Nazionalizzare il gruppo FIAT: senza indennizzo e sotto controllo dei lavoratori

 

di Franco Grisolia

 

 

Dopo aver goduto per decenni di enormi finanziamenti e agevolazione da parte di tutti i governi che si sono succeduti alla testa del nostro Paese, con la connivenza di tutta la "sinistra" istituzionale (si veda la "rottamazione" varata dal governo Prodi nel 1997), il gruppo FIAT proclama lo stato di crisi e prepara una drastica e drammatica ristrutturazione con migliaia di "esuberi".

Questa crisi è il prodotto di due fattori: una crisi generale del capitalismo e in particolare del settore, un tempo trainante, dell'automobile (di cui il calo dei titoli in Borsa è espressione evidente); e gli errori di gestione specifica degli Agnelli e dei loro arroganti "managers". Ma mentre costoro restano al loro posto o vengono liquidati con buonuscite stratosferiche da decine di milioni di euro, il costo della crisi generale e delle incapacità particolari viene fatto ricadere sulle incolpevoli spalle degli operai e impiegati della FIAT. Questi arroganti padroni che con vergognosa prosopopea raccomandavano e raccomandano "sacrifici" mentre vivono nel lusso sfrenato e manovrano miliardi come noccioline, magari per giocarli nella grande roulette della borsa, non si preoccupano minimamente di mettere sul lastrico decine di migliaia di famiglie di coloro che hanno sfruttato per decenni e che sono stati, col loro lavoro, la fonte unica della loro ricchezza.

La risposta dei lavoratori deve essere netta e senza tentennamenti nei confronti di questi cialtroni criminali. La forza della classe operaia può battere i padroni della FIAT. Ma è necessario che essa si sviluppi con coerenza e con gli strumenti adeguati. Già in una occasione, nel lontano 1980, una grande lotta dei lavoratori FIAT contro un processo di ristrutturazione, fu sconfitta perché tradita dalle proprie direzioni, sindacali e politiche. Anche quest'ultime, nonostante alcune demagogiche e menzognere prese di posizioni a cui furono obbligate di fronte ai lavoratori, fecero di tutto (come ha ricordato più volte l'attuale segretario dei DS Piero Fassino, allora responsabile fabbriche del PCI a Torino) per impedire la radicalizzazione della lotta e soprattutto l'adozione da parte dei lavoratori dello strumento migliore per vincere: l'occupazione delle aziende.

Infatti è questo lo strumento d'azione operaia che i padroni temono di più. Lo ricordava, rispetto allo scontro del 1980, l'allora amministratore delegato della FIAT, Cesare Romiti, in un suo libro del 1988 Questi anni alla FIAT. Infatti l'occupazione delle aziende porta lo scontro al massimo livello, perché oltre a bloccare ogni forma di produzione, mette in questione il potere padronale e il suo "sacrosanto" diritto di proprietà e di gestione.

Di fronte alla gravità dell'attacco oggi portato è necessario non solo realizzare da subito lo sciopero a tempo indeterminato del gruppo FIAT, ma passare all'occupazione di tutte le aziende del gruppo. Non solo di quelle oggi immediatamente minacciate di chiusura ma anche delle altre. Ne va del destino dei lavoratori FIAT e dell'indotto, delle loro famiglie, delle loro città e quartieri; ma anche più in generale dei rapporti di forza tra il movimento operaio e il padronato nel loro complesso. Se la FIAT vince perdono tutti lavoratori italiani, se essa viene sconfitta vincono tutti i lavoratori.

Su questa basi è necessario poi passare a forme di mobilitazione dell'intero mondo del lavoro, compreso uno sciopero generale di sostegno ai lavoratori FIAT, che può e deve intrecciarsi con le lotte per i vari contratti, per i diritti e con una vertenza generale su salario, diritti, salario ai disoccupati e stato sociale. Sull'insieme di queste proposte è necessario chiamare a rispondere le direzioni del movimento sindacale, in particolare quelle che oggi si dichiarano sostenitrici coerenti degli interessi dei lavoratori: la Cgil (e la sua sinistra interna, Lavoro e società), la Fiom e anche le forze della sinistra politica. Ciascuna di loro deve dichiarare apertamente la sua proposta di lotta per battere la FIAT.

Ma, ripetiamolo, il punto di partenza deve essere l'occupazione delle fabbriche.

L'obiettivo deve essere quello di respingere l'attacco della FIAT. Né un licenziamento, né un lavoratore in mobilità o in cassa integrazione.

Ma è necessaria dare anche una risposta complessiva e definitiva, dalla parte dei lavoratori, alla crisi FIAT. Questa risposta non può essere che la nazionalizzazione del gruppo. Come Progetto comunista siamo felici che il partito di cui rappresentiamo la sinistra marxista rivoluzionaria, cioè Rifondazione comunista, abbia ripreso questa parola d'ordine da noi avanzata da tempo. E' necessario però aggiungere che tale rivendicazione deve contemplare l'esproprio senza indennizzo (salvo ai piccolissimi azionisti). Gli Agnelli hanno già pompato dalla finanza pubblica (cioè in primo luogo dalle tasse su salari e stipendi) miliardi e miliardi, che hanno utilizzato solo per i propri interessi; e la loro ricchezza è solo il frutto dello sfruttamento di generazioni di lavoratori. Va indicata inoltre la necessità di porre l'azienda sotto controllo dei lavoratori, come condizione per una gestione positiva e per realizzare, senza alcuna riduzione di personale, né nelle aziende né nell'indotto, anzi con un possibile incremento occupazionale, le necessarie modifiche rispetto all'attuale gestione produttiva, in primo luogo verso lo sviluppo del trasporto collettivo e ambientalmente sostenibile.
La battaglia della FIAT è un momento centrale per tutto il mondo del lavoro e per l'insieme del movimento operaio. I padroni possono e devono essere battuti. Come militanti di Progetto comunista porteremo ovunque possibile il nostro sostegno e le nostre proposte a cominciare dalle aziende FIAT dove sono presenti nostri compagni, convinti della bontà e necessità di quanto indichiamo per il successo dei lavoratori.