Sintesi dell’intervento di Marco Ferrando al CPN del 30/31 ottobre 2004

 

Se l’intera relazione di Bertinotti deve spiegare che “il cuore del congresso non è il governo”, allora vuol dire che il governo è di fatto il cuore del congresso. Peraltro dopo una svolta di governo che ha messo il nostro partito davanti al fatto compiuto; dopo la proclamazione di una “Grande Alleanza democratica” con Prodi, Rutelli, D’Alema, senza neppure la parvenza di un programma comune, vi sarebbe da stupirsi se la prospettiva del governo non fosse al centro della discussione.

Sono il primo a riconoscere che questa trasformazione del PRC nella sinistra del centrosinistra ha oggi un suo spazio politico e sociale, a fronte della mutazione liberale della maggioranza DS e del mancato “partito di Cofferati”. Ma si tratta della vecchia riproposizione del compromesso sociale tra liberalismo e socialdemocrazia, tanto caro al Novecento: quello in cui i liberali, in rappresentanza dei poteri forti, guidano e segnano il governo e i ministri socialdemocratici portano in dote la rappresentanza e il controllo dei movimenti.

Dire che “il governo per noi è solo uno strumento dell’alternativa di società” non salva l’anima: significa ripetere quello che per un secolo han detto tutti gli esponenti del riformismo storico, a partire da Bernstein. Ma ciò che ha contato ogni volta non sono state le parole ma i fatti. E tutta l’esperienza storica dimostra che nessun governo coi liberali ha tracciato la via di un mondo nuovo. Questo è tanto più vero oggi, quando la crisi capitalistica e i nuovi equilibri mondiali privano il compromesso sociale di ogni spazio riformatore e di fatto lo trasformano in un compromesso controriformatore. Jospin, Lula, l’attuale governo indiano sono al riguardo emblematici.

Per di più, questa “grande alleanza democratica” col centro liberale dell’Ulivo non è oggi un’astratta petizione strategica ma la subordinazione a una concreta operazione di alternanza che la grande borghesia intraprende contro i movimenti. Se i liberali oggi ci offrono posti di governo è per privare i movimenti di un riferimento di opposizione, per corresponsabilizzare l’opposizione ai loro programmi contro le ragioni dei movimenti. L’argomento della necessità di un governo con Prodi “per cacciare Berlusconi” è falso e demagogico. Siamo i primi a rivendicare la cacciata di Berlusconi. Ma lo si vuole cacciare alla testa delle lotte dei lavoratori o alla coda di Prodi e dei banchieri contro i lavoratori? La verità è che la subalternità delle sinistre al Centro liberale e a Montezemolo finisce proprio col paralizzare l’opposizione di massa a Berlusconi, come si è visto nei mesi di giugno e luglio, dove nessuna indicazione di lotta è stata data contro un governo virtualmente morto col risultato di salvarlo. E ciò in subordine alla volontà del Centro ulivista di garantire a Berlusconi modi e tempi per completare il lavoro sporco contro pensioni e sanità, a vantaggio del futuro governo Prodi.

Il sostegno del PRC a un secondo governo Prodi distruggerebbe le ragioni sociali del nostro partito. È un esito che va scongiurato. È necessaria una proposta coerentemente alternativa che assuma il carattere irrinunciabile dell’opposizione comunista ad un governo liberale. Che si rivolga apertamente a tutte le forze del movimento operaio e dei movimenti per rivendicare l’unità di lotta contro Berlusconi, su una piattaforma di mobilitazione radicale e in funzione di un’alternativa di classe. Perché solo la lotta dall’opposizione per una vera alternativa anticapitalistica può difendere vecchie conquiste e strappare risultati. Ogni corresponsabilizzazione di governo distrugge vecchie conquiste e ne impedisce di nuove.

È l’esperienza degli ultimi venti anni.

Tutti i  compagni e le compagne convinti di questo possono e debbono unire le proprie forze, su basi chiare, al di là di ogni vecchio steccato di mozione, nel VI Congresso del partito.