I
Giovani comunisti al Forum sociale europeo di Firenze: Quanto il capitale teme
la “global tv”.
di Fabiana Stefanoni (*)
“Alla
attività sociale deve subentrare la loro attività inventiva personale, alle
condizioni storiche dell’emancipazione del proletariato devono subentrare
condizioni immaginarie” (K. Marx, F. Engels, Manifesto del Partito comunista; in riferimento a socialisti e
comunisti utopisti)
I Giovani comunisti – o
movimento dei disobbedienti, ché ormai è la stessa cosa – hanno deciso di
partecipare al Forum sociale europeo all’insegna della “guerriglia
comunicativa”. Infatti, lo spazio sul quale hanno inteso convogliare le
energie è il cosiddetto “nOWorkNoShOp”, avente il proprio momento centrale
nella sperimentazione di una “Global TV”. Come esplicitato in un comunicato
apparso sul sito ufficiale del partito, si tratta di una “TV satellitare (...)
che tenterà di attivare una nuova frontiera della comunicazione
indipendente”.
Nulla di nuovo, verrebbe da
dire. Come al solito, la maggioranza dirigente dei Giovani comunisti trascura le
principali urgenze messe in campo dal riesplodere del conflitto sociale per
dedicarsi ad illusorie priorità “massmediatiche”. Come al solito, si
rimuove la necessità di inserirsi nelle lotte – in ogni piega della protesta
sociale – con l’obiettivo di offrire uno sbocco anticapitalistico alle
stesse. Più in generale, come sempre, non ci si pone il problema di costruire
una direzione rivoluzionaria,
alternativa a quelle riformiste attualmente egemoni, che subordinano i movimenti
a compatibilità capitalistiche. Non un cenno, nei comunicati dei Giovani
comunisti disobbedienti, allo sciopero generale e alle poderose manifestazioni
di massa che l’hanno accompagnato; alle immense responsabilità della Cgil
nell’operare un contenimento delle potenzialità esplosive del movimento dei
lavoratori; alla vicenda Fiat e alla protesta operaia che l’ha segnata, che
richiamano la necessità di porre, senza esitazioni, la parola d’ordine della
nazionalizzazione senza indennizzo e sotto il controllo dei lavoratori; nessun
cenno infine – e questo è l’aspetto sicuramente più grottesco – alla
possibilità di dare uno sbocco e una prospettiva allo stesso movimento
antiglobalizzazione.
Si tratta, apparentemente, di un
paradosso: da un lato, si esalta e quasi venera il “movimento dei
movimenti”, dall’altro lato ci si ostina nel non voler valorizzarne le
potenzialità antisistemiche. Il paradosso è, tuttavia, solo apparente: il
concetto stesso di “disobbedienza”, civile o sociale che dir si voglia,
implica una totale rimozione del problema della transizione rivoluzionaria.
Guardiamo, infatti, ai già
citati comunicati dei GC, senza lasciarci fuorviare – ma è dura! – dalla chiusa degli stessi (“Da un luogo
imprecisato Anno secondo della GuerraGlobalePermanente Movimento delle e dei
disobbedienti”): non si tratta della pubblicità di un videogioco, ma di un
vero e proprio manifesto politico di una delle tante incarnazioni del
neoriformismo. Nell’ultimo di questi comunicati si legge: “Davanti alla TV
che usa il vissuto come forma subdola e pericolosa di controllo più volte
abbiamo moltiplicato i nostri occhi per rendere visibile chi come noi apre brecce, crea degli squarci nelle maglie del dominio”. La
logica che sottende ad affermazioni di questo tipo è tristemente evidente:
l’agire politico inizia e finisce nell’atto eclatante – l’atto di
disobbedienza, appunto –, pago di se stesso in quanto già libero
dall’oppressione del capitale nel momento stesso in cui si esprime. Superfluo
affaticarsi nella costruzione di un partito rivoluzionario ai fini della presa
del potere: fatiche inutili, agli occhi dei disobbedienti e dei loro teorici,
nell’“era postindustriale” (o “postfordista” o “postmoderna” o
“post capitalistica” e chi più ne ha più ne metta...). “È il momento di
riappropriarci dei mezzi di produzione della comunicazione globale”, recita
poco più oltre lo stesso comunicato. E non ci si lasci ingannare dalle parole:
la “riappropriazione” non ha nulla a che fare con la socializzazione dei
mezzi di produzione di marxiana memoria. Porsi quest’ultima come obiettivo,
infatti, implicherebbe una serie di passaggi che i giovani disobbedienti non
hanno alcuna intenzione d’intraprendere, come la lotta per rovesciare lo Stato
borghese, la presa del potere da parte del proletariato, la costruzione di un
potere dei lavoratori. Macché! Riappropriazione per l'attuale gruppo dirigente
dei GC significa solo aprirsi un proprio spazio nel sistema comunicativo odierno
– con regolare utilizzazione di canali satellitari, magazine ed altri
strumenti affini – facendo passare per “canali convenzionali” materiale
relativo al vasto mondo delle “nuove soggettività antagoniste”. Il guaio è
che si vuole far credere che costruirsi questo innocuo spazio di visibilità
significhi dar vita ad una piccola isola di comunismo, ad un luogo (o “non
luogo”) liberato dalle logiche del profitto, senza scomodare la lotta di
classe, senza mettere in discussione il sistema capitalistico nel suo complesso
e, quindi, senza porsi il problema della transizione rivoluzionaria. In altre
parole, i Giovani comunisti disobbedienti mostrano di tenere in spregio la
lezione del vecchio Marx, che scriveva nella Critica al programma di Gotha: “Tra la società capitalistica e la
società comunista vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria
dell’una nell’altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico
transitorio in cui lo stato non può essere altro che dittatura
rivoluzionaria del
proletariato”.
Il comunismo qui e subito, in un
piccolo perimetro: questo invece, di contro alle indicazioni marxiane, potrebbe
essere lo slogan dei Giovani comunisti disobbedienti. Ma su cosa si fonda questa
mistificazione tanto in voga tra i Giovani comunisti di maggioranza e destinata
a tradursi in una misera illusione (per non dire allucinazione)? Penso che le
ragioni siano da ascriversi fondamentalmente a due fattori: da un lato, una
serie di suggestioni negriane; da un altro lato, ragioni di opportunità
politica.
Per quanto riguarda il primo
aspetto, il fatto che si concentri l'attenzione sul mondo delle
telecomunicazioni non è affatto casuale. Evidente è l’eco di elementi
dell’analisi di Antonio Negri, ardito sostenitore di una “tendenza generale
verso la costituzione del lavoro immateriale”: uno dei fattori cardine di tale
tendenza sarebbe appunto la diffusione delle telecomunicazioni. Da qui, l’idea
che i nuovi soggetti rivoluzionari siano rintracciabili nel mondo del lavoro
intellettuale e del sistema “telecomunicativo”. Soggetti rivoluzionari –
intendiamoci! – in quanto in grado di costruire il comunismo (?) semplicemente
“attivandosi in maniera autonoma e imprenditoriale”... (cfr. A. Negri, L’inverno
è finito). E il gruppo dirigente nazionale dei Giovani comunisti sembra
aver preso alla lettera queste bizzarre indicazioni, nonché aver fatto propria
la convinzione che per sconfiggere il capitalismo (preferibilmente chiamato
“Impero globale”) basti “l’autovalorizzazione dell’umano” di
francescana memoria, (A. Negri, M. Hardt, Empire),
magari attraverso un Global TV...
Insomma, l’“altro mondo
possibile” a portata di mano, qui vicino e praticamente già presente:
restano, ovviamente, al loro posto capitalisti, finanzieri, bottegai e
governanti.
Vi sono poi, come ho detto,
ragioni di opportunità politica che s’intersecano con gli approcci
disobbedienti dei GC. In poche parole, le illusioni dei giovani non mettono in
discussione le politiche di pressione sul centrosinistra dell’attuale
dirigenza del Prc; anzi, sono ad esse in qualche modo funzionali. Mentre i
Giovani comunisti si illudono di inceppare chissà quali meccanismi dello
sfruttamento autogestendo uno spazio comunicativo, la dirigenza del Partito può
tranquillamente tessere le trame di future alleanze di governo col
centrosinistra. Non solo: l’assoluto adattamento dell'organizzazione giovanile
al linguaggio della disobbedienza permette al partito di mantenere un rapporto
privilegiato con le anime moderate del movimento, la qual cosa è sicuramente
utile ai fini di una ricontrattazione con le forze dell’Ulivo.
In ultima istanza, il destino
della disobbedienza è, al di là delle illusioni, un futuro governo di
centrosinistra, rappresentante privilegiato di settori consistenti del padronato
italiano: la presunta radicalità dell’atto disobbediente si tramuta
inevitabilmente in una illusione pericolosa, poiché incapace di sottrarsi agli
interessi della borghesia.
(*) del Coordinamento nazionale
dei Giovani comunisti