Il
calamaro e l’inchiostro
di Alberto Airoldi
La sinistra ricerca disperatamente nuovi miti da spendere
sul mercato della politica d’immagine. Il dramma è che di questi tempi i miti
si usurano troppo rapidamente: dal Subcomandante Marcos alla Sinistra Plurale
Francese, passando per Porto Alegre. In nemmeno 10 anni il ‘’capitale’’
mitologico sperperato è enorme. Ecco oggi affacciarsi allo scenario politico
‘’la più grande vittoria elettorale delle sinistre latinoamericane’’,
quella di Lula in Brasile. L’esperienza cilena di Salvador Allende viene
opportunamente rimossa, per evitare di trarne delle scomode conclusioni.
Il prezzo della vittoria
Il 61,3% di Lula, a prima vista, indicherebbe un vero e
proprio trionfo del candidato del Partito dei Lavoratori (PT), al suo quarto
tentativo di vincere le elezioni presidenziali. Questo è sufficiente alle
variegate sinistre riformiste, movimentiste o (post)comuniste, per cantare
vittoria. Addirittura qualcuno ricicla la vecchia teoria ‘’campista’’,
ipotizzando un nuovo fronte anti-imperialista o non allineato, che andrebbe dal
Brasile alla Cina, passando per il Venezuela, l’India, Cuba e il Sudafrica.
Altri preferiscono ricordare Lula al Forum di Porto Alegre e teorizzano che la
sua vittoria sia dovuta anche alla sua apertura al Movimento dei movimenti.
Tutta questa cortina fumogena
non permette di vedere alcuni elementi inquietanti, che dovrebbero preoccupare
le stesse sinistre entusiaste. Anzitutto al successo di Lula corrispondono
alcuni insuccessi del PT nelle elezioni federali. Il più clamoroso è
l’insuccesso di Tarso Genro e della sua alleanza di sinistra. Il tanto
osannato ex sindaco di Porto Alegre, convinto di passare al primo turno nel suo
Stato, il Rio Grande do Sul, Genro si è trovato 5 punti dietro al candidato di
destra e al ballottaggio non ha superato il 48,5%. Evidentemente il bilancio
partecipativo e la partecipazione alla repressione poliziesca contro i Sem Terra
e i professori in sciopero non sono stati particolarmente apprezzati dagli
elettori. Inoltre è proprio in questo Stato che l’avversario di Lula, Serra,
ha raccolto la maggiore percentuale di voti al primo turno. Nello Stato di Rio
de Janeiro è andata anche peggio: il candidato del PT non è arrivato neppure
al ballottaggio. Complessivamente il PT elegge solo tre governatori in Stati
considerati di scarsa importanza (2 in meno della tornata precedente). E’ il
partito di maggioranza relativa alla camera e al senato, ma anche sommando tutti
i partiti della molto eterogenea coalizione pro Lula non arriva alla maggioranza
assoluta. I commentatori della sinistra nostrana traducono questa situazione in
termini politico-istituzionali sostenendo che Lula sarà molto condizionato
dalla necessità di trovare alleanze coi partiti del centro e della destra. In
realtà, però, le alleanze Lula le ha già trovate. Josè Alencar, imprenditore
di destra, appartenente al Partito Liberale, sarà il vice presidente. Una serie
di imprenditori, banchieri, oligarchi, gli hanno assicurato il loro appoggio:
Antonio Carlos de Magalhanes di Bahia e Josè Sarney del Maranhão, terra di
baronie feudali e di latifondo, Roberto Teixeira Costa, presidente della Camera
di Commercio Brasiliano-Nordamericana, l’ex candidato presidente
dell’oligarchia del Nord Est Ciro Gomes, l’ex candidato delle potenti e
reazionarie chiese Evangeliche Anthony Garotinho, entrambi sconfitti nel primo
turno, il network ‘’Globo’’ (giornali e TV), che da sempre lo aveva
avversato. Questo dimostra, una volta di più, che nessun candidato della classe
operaia può arrivare a governare senza l’appoggio della borghesia e del suo
apparato di consenso e di repressione, salvo in una situazione rivoluzionaria.
Il Brasile si trova in una situazione di sfascio economico e di forte crollo del
consenso verso il precedente governo, ma non certo in una fase rivoluzionaria.
Lula non viene imposto dall’ascesa delle lotte, che, anzi, sono molto più
contenute che in quasi tutti gli altri Paesi Latinoamericani, ma si impone
venendo a patti col FMI, con gli imprenditori e con gli oligarchi brasiliani e
facendosi ricostruire l’immagine da uno stratega pubblicitario di destra, a
uso e consumo delle classi medie.
Con un debito estero di circa
300 miliardi di $, un debito interno di 800 miliardi di Reais, un tasso
d’interesse del 19,75%, circa 35 miliardi all’anno da spendere in servizio
del debito interno ed estero, il Brasile è sulla strada dell’Argentina. Il
Real, un tempo cambiato a pari col dollaro, dalla fine del 1998 a oggi è
crollato a 4 per dollaro, la borsa di São Paulo ha perso il 62% del suo valore
nell’ultimo anno, l’inflazione è salita al 9%. Nell’agosto il FMI ha
concesso al Brasile il più ingente prestito della storia, 30 miliardi di $, che
sono stati subito utilizzati per pagare il servizio del debito. Nei prossimi
anni il Brasile dovrebbe destinare almeno il 55% della sua spesa a pagare il
servizio del debito. Per quanto concerne i capitali privati la Merril Lynch
sostiene che il 25% delle imprese brasiliane ha una grande probabilità di non
essere in grado di pagare i debiti in moneta straniera il prossimo anno. La
sospensione dei pagamenti della rete Globo è solo un primo esempio. A questa
bancarotta economica si aggiunge quella sociale: il Brasile è uno dei tre Paesi
al mondo con maggiore disuguaglianza nella distribuzione del reddito, il 45%
delle terre è nelle mani di un 1% di latifondisti, ci sono 12 milioni di
disoccupati e 54 milioni di persone affamate su 170 milioni di abitanti. Questa
è l’eredità lasciata da 8 anni di governo di Fernando Henrique Cardoso e del
suo Partito Socialdemocratico (PSDB), partito dell’Internazionale Socialista e
fautore della ‘’terza via’’.
Il programma di Lula ‘’per
un Brasile decente’’, l’impegno di garantire ‘’3 pasti al giorno a
tutti’’, le vaghe promesse di riforma agraria, che, secondo il leader dei
Sem Terra (MST) João Pedro Stedile, non sono differenti da quelle presentate
dagli altri candidati, si scontrano con la realtà di questa situazione. Non è
possibile costruire un Brasile decente accontentando i capitalisti brasiliani, i
vecchi oligarchi, il FMI, gli speculatori internazionali e gli USA che
arriveranno presto a contrattare il loro nefasto piano di integrazione
latinoamericana ALCA. Il piano di aggiustamento del FMI prevede ingenti tagli di
bilancio e licenziamenti di dipendenti pubblici (i cui salari, peraltro, sono
bloccati da prima della svalutazione del Real). L’alternativa, la moratoria,
il rifiuto di pagare il debito, è stata già esplicitamente esclusa. Il MST ha
presentato una lettera aperta nella quale si chiede un impegno per la riforma
agraria. La sinistra, che presa nel complesso conta il 30% del partito, fa
rilasciare ai suoi dirigenti dichiarazioni di responsabilità e di disponibilità
a partecipare al governo.
Lula rappresenta quindi
l’ultima carta che può essere giocata per cercare di governare questo
disastro. Egli può offrire il controllo sulle centrali sindacali, su gran parte
dei militanti politici e su una parte del MST. Il Rio Grande do Sul è l’unico
Stato nel quale, mediante un tavolo di concertazione, si sia riusciti a imporre
la tassazione delle pensioni. La carta Lula serve per prevenire le occupazioni
in massa delle terre (si è già espresso per una soluzione negoziata dei
problemi agrari) e la crescita di movimenti anticapitalisti radicali come i Piqueteros
argentini (che si stanno diffondendo anche in Uruguay). Una parte della
borghesia nazionale e anche diversi settori dell’esercito lo vedono come
l’unica chance per contrattare la propria presenza nell’ALCA e il proprio
ruolo nell’America Latina non da una posizione di totale subalternità. A lui
si chiede una certa fermezza nei confronti del capitale internazionale.
D’altra parte il capitale internazionale comprende che una crisi in stile
argentino in un Paese come il Brasile sarebbe una catastrofe, e quindi
preferisce trattare con una socialdemocrazia che addolcisca la cura del FMI. Gli
zuccherini per addolcire la medicina non sono in realtà molti, oltre allo
sperimentato bilancio partecipativo e alla cooptazione di associazioni, ONG,
ecc. nella gestione di programmi sociali.
Oggi sono diventati tutti ‘’lulisti’’: lo notava
Giuliano Ferrara in un programma con invitati Bertinotti, Tanzi, sottosegretario
di Berlusconi ed ex dirigente del FMI e una giornalista del giornale brasiliano
‘’O Globo’’. Tutti i presenti hanno dichiarato che avrebbero votato per
Lula.
Vi è infine chi ritiene che la
vittoria del PT, a causa delle speranze suscitate, potrà rappresentare uno
stimolo per i movimenti, che condurranno il nuovo governo su posizioni più
radicali. Questa è anche la posizione di Bertinotti, che pare ricalcare la
fallimentare analisi del 1996, quando vedeva la vittoria dell’Ulivo come un
forte potenziale per i movimenti e teorizzava il ‘’compromesso sociale
dinamico’’: una serie di riforme imposte dallo scontro sociale. La vicenda
italiana sappiamo com’è andata, non diversamente dalle vicende francesi di
Mitterand e di Jospin. Naturalmente la situazione brasiliana è molto
differente, ma il mandato per Lula è chiaro: controllare il conflitto sociale.
Il PT vuole evitare come la peste la situazione argentina, della quale non vede
(o teme) le potenzialità rivoluzionarie, ma solo il disastro economico e
sociale.
I partiti trotskysti hanno
presentato due candidature. Il PSTU ha candidato Zè Maria, un conosciuto leader
operaio che, tuttavia, ha raccolto solo uno 0,5%. Il PSTU mira a intercettare i
delusi del PT con una politica di sostegno critico al PT nel secondo turno,
sfidandolo a una rottura col FMI e con gli USA nelle trattative per l’ALCA. Il
PCO (che partecipa al Movimento per la Rifondazione della Quarta Internazionale)
ha presentato per la prima volta una propria candidatura, in chiara
contrapposizione alle altre, raccogliendo una piccola percentuale di voti,
proporzionata alle sue esigue forze. Nel ballottaggio non ha dato indicazione di
voto per il ‘’fronte popolare’’ lulista.
Lula, che in portoghese
significa calamaro, ha ampiamente sparso inchiostro attorno a sé, ma la gravità
della situazione non gli permetterà a lungo di mantenere compatto il suo fronte
popolare. Se, al contrario di quanto pensano i suoi sostenitori nostrani, le
ambiguità si scioglieranno nel senso di un tentativo di gestire le compatibilità
capitalistiche, allora si moltiplicheranno le potenzialità per creare una
sinistra rivoluzionaria. Non si tratta, però, di un passaggio scontato: il PCO
e il PSTU non sono paragonabili al PO argentino, l’uno per radicamento e
l’altro per scelte e programmi, il MST non è il movimento Piquetero e la
sinistra del PT, per ora, non pare per nulla intenzionata a dare una battaglia
intransigente.