Sanità:
dalle mutue alle... mutue.
di Antonino Marceca
Come diversi servizi
precedentemente a gestione pubblica, anche il Sistema Sanitario Nazionale, nel
quadro del progressivo smantellamento dello "stato sociale", subisce
un processo di privatizzazione e di esternalizzazione dei servizi.
Un processo determinato dalla
necessità di aprire nuovi terreni di valorizzazione ai capitali in crisi di
sovrapproduzione.
Nella Sanità il processo di
privatizzazione inizia sul piano nazionale nei primi anni Novanta con le norme
di modifica della legge 833 del 1978 istitutiva del Sistema Sanitario Nazionale.
Quest'ultimo doveva basarsi sul principio della copertura sanitaria universale
indipendentemente dal reddito, superando il precedente sistema basato sulle
mutue caratterizzato viceversa dalla differenziazione delle prestazioni
sanitarie per categorie economiche e sociali, un sistema quello mutualistico
inefficace dal punto di vista sanitario ed inefficiente dal punto di vista
economico.
Altro principio cardine della
legge 833 era che la "salute" è un concetto complesso non
riconducibile alla semplice assenza di malattia, per cui non era sufficiente il
modello di copertura assicurativa mutualistico con al centro la diagnosi e la
terapia, ma era necessario assicurare la prevenzione e la riabilitazione. Quindi
una Sanità fatta di prevenzione, cura e riabilitazione mentre prima era
prevista soltanto la cura, con al centro l'ospedale. All'inizio degli anni '80
venivano quindi istituiti le USL che comprendevano oltre agli ospedali i servizi
territoriali di prevenzione.
Ma questi principi rimanevano
sospesi in presenza di forti interessi sia delle industrie farmaceutiche che
delle industrie fornitrici di apparecchiature diagnostiche, i quali orientano la
politica sociosanitaria e la ricerca biomedica per i loro profitti e non
certamente per il miglioramento della salute della popolazione e in particolare
dei lavoratori. Tra l'altro a questi settori del capitale fanno riferimento sia
la burocrazia sanitaria statale che la corporazione medica, fermo restando la
difesa dei propri interessi parassitari. Il momento preventivo comunque non è
mai realmente decollato né nei luoghi di lavoro (pensiamo per esempio alle
morti bianche al Petrolchimico di Marghera) né per la popolazione, considerata
l'insufficienza di approfonditi studi epidemiologici, mentre il personale dei
servizi di prevenzione viene impiegato in attività inutili come il rilascio e
rinnovo dei libretti di idoneità sanitaria per alimentaristi o per le attività
di polizia mortuaria (punture conservative e certificati necroscopici). Infine
una grossa fetta di assistenza sanitaria continuava a venire effettuata nelle
strutture sanitarie private convenzionate (ospedali, poliambulatori, laboratori
diagnostici, etc); per le stesse strutture private la recente normativa prevede
l'accreditamento, parificandole alle strutture pubbliche.
Solo un piccolo passo quindi che
non risolveva e non poteva risolvere la crisi della medicina, cioè la sua
crescente incapacità a soddisfare il bisogno di salute, dentro un sistema
economico che considera i lavoratori una merce, la merce forza-lavoro, fonte di
ogni profitto. Un passo avanti nel diritto alla salute conquistato con dure
lotte operaie e popolari negli anni '60 e '70.
Il processo di progressivo
smantellamento del Sistema Sanitario inizia nel '92-'93 con il ministro liberale
De Lorenzo e il D.lgs. 502 del 1992 che trasforma le Unità sanitarie in aziende
condotte da manager nominati dall'Assessorato regionale alla Sanità, con
l'obiettivo del contenimento della spesa, del pareggio di bilancio.
Saranno questi manager, gli
Amministratori straordinari prima e i Direttori Generali delle AUSL dopo, che
nominano i Dirigenti di Struttura, complessa e semplice (ex primari), i quali
nella gestione delle strutture e servizi sono vincolati al rispetto del bilancio
aziendale e né rispondono al Direttore generale, col quale intrattengono un
rapporto fiduciario, la perdita del quale comporta la retrocessione nella scala
gerarchica. Contemporaneamente vengono moltiplicati i livelli gerarchici in
tutto il personale dipendente (medico, infermieristico, tecnico e
amministrativo) con la conseguente differenziazione economica.
Con il D.Lgs. 229 del '99,
ministro Bindi (centrosinistra), ormai di fatto dentro un quadro di mercato di
prestazioni sanitarie, vengono istituiti i "fondi integrativi"
(aziendali, associazioni, sindacali) per i rimborsi delle cure sanitarie. La
stessa norma in coerenza con una logica aziendale, contro altre aziende
concorrenti, prevede il rapporto di dipendenza esclusivo con la AUSL per i
medici dirigenti di strutture complesse e semplici (ex primari), pena la perdita
della direzione di struttura, fermo restando la possibilità per essi di
continuare a svolgere l'attività privata intramoenia.
Con la aziendalizzazione quindi
si verifica un vero e proprio capovolgimento dei principi ispiratori della legge
833 del '78, viene creato un mercato delle prestazioni sanitarie a cui il
cittadino divenuto cliente si rivolge in base al proprio reddito, ritornano al
centro le prestazione di diagnosi e cura differenziate in base al costo per
clienti paganti (camere differenziati negli ospedali, visite specialistiche
differenziate), mentre tende a scomparire il momento preventivo e riabilitativo.
Il ministro della salute Sirchia
in questo anno e mezzo di legislatura, attraverso atti successivi, ha
approfondito e reso più chiaro il quadro generale dato dal mercato dei bisogni
sociosanitari. L'elenco già rappresenta un percorso: ha trasformato gli
Istituti Clinici di Ricerca in Fondazioni, dove già può investire il capitale
privato, nella prospettiva di trasformarle in S.p.A.; ha separato gli ospedali
dai servizi territoriali delle AUSL nella prospettiva di permettere l'ingresso
di capitali privati; ha liberalizzato il rapporto di lavoro dei responsabili di
strutture complesse e semplici (ex primari) e dei professori universitari
permettendogli di lavorare contemporaneamente nelle strutture pubbliche e
private che, congiuntamente all'attività privata intramoenia, determinano
l'allungamento delle liste di attesa nelle strutture pubbliche sia per le visite
specialistiche che per gli interventi, con conseguente dirottamento dei
pazienti/clienti nelle strutture private; ha infine proposto l'introduzione in
via sperimentale delle mutue integrative e/o sostitutive.
Questo processo è ulteriormente
accelerato dal federalismo fiscale, vediamone quindi gli effetti moltiplicatori
sulla strada della privatizzazione.
Il federalismo fiscale in Sanità
inizia con la legge 502 del '92 che prevedeva una duplice modalità di
finanziamento del servizio sanitario da parte delle Regioni: i contributi
sanitari (dei lavoratori, dei liberi professionisti e delle aziende) e la
partecipazione della Regione al Fondo Sanitario Nazionale (FSN). La percentuale
di incidenza tra le due fonti di finanziamento, contributi sanitari e
partecipazione al FSN, era direttamente correlato con lo sviluppo economico
diseguale delle Regioni del paese (la Calabria riceveva il 35% di contributi
sanitari e il 65% di partecipazione al FSN, viceversa la Lombardia
rispettivamente il 73% e il 27%).
Il Federalismo fiscale
introdotto dal governo di centrosinistra con il D.lgs 56 del 2000 non ha fatto
altro che sostituire rispettivamente i contributi sanitari con l'Irap (Imposta
regionale sulle attività produttive), l'addizionale Irpef, l'accisa sulla
benzina (8 lire per ogni litro venduto) mentre la partecipazione al FSN è
sostituita con parte del gettito nazionale dell'IVA, ma con l'aggravante che a
partire da quest'anno fino al 2013 la partecipazione all'IVA scende ogni anno di
5 punti fino ad annullarsi, con la conseguenza che ogni Regione dovrà sempre più
finanziarsi il proprio sistema sanitario con tributi regionali.
Considerato l'ineguale sviluppo
economico delle Regioni si determineranno introiti di tributi destinati alla
Sanità quantitativamente diversificati tra Regione e Regione, con maggiore
penalizzazione delle Regioni meridionali. Il risultato non può che essere una
frammentazione del sistema sanitario in ventuno diversi sistemi, fortemente
diversificati per qualità e prestazioni.
Mentre già si verifica un
progressivo abbassamento dei "livelli essenziali di assistenza" per i
lavoratori e le masse popolari dell'intero paese. Gli effetti non tardano ad
arrivare infatti nelle norme che le Regioni stanno predisponendo per la
riorganizzazione delle schede ospedaliere emerge il taglio dei posti letto e la
chiusura di diversi ospedali
pubblici cosiddetti periferici, senza tenere conto dei bisogni della popolazione
e delle caratteristiche del territorio, a questi tagli si somma l'imposizione di
ticket sui farmaci, sulla diagnostica e sulla specialistica, mentre viene
favorita la Sanità privata e il suo indotto, a cui vengono assegnati nuovi
posti letto e servizi specialistici. Questo dopo aver già operato
l'allargamento territoriale delle AUSL, la chiusura di poliambulatori e la
drastica riduzione dei distretti socio-sanitari.
Gli stessi lavoratori della
Sanità subiranno, a meno che il processo non venga fortemente contrastato, una
differenziazione regionale di paghe e diritti e in prospettiva la fine stessa
del contratto collettivo nazionale di lavoro. Mentre continuano a peggiorare le
condizioni di lavoro (blocco delle assunzioni e tagli del personale, aumento dei
straordinari e dei ritmi, allungamento e flessibilizzazione degli orari,
precarizzazione dei nuovi assunti) e perdita del potere di acquisto degli
stipendi. Ed è appunto sugli stipendi e in particolare sul salario accessorio
che si approfondisce la gerarchizzazione e la divisione all'interno dei
lavoratori attraverso il sistema della "pagella", un sistema in mano
alla gerarchia dirigenziale di struttura che dovrebbero misurare con criteri
"oggettivi" (assenze, malattie, ritardi, tempi di svolgimento delle
diverse mansioni, partecipazione a corsi di formazione) il livello di adesione
del singolo lavoratore alla logica aziendale e la sua disponibilità al
raggiungimento degli obiettivi fissati dall'azienda, posizioni queste condivise
e fatti propri dai sindacati del comparto. In un settore a stragrande
maggioranza Cisl e Uil e con la stessa Cgil
su posizioni concertative come ha dimostrato la firma congiunta dell'accordo del
4 febbraio 2002. Ma a fare da sponda ai propositi del ministro Sirchia è
l'inserimento nella piattaforma per il rinnovo del contratto da parte della Cisl
della richiesta di estendere la libera professione a tutti gli operatori della
Sanità, è chiaro che pochi saranno gli infermieri che materialmente potranno
avvalersi della libera professione specie quelli che svolgono un duro lavoro nei
reparti, ma la proposta serve a dividere i lavoratori e a giustificare una
richiesta irrisoria di aumenti salariali, certamente al di sotto dell'inflazione
reale, mentre passa il disegno politico complessivo.
Questo disegno politico deve
essere fortemente contrastato da un'altra politica sindacale, di classe, che
rompa con le politiche concertative di questi anni, in questo senso un ruolo
particolarmente importante spetta ai militanti comunisti impegnati nel
sindacato, nella Cgil come nel sindacalismo di base. Una politica sindacale che
contrasti i processi in atto di privatizzazione ed esternalizzazione dei servizi
pubblici compresa la Sanità e quindi il mercato delle prestazioni sanitarie;
che a partire dalle lotte popolari contro i ticket, le chiusure degli ospedali e
dei servizi rilanci una politica della salute realmente complessiva riportando
al centro la prevenzione e la riabilitazione. Considerata la relazione diretta
tra le condizioni di lavoro del personale sanitario e l'efficacia
dell'intervento sanitario (infatti la riduzione degli infortuni per gli
operatori sanitari e del rischio di errore per i pazienti è strettamente
correlato alle condizioni di lavoro del personale), tale relazione deve essere
assunta quale base programmatica per un raccordo sempre più urgente tra i
lavoratori della Sanità e le masse
popolari nella difesa del sistema sanitario pubblico, fino a porre, come
rivendicazione transitoria il controllo dei lavoratori sul sistema sanitario nel
suo complesso, sugli orientamenti della ricerca biomedica e tecnologica.
Le condizioni di lavoro si
difendono solo se si sviluppa un netto contrasto delle politiche di
frammentazione e moltiplicazione dei livelli degli operatori sanitari, della
flessibilità e della precarietà per i nuovi assunti, rilanciando la lotta per
nuove assunzioni e per la stabilizzazione dei precari. La difesa delle
condizioni di lavoro deve essere connessa ad una politica salariale unificante
ed adeguata all'inflazione reale. L'attività privata, intra ed extramoenia, sia
del personale medico in particolare che sanitario in generale, deve essere
contrastata, essendo una delle cause assieme ad altre tra cui il blocco delle
assunzioni dell'allungamento delle liste di attesa, aprendo in connessione con
le lotte popolari una campagna per l'azzeramento delle liste di attesa e per lo
sblocco delle assunzioni.
Fermo restando la difesa del
sistema sanitario pubblico contro i processi di privatizzazione ed
esternalizzazione è necessaria l'organizzazione dei lavoratori della Sanità
del settore privato evitando contrapposizioni e divisioni tra lavoratori.
I lavoratori della Sanità privata devono essere garantiti nei loro diritti sindacali e salariali, dentro una prospettiva contrattuale unica di tutti i lavoratori della Sanità, fino a porre, in particolare nei casi di ristrutturazione la nazionalizzazione sotto controllo dei lavoratori di tutta la Sanità pubblica e privata.