La
crisi dell'Ulivo e i comunisti
Alternativa
di classe o rifondazione del centrosinistra?
di Marco Ferrando
La crisi cronica del centrosinistra è al centro dello
scenario nazionale. Intervenirvi è compito centrale dei comunisti: ma in una
logica anticapitalistica e non di posizionamento negoziale.
La crisi dell'Ulivo si è dispiegata in autunno lungo una
precisa dinamica di classe. Le difficoltà di Berlusconi con i poteri forti del
suo blocco sociale (Confindustria, Confcommercio, Bankitalia...) -difficoltà
alimentate dalla crisi capitalistica- hanno sospinto il centro dell'Ulivo ad una
più marcata ostentazione della propria natura borghese, col fine di ricomporre
attorno a sé l'insieme del blocco dominante.
Il sì alla spedizione in Afghanistan; il sì annunciato
ad una guerra in Irak targata ONU; l'opposizione "liberista" ad ogni
intervento pubblico nella proprietà FIAT; la critica aperta alla stessa Cgil
sullo sciopero "anti-unitario" del 18 ottobre; il rifiuto di
partecipare all'enorme manifestazione noglobal di Firenze, hanno rappresentato,
su piani diversi, un unico messaggio alla borghesia italiana: "il centro
dell'Ulivo è al tuo fianco e non si fa condizionare dai movimenti di massa. La
cultura di governo del centrosinistra merita il tuo investimento." Rutelli
e la Margherita hanno per primi confezionato il messaggio col noto voto agli
alpini. Ma perciò stesso hanno innescato la rincorsa concorrenziale, sul
medesimo terreno, di quella maggioranza dirigente dei Ds che da tempo si candida
a forza guida di un soggetto politico borghese "democratico" e non ha
alcuna intenzione di ripiegare verso il suo vecchio ruolo di socialdemocrazia.
Da qui l'accelerazione politica oggi dell'iniziativa dalemiana: marcare una
capacità di autonomia dalla Cgil, dai movimenti, dal loro insediamento sociale
per recuperare la posizione di testa di un futuro ricambio borghese di governo.
Ma questa dinamica si abbatte inevitabilmente sui Ds ed in
particolare sulle sue corpose tendenze interne socialdemocratiche (correntone).
Schiacciata tra l'affondo ulivista del centro borghese liberale e l'incalzante
pressione della propria base di massa, la "sinistra Ds" è più che
mai prigioniera della propria natura di socialdemocrazia e di tutte le sue
contraddizioni. Preserva le proprie relazioni di movimento ma al solo fine di
contenerlo. "Critica" la borghesia ma chieda il ritorno alla
concertazione. Si differenzia dal centro dell'Ulivo ma rivendica il
centrosinistra. Da ogni versante dunque priva l'opposizione di massa al
berlusconismo di una reale prospettiva di sbocco e la subordina all'opposizione
borghese liberale.
Liberare i movimenti da questa subordinazione è invece il
compito centrale dei comunisti. Giorno dopo giorno, ogni esperienza di lotta, da
ogni versante, pone l'esigenza della rottura col centro liberale e con tutte le
sue espressioni. La lotta incondizionata contro la guerra domanda la rottura con
chi è disponibile alla guerra. La lotta alla FIAT contro i licenziamenti
domanda la rottura con i sostenitori della FIAT. La lotta contro la
Confindustria e il padronato richiede la rottura con chi ne difende gli
"emendamenti" lobbysti, sin nelle pieghe della Finanziaria di
Berlusconi.
Per questo la sinistra Ds, a partire da Cofferati, e con
essa la direzione della Cgil, va chiamata pubblicamente ad una scelta chiara di
fronte alla sua base di massa: o mantenere la coalizione col centro borghese
dell'Ulivo e quindi preparare la sconfitta delle ragioni di massa a tutto
vantaggio di Berlusconi e padronato; oppure rompere apertamente e
definitivamente col centro liberale e quindi liberare le potenzialità
dell'opposizione di massa, trarre nell'azione tutti i movimenti, puntare alla
cacciata di Berlusconi per un'alternativa di società. O l'una o l'altra scelta:
tutte le direzioni di movimento vanno incalzate ad ogni passo su una proposta
pubblica di unità di classe e quindi di rottura con l'altra classe. Proprio una
campagna incalzante che rivendichi l'unità contro il governo nell'autonomia dai
liberali può mettere a nudo le contraddizioni della socialdemocrazia,
smascherare l'ambiguità del cofferatismo, preparare la direzione alternativa
del movimento operaio e dell'opposizione di massa, nell'interesse stesso delle
sue ragioni. Cos'è se non questa una politica di massa per l'egemonia?
Purtroppo la maggioranza dirigente del Prc preferisce
percorrere un'altra strada e un'altra prospettiva. "L'Ulivo è morto"
si dichiara. Benissimo. Ma la proposta? La proposta è quella di un'intesa
"tra sinistra alternativa e sinistra riformista" per "negoziare
insieme col centro moderato". In altri termini è una proposta di...
rifondazione del centrosinistra fuori dalla gabbia del vecchio Ulivo. E' una
proposta preoccupante per l'immediato e per il futuro. Invece di una lotta
aperta per l'egemonia alternativa nei movimenti di massa, una proposta di blocco
con Cofferati. Invece di una linea di rottura col centro borghese liberale, una
prospettiva di "negoziato" col centro, al fianco della
socialdemocrazia cofferatiana. E questo nel momento in cui Cofferati e la
direzione Cgil privano il movimento operaio di una reale prospettiva d'azione e
in cui il centro borghese liberale dell'Ulivo si prepara alla guerra e scarica
la Cgil.
Si ripropone così l'eterna coazione a ripetere della
politica maggioritaria del Prc. Ogni contraddizione e crisi del centrosinistra e
dei Ds, invece di essere assunta come leva di una battaglia di massa alternativa
mirata a dissolvere la loro influenza tra i lavoratori, è assunta come
occasione di una prospettiva negoziale "più avanzata" col
centrosinistra. Un gioco "politicista" in cui non solo si contraddice
una prospettiva anticapitalistica ma si mette a rischio lo stesso confine di
classe. A tutto danno dei lavoratori e del partito.
Questa linea va battuta nel partito e nell'avanguardia di
classe. La divaricazione di classe col centro liberale non è solo una proposta
centrale per il movimento operaio. Ma anche, nelle condizioni attuali, un
terreno centrale di battaglia nel Prc. Per dargli oggi una linea di massa
alternativa nei movimenti. Per salvarlo in prospettiva dal rischio mortale di
una nuova compromissione di governo.