Cresce nel partito l'ascolto e la condivisione delle ragioni della sinistra interna

L'OPPOSIZIONE ALLA SVOLTA GOVERNISTA DEL PRC

Le contraddizioni di classe di una scelta di alternanza

 
 
di Francesco Ricci
 
 

 

E' più che mai necessario un congresso straordinario

 

Di fronte alla "svolta" governista della maggioranza dirigente del Prc (o meglio, alla esplicitazione del suo disegno politico, rimasto celato al V Congresso) abbiamo chiesto l'apertura di un congresso straordinario. E' infatti evidente che gli organismi dirigenti, ovviamente legittimi e legittimati a gestire le linee di fondo emerse dal congresso, non hanno avuto nessun mandato per aprire una trattativa di governo con il centrosinistra.

Finora questa nostra richiesta è stata rifiutata. Il Comitato Politico Nazionale di ottobre la ha respinta e Bertinotti ha proposto, invece, una imprecisata "conferenza programmatica" aperta ai movimenti: cioè una sede priva di ogni possibilità decisionale, che probabilmente finirà con l'essere una passerella di dirigenti (interni ed esterni al partito) -chiamati tra l'altro a discutere non della "svolta" ma a convalidarla.

Un'area critica della maggioranza, i compagni di Erre (ex Bandiera Rossa), dopo aver espresso critiche e distinguo su una scelta evidentemente non secondaria (cioè quella di portare in un futuro governo liberale dei ministri del Prc) si è alla fine astenuta (appoggiando questa collocazione tutt'altro che audace con un verboso documento); non chiedendo neppure una conferenza per delegati con poteri decisionali in cui tutto il corpo del partito potesse discutere di una prospettiva che a loro stesso avviso non era esplicitamente dichiarata nelle tesi del V Congresso.

Perché questo rifiuto di una verifica democratica della linea politica? Forse le ragioni vanno cercate nella evidente constatazione che la svolta impressa al partito non raccoglie un consenso attivo nelle sue file. A parte il nostro aperto e netto dissenso, nella "consultazione" del corpo militante (decine di comitati federali, direttivi, attivi) si sono registrati dubbi e perplessità, malumori, silenzi che in diversi casi si sono tradotti nel voto agli ordini del giorno della sinistra (con proporzioni ben diverse dai risultati ormai invecchiati del V Congresso).

Una ragione in più, per quanto ci riguarda, per proseguire la nostra battaglia, per raccogliere le firme sulla petizione contro la svolta e per un congresso straordinario, per continuare a dialogare con quei compagni -e sono migliaia- che il gruppo dirigente non riesce a convincere della "bontà" di una prospettiva di rimozione dell'opposizione comunista al prossimo governo liberale.

 

 

O battaglia per cacciare Berlusconi o accordo d'alternanza coi liberali

 

C’è chi, alla proposta della minoranza di indire un Congresso straordinario, risponde che il congresso ordinario dovrebbe comunque tenersi prima della data probabile delle prossime elezioni politiche e dunque prima della sigla di un accordo col centrosinistra. Ma, a parte il fatto che questa risposta dà per scontato che non si riuscirà a cacciare Berlusconi anticipatamente, non è forse evidente che l'orizzonte politico verso cui ci si muove -quello dell'accordo di governo- orienta già oggi tutto il nostro agire politico, aprendo gravissime contraddizioni?

Facciamo alcuni esempi.

a) il movimento contro la guerra si scontra -già oggi- con la proposta della Margherita di sostenere "una nuova" missione militare in Irak e contro la disponibilità dei Ds a una qualche nuova forma di accordo (o di astensioni incrociate) con il Polo su questo tema -come si è confermato anche con l'esibizione di una squallida "solidarietà tricolore" dell'Ulivo dopo l'attentato a Nassirya.

Domanda: possiamo efficacemente contrastare nel movimento le posizioni guerrafondaie dell'Ulivo e contemporaneamente proporre un orizzonte di governo comune con quello stesso Ulivo?

b) le lotte contro l'attacco del governo alle pensioni si scontrano -già oggi- con la disponibilità ulivista a sostenere in qualche forma (gradualità, accelerazione della Dini, ecc.) la richiesta confindustriale.

Domanda: possiamo difendere col movimento le pensioni e contemporaneamente prepararci a sostenere un futuro governo ulivista che completerà la cancellazione della previdenza pubblica?

c) il movimento e le lotte contro l'attacco del governo alla scuola pubblica si scontrano -già oggi- con l'impegno del possibile futuro governo ulivista a non rovesciare la controriforma Moratti.

Domanda: possiamo scendere in piazza contro la svendita della scuola pubblica completata dalla Moratti (ma iniziata da Berlinguer e De Mauro) e contemporaneamente dichiararci disponibili a sostenere un governo ulivista che continuerà lo smantellamento dell'Istruzione pubblica proseguendo il lavoro della Moratti?

d) la nuova generazione che è scesa nelle piazze in questi anni (cancellando con la propria voglia di lottare tutte le inutili dissertazioni sociologiche sul "deserto sociale" e sulla "traversata del deserto" che abbiamo dovuto sorbirci fino all'altro ieri) discute -e così i Giovani Comunisti- sulla prospettiva di queste lotte (v. su questo l'articolo di Fabiana Stefanoni nelle pagine interne). Margherita e maggioranza Ds chiedono al nostro partito di contribuire all’integrazione subalterna dei movimenti alla prospettiva di alternanza borghese.

Domanda: possiamo pensare di rilanciare i movimenti e contemporaneamente prepararci ad un’alleanza di governo con chi ha represso e negato le istanze profonde dei movimenti stessi? con chi oggi contrappone alla richiesta di “un altro mondo possibile” il rilancio di un programma di liberalizzazioni e privatizzazioni, di razionalizzazione della precarizzazione del lavoro?

In altre parole, come appare evidente da tutti i punti di vista: o scriviamo un programma di governo con i liberali o definiamo una piattaforma per cacciare Berlusconi, per costruire l'unità di classe e sconfiggere le politiche dei liberali. Fare le due cose insieme non è possibile: l’alternativa è tra l’autonomia di classe delle lotte e la coalizione col padronato; tra la costruzione, nelle lotte, dei rapporti di forza per costruire una prospettiva di classe ("un altro mondo possibile") e mettersi al servizio di un Prodi bis.

 

 

A sostegno della "svolta" solo argomenti traballanti

 

Gli argomenti che vengono portati di volta in volta, a sostegno della "svolta" verso il governo rinsecchiscono quotidianamente come foglie d'autunno con l'avanzare della stagione politica. Si prendano dichiarazioni come questa: "[vediamo] entrare nell'agenda delle forze del centrosinistra le questioni ribadite in tutti questi anni, a partire dalla critica al neoliberismo." E’ la frase di un'intervista (su Liberazione) di Franco Giordano in cui si riferisce del primo vertice delle "opposizioni". Non è roba di anni fa: è del 25 settembre. Il titolo (sembra una cattiveria ricordarlo ora) era: "Siamo partiti col piede giusto".

Domanda: il compagno Giordano o altri si sentirebbero di ripetere queste affermazioni dopo le dichiarazioni che Fassino, D'Alema, Rutelli, e Prodi elargiscono con gargantuesca abbondanza su pensioni, Irak, gabbie salariali, scuola, fisco, ecc.? Come ha brillantemente sintetizzato in un editoriale su Liberazione (23/10) la compagna Ritanna Armeni: "Il risultato dell'addizione di queste dichiarazioni è piuttosto preoccupante. la cosiddetta opposizione 'riformista' dichiara che se andrà al governo farà più o meno quello che sta facendo il governo Berlusconi." Appunto!

In ogni dibattito di questi giorni nel partito chi ha l'onere della replica conclusiva è costretto a rifugiarsi dietro argomenti buoni per tutte le stagioni. I più sentiti sono:

a) "bisogna battere le destre". Argomento per cui valgono le risposte già date dal Prc a Cossutta quando agitava questo "ricatto" per giustificare il sostegno a Prodi e ai due governi D'Alema: se non si battono le politiche liberiste, la destra, anche se momentaneamente sconfitta alle elezioni, vincerà di nuovo. La prova dei fatti ha dimostrato che le cose stavano appunto così, infatti governa un Berlusconi II.

b) "la gente ci chiede unità e una prospettiva per il dopo Berlusconi: non possiamo non interloquire con questo sentimento, non ci capirebbero".

E' vero che c'è questa richiesta tra larghi settori (anche se non nei settori più avanzati del movimento, dove viceversa c'è grande diffidenza). Ma questa richiesta -sbagliata- c'è perché noi l'abbiamo alimentata negli anni scorsi non presentandoci come l'embrione di una direzione di massa alternativa, legittimando l'idea che al massimo il Prc può aspirare a pungolare, condizionare, contaminare il centrosinistra. E questa richiesta continuerà ad esserci finché non invertiremo questo processo, dimostrando nel vivo delle lotte che è mal riposta ogni speranza nella riformabilità delle politiche dei liberali.

c) "noi non vogliamo andare da soli al confronto con l'Ulivo: è un confronto a più voci, in cui altri (settori dei movimenti, pezzi dell'Ulivo) condividono alcune nostre posizioni".

Domanda: non è un argomento che utilizzammo anche all'epoca del sostegno al governo Prodi? Anche allora si diceva: "la forza combinata nostra e dei movimenti condizionerà il governo". Il risultato lo conosciamo: il sostegno al governo non solo comportò il nostro appoggio a misure che rovesciavano le istanze più elementari dei movimenti (valga per tutte il voto al "pacchetto Treu") ma portò al riflusso di ogni movimento, al più basso numero di ore di sciopero degli ultimi decenni e a quella "pace sociale" che i liberali dell'Ulivo ancora esibiscono al padronato come la riprova che loro sanno governare meglio gli interessi della borghesia di quanto non sappia fare Berlusconi. Peraltro -sia detto per inciso- il motivo vero per cui i liberali vogliono il Prc mani e piedi all'interno del prossimo governo, con tanto di ministri (e giuramento di fedeltà per l'intera legislatura), è esattamente questo: rimuovere ogni sponda politica all'opposizione sociale, disarmare preventivamente ogni reazione di fronte all'attacco anti-operaio che sferreranno.

 

 

A proposito di cuoche, budini e governi

 

Quando tutti gli argomenti sono stati provati e hanno provato la loro inefficacia, l'ultima risorsa di qualche dirigente è quella di fare appello a un certo empirismo. Si dice: proviamoci comunque, facciamo "la prova del budino" (come si è scritto su Liberazione): cioè lasciamo perdere i dubbi e infiliamo il cucchiaino nel dolce (nella triste fattispecie il budino ha la faccia di Prodi).

Domanda: possiamo ricordare che la "prova del budino" il movimento operaio l'ha già fatta alcune migliaia di volte? Marx (nella Critica al programma di Gotha) scriveva che la posizione da battere era quella di chi sosteneva "invece di opposizione politica decisa, mediazione generale [coi liberali]; invece della lotta contro il governo e la borghesia, il tentativo di conquistarli e di convincerli." Riteneva -centotrenta anni fa!- che fosse preferibile non assaggiare più quel budino. L'intera esperienza storica successiva ha confermato a negativo e a positivo -sfidiamo chiunque a citare anche una sola eccezione- il postulato fondamentale del marxismo: il budino dei governi liberali è avvelenato. Peraltro le stesse vicende di cronaca degli ultimi dieci anni hanno portato nuove conferme. Basti citare l'esperienza di Jospin in Francia (un tempo modello di riferimento del nostro partito); o appunto l'esperienza di Prodi (cui abbiamo partecipato direttamente) o, arrivando all'oggi, l'esperienza di Lula in Brasile, su cui anche i più entusiasti estimatori di qualche mese fa oggi scantonano.

 

La compagna Sentinelli, in un articolo su Liberazione, citando Lenin ci spiegava che i comunisti sono nati "perché anche la cuoca potesse dirigere lo Stato" e pertanto non dobbiamo essere contrari in assoluto alla partecipazione al governo. Ha ragione. Ma -se abbiamo capito bene quello che intendeva dire Lenin- secondo il dirigente di quell'opposizione di principio ai governi liberali nel '17 (a fronte persino della destra golpista del generale Kornilov) che liberò la strada a un governo operaio, la cuoca avrebbe dovuto sedere in un governo di alternativa di classe, tra Lenin e Trotsky... non in un governo d'alternanza, tra Romano Prodi e Clemente Mastella.

 

(14 novembre 2003)