LETTERA DI MARCO FERRANDO AI FIRMATARI DELL'APPELLO
CONTRO UN ACCORDO DI GOVERNO PRC-ULIVO
Trovate di seguito (e qui disponibile, già impaginata in formato Rtf, esente da rischi di virus informatici) una lettera aperta del portavoce di Progetto Comunista, Marco Ferrando, ai firmatari dell'Appello contro un accordo di governo Prc-Ulivo e per un congresso straordinario di Rifondazione. Il testo della lettera può essere utilmente riprodotto e distribuito a coloro che non sono in possesso della posta elettronica.
In fondo alla lettera si fa riferimento a una iniziativa pubblica nazionale, in una sala romana, che stiamo organizzando per il 13 marzo: entro la prima metà di febbraio riceverete informazioni più precise su questa importante scadenza.
Buona lettura
Francesco Ricci
LETTERA
AI FIRMATARI DELL'APPELLO
CONTRO
UN ACCORDO DI GOVERNO PRC-ULIVO
E
PER UN CONGRESSO STRAORDINARIO DEL PRC
Care
compagne, cari compagni,
il
nostro comune appello per il congresso straordinario del Prc contro la
prospettiva di governo Prc-Ulivo registra un'adesione crescente nelle file del
nostro partito, travalicando ogni vecchio steccato congressuale tra compagni
della prima e della seconda mozione. E' un fatto importante che sollecita una
riflessione aperta sulle ragioni e le prospettive della nostra iniziativa.
La
prima motivazione del riscontro ottenuto è di carattere squisitamente
democratico. La svolta governista intrapresa dalla Segreteria nazionale del
nostro partito appare sempre più a tanta parte del Prc per quello che è: una
svolta priva di ogni mandato da parte dei militanti e degli iscritti. La linea
del V Congresso era stata formalmente celebrata come la linea della "svolta
a sinistra", della rottura col governismo, del primato del movimento e
delle lotte: l'attuale svolta a destra verso il ritorno al governo col
centrosinistra tradisce clamorosamente quella rappresentazione, generando uno
scarto tra il polso del partito e la linea della segreteria nazionale quale mai
si era registrato in dieci anni.
A
ciò si aggiunge un fatto non meno clamoroso: una svolta di governo, già in sé
priva di mandato, viene sottratta ad ogni forma di verifica democratica. Non
solo infatti viene respinta la nostra proposta elementare di congresso, ma viene
respinta persino un'ipotesi di conferenza nazionale democratica per delegati con
potere deliberante, ipotesi alla quale ci eravamo dichiarati disponibili in sede
di discussione del Comitato Politico Nazionale. Ciò che invece viene offerto è
un "convegno sul programma aperto all'esterno", un tradizionale fatto
d'immagine privo di qualsiasi valenza democratica. E' obiettivamente uno
scandalo: lo sarebbe in un certo senso per qualsiasi partito, ma tanto più lo
è per un partito che si richiama formalmente alla Rifondazione comunista e alla
rottura col "burocratismo". E' uno scandalo che si voglia imporre a
decine di migliaia di militanti un percorso di scioglimento dell'opposizione
comunista in Italia senza neppure consentire loro un potere di scelta su tale
prospettiva: e magari ripromettendosi un futuro congresso ordinario a
percorso tracciato, di cui chiedere semplicemente la registrazione.
Ma
lo scandalo sull'assenza di ogni elementare criterio democratico non è nulla -a
me pare- rispetto allo scandalo del contenuto di merito della prospettiva
intrapresa ed anzi, come spesso avviene nella storia del movimento operaio, è
proprio la natura politica della linea a suggerire la sua imposizione
burocratica.
La
prospettiva intrapresa di un governo Ulivo-Prc si conferma sempre più priva di
ogni principio di classe. Ogni argomento speso a giustificarla viene bruciato,
di volta in volta, dall'esperienza impietosa dei fatti.
Alla
Direzione nazionale di settembre la segreteria aveva audacemente teorizzato che
"l'Ulivo è cambiato" con riferimento a un suo presunto spostamento
"a sinistra". Ma pochi giorni dopo il pubblico annuncio di Margherita
e maggioranza Ds circa la propria disponibilità a negoziare col governo la
controriforma delle pensioni aveva polverizzato la credibilità già scarsa di
quella tesi.
A
novembre il Cpn si era concluso con il rilancio formale di "un impegno a
cambiare l'asse programmatico" dell'Ulivo (al punto da definire
"minimalista" la stessa richiesta, da alcuni avanzata, di fissare
singoli obiettivi negoziali "irrinunciabili") quando irrompe il
Manifesto programmatico di Romano Prodi, il cui asse complessivo capovolge e
nega su ogni terreno le stesse ragioni sociali e politiche più elementari del
Prc: esalta l'Europa come "potenza", loda l'Alleanza atlantica,
rivendica l'espansione dei bilanci militari, esalta i bombardamenti antiserbi
come esempio di virtuosa concertazione multilaterale della politica mondiale,
rivendica sul piano interno il bipolarismo e la concertazione, annuncia nuovi
interventi strutturali sulla previdenza pubblica, sostiene l'"occupazione
flessibile" e il rilancio delle privatizzazioni.
Pur
di salvare la prospettiva di governo Bertinotti si affrettava (incredibilmente)
a giudicare quel programma "una base positiva di confronto" in quanto
avrebbe rivelato un primo, seppur incompiuto, "ripensamento
antiliberista". Ma non si era ancora asciugato l'inchiostro del suo
articolo quando Prodi si presentava agli occhi dell'intera Europa come il più
intransigente custode del patto di stabilità e, quindi, delle politiche
antioperaie e antipopolari ad esso connesse: dove era finito... il
"ripensamento" di Prodi?
Si
potrebbe proseguire a lungo. In realtà ogni giorno che passa conferma la verità
inconfutabile della posizione sostenuta nel nostro appello: il centro liberale
dell'Ulivo non è per nulla permeabile né alle ragioni dei movimenti né alle
ragioni del Prc, per il semplice fatto che è permeato dagli interessi di classe
delle grandi famiglie del capitalismo italiano e dalle grandi banche. E'
impegnato a riconquistare la sponda in Confindustria con la sponsorizzazione
della candidatura di Montezemolo, a ricucire buone relazioni con Bankitalia e
Fazio, a tessere un proprio rapporto con Romiti, a moltiplicare le proprie
entrature con Confcommercio, ad accreditarsi come la principale sponda dei
banchieri italiani in Europa e dei banchieri europei in Italia. Il nome di
Romano Prodi è solo un marchio di garanzia di questa indelebile natura di
classe. E' vero, vogliono rimpiazzare Berlusconi; ma dal versante del grande
capitale contro i lavoratori e i movimenti.
Proprio
questo fatto chiarisce, allora, una volta di più l'enormità della svolta
avviata da Bertinotti. Non si tratta semplicemente di un "errore". Si
tratta di una prospettiva di inserimento profondo nell'alternanza di governo
delle classi dominanti. In cambio di ruoli ministeriali, di uno spazio
istituzionale garantito, di un rilancio di visibilità mediatica. E' triste, ma
è così. Che tutto questo avvenga nel nome della Rifondazione del Comunismo non
cambia di una virgola la realtà delle cose: la rende solo più grottesca e più
amara. E certo la colloca nella lunga storia del trasformismo riformista del
Novecento.
A
chi considerasse eccessivamente aspro questo giudizio chiederei di osservare,
nella sua realtà, il nuovo orientamento della segreteria del partito dal
momento del varo della "svolta".
In
pochi mesi il partito ha aderito alla manifestazione di unità nazionale a
Firenze contro il terrorismo (sponsorizzata da Berlusconi) dopo che essa era
stata giustamente respinta da tutte le forze della sinistra del movimento. Ha
espresso pubblicamente "solidarietà" ai Comandi dell'Arma dei
carabinieri dopo i fatti di Nassirya, rinunciando a chiedere le dimissioni del
governo, a denunciare gli interessi dell'imperialismo italiano, e ponendo in
secondo piano la stessa rivendicazione del ritiro immediato e incondizionato
delle truppe. Ha aderito alla bozza Amato in materia di riforme istituzionali,
sostenendo il rafforzamento ("temperato") dei poteri del premier
dentro una resa definitiva al sistema maggioritario. Ha rimosso ogni critica
pubblica alle burocrazie dirigenti del sindacato persino nel momento in cui
Cgil-Cisl-Uil regalano un mese di tregua a Berlusconi ed aprono di fatto un
negoziato sulle pensioni. Ha sostenuto pubblicamente la "pace di
Ginevra" sulla Palestina, in compagnia dell'intero Ulivo (ed anche... di
Powell), in contrapposizione a tutta la sinistra radicale palestinese che
giustamente rifiuta ogni ipotesi di cancellazione del diritto al ritorno per
milioni di profughi. Ha infine rilanciato con enfasi nuova e nella forma più
integralistica l'ideologia identitaria della "nonviolenza", non solo
rimuovendo sul piano dell'analisi la centralità della dominazione imperialista
nel mondo, ma negando di fatto il diritto di autodifesa, di resistenza, di
sollevazione dei popoli oppressi contro quella dominazione (che è cosa ben
diversa dalla denuncia del terrorismo fondamentalista).
Perché
questo slittamento complessivo del posizionamento politico del partito?
La
verità è che esso misura, già ora, il prezzo della prospettiva di governo con
le rappresentanze politiche del capitalismo italiano, con gli interessi interni
e internazionali che questo esprime. La segreteria del partito inizia già oggi
a misurare le sue posizioni entro il quadro di compatibilità con le posizioni
dell'Ulivo, inizia già oggi a comportarsi come "la sinistra del
centrosinistra", impegnata a conquistare presso i poteri forti la propria
credibilità istituzionale di futura forza di governo. Ed è solo l'antipasto di
ciò che accadrebbe una volta che fosse davvero varcata la soglia
dell'Esecutivo.
Emerge
allora con più forza l'importanza e la responsabilità della nostra comune
battaglia. Tutti noi militiamo in questo partito, spesso da molti anni ormai.
Tutti noi siamo stati e siamo impegnati nella sua costruzione come partito di
classe e quindi come partito di opposizione alle forze dominanti e ai loro
governi. Persino al di là delle diversità di mozione e di riferimento
congressuale, e nel massimo rispetto delle scelte di tutti e di ciascuno, questa
è la volontà che ci ha accomunato: costruire il nostro partito non
semplicemente come un partito "più a sinistra" di altri (ciò che non
costa davvero alcuno sforzo), ma come un partito comunista, per questo legato in
primo luogo alle ragioni indipendenti dei lavoratori, dei movimenti di lotta,
dei popoli oppressi, e dunque irriducibilmente opposto agli interessi dei poteri
forti e dei padroni del mondo.
Ebbene:
una ricollocazione al governo del Prc, sotto il comando dei custodi dell'Europa
capitalista, rappresenterebbe una scissione irreparabile con quel patrimonio
comune di militanza, di sacrifici, di energie che insieme abbiamo profuso con la
più grande generosità. Questo non deve accadere.
E
tanto più non deve accadere in relazione ai movimenti e alle prospettive della
lotta di classe. Se il centro dell'Ulivo esulta per la svolta governista del
Prc è perché vuole privare i movimenti di ogni riferimento di opposizione di
classe. E' perché vuole che le proprie politiche di rigore antioperaio e
filoimperialista possano dispiegarsi, senza contrasto, in un quadro di
governabilità e di pacifica concertazione. E' perché vuole utilizzare i
ministri del Prc come ammortizzatore sociale e politico, in un quadro di
corresponsabilità vincolante. Tutto questo produrrebbe conseguenze
devastanti sui movimenti e sulle loro lotte. Ed è forse un caso che questa
prospettiva di governo del Prc, a suo tempo rivendicata nel nome dei movimenti,
incontri già oggi malumori e/o resistenze aperte proprio in tutta la variegata
sinistra dei movimenti stessi? E' un caso che un significativo settore di
avanguardia operaia, giovanile, sindacale, internazionalista, inizi a leggere
gli attuali scivolamenti del partito (compreso il clamoroso rifiuto di
partecipare alla grande manifestazione per la Palestina dell'8 novembre) come la
prima espressione della prospettiva di governo con l'Ulivo in profonda
contraddizione con le proprie ragioni e i propri sentimenti? E non è questa
forse la prima prefigurazione di quella scissione tra Prc e settori di
avanguardia che un'effettiva collocazione di governo del partito porterebbe a
precipitazione?
Per
questo è necessario che la nostra battaglia per salvare il Prc come partito
d'opposizione si rafforzi ulteriormente e si estenda. E si congiunga alla
battaglia più generale per l'indipendenza di classe del movimento operaio e dei
movimenti di massa da un eventuale governo dell'Ulivo. Per questo l'appello
interno per il congresso straordinario del nostro partito e l'appello pubblico
per l'autonomia dei movimenti dal centro dell'Ulivo credo debbano marciare di
pari passo e alimentarsi reciprocamente.
"Cacciare
Berlusconi sì, governare con l'Ulivo no":
è una parola d'ordine che sta crescendo in influenza e impatto, dentro e fuori
il partito, in un vasto settore d'avanguardia. Essa pone con semplicità a tutti
i comunisti e a tutti i protagonisti di due anni di lotte, a tutte le loro
organizzazioni e rappresentanze, la vera alternativa di fondo: o l'unità dei
lavoratori e dei movimenti contro le classi dominanti o l'unità con le classi
dominanti contro i lavoratori e i movimenti. O l'opposizione di massa per
un'alternativa di società, o un'alternanza di governo di questa società per
liquidare l'opposizione di massa.
E'
un bivio che vanifica, per sua natura, ogni "astensione", e chiama
invece alla chiarezza di una scelta.
"Ma
può vincere realmente la nostra battaglia?" Questo ci chiedono,
comprensibilmente, tanti compagni in essa impegnati, e tanti nostri
interlocutori. La risposta corretta a me pare questa: ora dobbiamo impegnare
tutte le nostre forze perché la nostra battaglia possa puntare a vincere. Non
è ancora il momento del bilancio. E' il momento della lotta per aggregare
attorno alle nostre ragioni tutte le migliori energie del nostro partito.
L'esperienza
di questi mesi ci dice che il consenso alla svolta è assai fragile presso la
base del partito. Molti compagni che pure la sostengono la vivono come una resa,
passivamente e con grande imbarazzo. Molti altri compagni si affidano a una
verifica futura di "condizioni irrinunciabili" che la stessa
segreteria nazionale rimuove in partenza (figuriamoci Prodi o D'Alema). Ben
pochi pensano in ogni caso che un secondo governo Prodi con Mastella e Treu sia
la porta aperta verso "un altro mondo possibile". E tutti i fatti
politici che accadranno sul piano nazionale e internazionale continueranno a
minare la credibilità politica della svolta e a confermare le nostre ragioni.
Dunque la nostra battaglia è ben lungi dall'aver esaurito la sua forza
propulsiva. Anzi, essa è ancora ai suoi inizi. In tutto il partito si
moltiplicano i segnali di adesione, di interesse, di interlocuzione con il
nostro appello per il congresso straordinario del Prc. Tutti gli indicatori di
cui disponiamo nel corpo complessivo del Prc ci dicono che nuove forze, già
attente ai nostri argomenti, si possono spostare dalla nostra parte. Per questo,
tanto più oggi, sento l'esigenza di riaffermare che questa battaglia non è
e non vuole essere semplicemente una battaglia di Progetto Comunista: vuol
essere ed è già una battaglia molto più ampia, aperta al libero
coinvolgimento di tutti i comunisti di questo partito, per la salvezza di questo
partito.
Alla
fine, certamente, faremo insieme un bilancio. Un bilancio di verità, conclusivo
e coerente. Un bilancio che sarà tracciato dall'evoluzione politica italiana.
Non dunque dall'ottenimento o meno del congresso straordinario, né, in sé, da
una futura percentuale congressuale delle nostre ragioni, né, in quanto tale da
un accordo politico Prc-Ulivo, già del resto esistente. Ma da un fatto
materiale inequivocabile: dalla permanenza del partito all'opposizione o dal suo
ingresso autodistruttivo nel governo della prossima legislatura. Questo è il
discrimine. Tutti noi partendo, credo, da una convinzione comune e impegnativa:
nessun governo della borghesia italiana sarà privato di un'opposizione di
classe e comunista.
Marco
Ferrando
P.S.
Per
sostenere e sviluppare queste nostre riflessioni si terrà una iniziativa
nazionale pubblica e pubblicizzata a Roma sabato 13 marzo. E' un
appuntamento importante che credo meriti la partecipazione più ampia dei
sostenitori dell'appello per il congresso straordinario e di tutti i militanti e
i compagni che vogliono ascoltare le sue ragioni.
20
dicembre 2003