adottato delle misure transitorie di incentivo, valide
fino a novembre, per evitare il licenziamento di lavoratori da parte delle
fabbriche (come la riduzione delle imposte sui veicoli…), al fine di
combattere la recessione che colpisce questo importante settore industriale,
responsabile del 15% del Pil brasiliano, con un’incidenza sulle entrate
fiscali del 33%, e che costituisce la base sociale tradizionale della Cut e,
soprattutto, di Lula da Silva, ex-dirigente metalmeccanico della regione dell’Abc
di São Paulo. Attualmente il 15% della produzione di questo settore viene
esportata. Le riduzioni d’imposta sono state trasferite solo in modo parziale
sui prezzi delle macchine e rappresentano quindi, nei fatti, solo un aumento del
tasso di profitto del settore automobilistico.
Decretato
l’8 luglio scorso, lo sciopero degli impiegati dello Stato contro la riforma
della previdenza ha ottenuto circa il 55% di adesioni, assumendo in alcuni
momenti un carattere particolarmente duro. Attualmente lo sciopero si trova in
fase di chiaro riflusso in ragione dell’approvazione del progetto di legge al
primo turno. Quello che sarebbe diventato il primo sciopero del potere
giudiziario della storia del Brasile è stato fermato grazie al dietrofront del
governo, in particolare per quel che riguarda i tetti agli emolumenti dei
giudici (che ricevono gli stipendi medi statali più elevati del Brasile, di
cento volte solito superiori al salario minimo legale).
Nelle
ultime settimane la crisi sociale e politica si è approfondita rapidamente,
soprattutto in ragione della crescente formazione, attraverso tutto il Brasile,
di piccoli, medi ed giganteschi accampamenti di lavoratori senza terra, del Mst
ma non solo. Oggi, si stima che circa duecentomila famiglie siano accampate e
che circa 25 milioni di brasiliani abbiano bisogno di terra per lavorare e
sopravvivere.
Sono
ugualmente cresciute le occupazioni di terre, soprattutto nella regione del
Nordest (più di 170 nei primi 200 giorni dell’anno, contro le 103 nel 2002) e
quelle di palazzi pubblici; le requisizioni dei carichi dei tir; la liberazione
dei pedaggi stradali, ecc., in diverse regioni del paese, da parte di lavoratori
senza terra, al fine di far pressione sul governo per l’espropriazione dei
latifondi. Tali fatti hanno provocato la formazione di milizie rurali private e
la mobilitazione sempre più aggressiva dei latifondisti contro l’Mst.
Lavoratori senza casa
L’attivismo
maggiore del movimento rurale si deve anche al fatto che un numero crescente di
lavoratori, disoccupati o sottoccupati, senza alternative di vita, di
organizzazione e di lotta, abbandonino le periferie urbane per accamparsi
nell’interno del paese, soprattutto sotto le bandiere del Mst. Sono ugualmente
cresciute le occupazioni di case e di terreni urbani, soprattutto a São Paulo,
da parte del movimento dei cittadini senza tetto. In genere tali movimenti sono originalmente
organizzati da militanti del Mst, traslocati nelle città. Diversi altri
movimenti sociali partecipano a queste occupazioni.
Negli
ultimi sei mesi, il governo ha praticamente interrotto l’espropriazione di
terre per la formazione di insediamenti, mantenendo soltanto la concessione di
credito istituzionale per l’agricoltura familiare, la distribuzione di
alimenti agli accampati e agli insediati nonché la consegna di cariche
pubbliche a dirigenti del movimento nelle istituzioni legate alla riforma
agraria. Nel Sud del Brasile l’unica grande espropriazione in corso, di una
proprietà di 13.000 ettari, è appena stata dichiarata nulla dalla giustizia e
più specificamente dal Superior Tribunal de Justiça, controllato dai
grandi latifondisti. In otto mesi il governo non ha insediato più di cinquemila
famiglie.
La forte
mobilitazione dei lavoratori rurali organizzati e soprattutto le occupazioni di
edifici pubblici e di terreni urbani, hanno motivato il governo, premuto dalla
crescente resistenza degli impiegati pubblici alla riforma della previdenza, ad
impegnarsi coll’Mst a realizzare un’importante concessione di terre nel
secondo semestre del 2003. L’accordo è stato pattuito durante un incontro a
Brasilia con i dirigenti dell’Mst nel corso del quale Lula si è messo in
testa il berretto del movimento, provocando violentissime critiche da parte
della stampa. Attualmente il governo propone di stimolare la riforma agraria nel
primo semestre del 2004, quando chiederà probabilmente all’Fmi di non
considerare spesa pubblica l’emissione di titoli del debito agrario rilasciati
per indennizzare i grandi proprietari.
Dividere per vincere
In realtà,
il governo ha ufficializzato esplicitamente la sua decisione di trattare con più
severità sia il movimento sociale urbano (sciopero degli impiegati dello Stato)
sia la dissidenza di sinistra del PT e, al contrario, di soddisfare le
rivendicazioni dei lavoratori agricoli e temporeggiare con l’Mst, un chiaro
movimento per dividere i lavoratori delle città e delle campagne per poter in
questo modo sconfiggerli più facilmente in forma isolata. In ogni caso il
governo allude all’insediamento nel 2003 di circa trentamila famiglie di
lavoratori rurali senza terra soltanto.
Dopo la
riunione de Lula con l’Mst, questo movimento ha intrapreso un riavvicinamento
dal governo Lula da Silva, registrato nelle dichiarazioni dei suoi leader, nel
suo giornale settimanale nazionale (“Brasil de Fato”), ecc. Tutti
i deputati federali del PT eletti dall’Mst hanno prestato man forte alla
riforma della previdenza sociale, con la giustificazione, a volte esplicitata,
che essa non colpisce i lavoratori rurali che ricevono pensioni molto ridotte.
Ciononostante,
alcuni giorni dopo l’incontro di Brasilia con il presidente Lula, l’Mst è
stato sottoposto ad una campagna di discredito da parte della stampa, che ha
distorto le dichiarazioni del principale portavoce dell’Mst, João Pedro
Stedile. Alcuni rappresentanti del governo, con poca e persino nessuna
moderazione, si sono uniti a tali accuse. Il governo Lula da Silva, poi, non ha
realizzato nessuna azione in difesa di José Rainha, leader dell’Mst,
imprigionato a causa di un processo chiaramente costruito su una montatura dai
settori più conservatori della giustizia.
Attualmente
l’Mst propone l’organizzazione di movimenti sociali urbani contro la
politica economica del governo e la disoccupazione. Anche se lo scopo dell’Mst
è quello di condizionare il governo Lula, che difende, tale movimento, se
dovesse svilupparsi, potrebbe condurre al consolidamento della resistenza
popolare e allo scontro dell’Mst con il governo.
Un nuovo partito operaio
Attualmente,
i settori della sinistra stanno promuovendo contatti e discussioni per la
conformazione di un nuovo partito classista, soprattutto attraverso
l’unificazione del Pstu (trotskista, senza rappresentanti al parlamento), dei
parlamentari “radicali” del PT, di piccoli gruppi politici e sociali e di
militanti indipendenti. La proposta ha tutta la sua effettività possibile,
poiché l’Mst, principale serbatoio di dirigenti popolari e organizzazione con
la maggiore esperienza sociale, si mantiene a margine di questa discussione,
proteggendo i suoi vincoli politici ed organici con il PT e con il governo. L’Mst
ha un grande numero di deputati e di consiglieri comunali elettisi grazie al PT
nonché di militanti coinvolti nelle equipe dirigenti del PT alla testa
dei comuni, degli Stati e del governo federale. L’11 agosto 2003, in risposta
allo scontento generalizzato dei settori di sinistra con l’approvazione della
riforma neoliberale, alcuni petisti del centrosinistra e prossimi all’Mst
hanno lanciato un movimento in difesa del PT (il Manifesto di recupero del PT):
“Rifiutiamo la falsa alternativa di abbassare le bandiere o di abbandonare
il partito.”
La
definizione politica dell’Mst di fronte al governo è resa difficile dal fatto
che si tratta di un’organizzazione ibrida decentralizzata: un movimento
politico, un sindacato di contadini senza terra, un’associazione di piccoli
proprietari di terra, una cooperativa di produzione e di consumo, ecc. Per la
sua natura l’Mst deve incessantemente negoziare i mezzi di sussistenza e la
terra per gli accampati nonché i finanziamenti per gli insediati.
Crisi di direzione
Attualmente
non esiste un’organizzazione classista che stabilisca, in nome della classe
operaia urbana, un dialogo sociale e politico con l’Mst, rappresentante della
lotta dei lavoratori e dei piccoli proprietari delle campagne nonché dei
settori emarginati delle città, in un paese essenzialmente industriale come il
Brasile. Tale fenomeno facilita il permanere dell’isolamento e, spesso, di
contrasti programmatici fra i lavoratori urbani e quelli rurali.
Il
movimento sociale brasiliano resta in una situazione politica, ideologica e
culturale essenzialmente difensiva, limitandosi alla difesa delle conquiste
passate, duramente attaccate. La stessa lotta per la terra si concreta nel
contesto della rivendicazione dell’espropriazione con indennizzo delle
proprietà rurali improduttive, fatto che determina la liberazione e
l’anticipazione in attivi finanziari del reddito sulla terra e non il suo
esproprio. Dinanzi alle scarse risorse concesse per l’acquisto di terre,
Miguel Rossetto, ministro dello sviluppo agrario, ha presentato l’8 luglio
scorso la proposta di distribuire delle proprietà rurali di aziende pubbliche
ai Sem Terra. Paradossalmente questa proposta consolida e non indebolisce
la struttura privata della terra in Brasile.
Attualmente
il movimento sociale e popolare brasiliano non possiede nei fatti, neppure in
modo puntuale, un programma di classe che si possa contrapporre in forma
particolareggiata agli orientamenti procapitalistici dei diversi politici
egemonici nel paese. E’ questa una delle ragioni che spiegano la facilità con
cui il PT e i partiti del fronte popolare con radici popolari slittano verso
posizioni procapitalistiche.
(Porto
Alegre, 30 agosto 2003)