Percorso a "Y": l'ultima trovata del governo Berlusconi per incrementare la selezione di classe all'università

 

di Fabiana Stefanoni

Il 16 giugno scorso si è chiuso è stata approvata in parlamento la modifica - già a partire dall'anno accademico 2004-2005 - dell'ordinamento didattico universitario. Si tratta dell'ultimo attacco del governo Berlusconi al diritto allo studio, nel solco della politica di inasprimento della selezione di classe e privatizzazione dell'università avviata dal governo D'Alema con l'introduzione del “3+2” .  

Il “3+2” (3 anni per conseguire la laurea, altri 2 anni per arrivare alla “laurea specialistica”), ideato appunto dal centrosinistra - che ancora oggi continua a rivendicarlo come “agile e flessibile modello di gestione dell'università” -, segnava una svolta peggiorativa nel percorso di progressivo smantellamento dell'università pubblica. Si introduceva un doppio livello nell'ambito degli studi universitari, direttamente volto a creare una rigida selezione di classe: non solo veniva imposto il numero chiuso alla gran parte delle facoltà, ma soprattutto si istituivano tasse altissime (e inaffrontabili per le famiglie proletarie) per accedere al secondo livello e poter conseguire la cosiddetta “laurea specialistica”.

Col governo Berlusconi, la laurea conseguita dopo i 5 anni di studi, si chiama “laurea magistrale”: il succo non cambia. L'università del centrodestra e quella del centrosinistra hanno sostanzialmente lo stesso volto:

- le tasse sono altissime e crescono ulteriormente nel momento in cui si decide di iscriversi ai livelli superiori; il numero chiuso è ormai la norma così come la frequenza obbligatoria per la gran parte dei corsi (che taglia preventivamente le gambe a chi pensasse di lavorare per pagare i costi degli studi);

- associata all'autonomia didattica e finanziaria degli atenei (altra trovata dei ministri ulivisti...), la distinzione tra lauree di diverso livello fa sì che nelle regioni più povere (come in meridione e nelle isole), essendo più difficile per gli atenei procacciarsi finanziamenti dai privati, i corsi specialistici spesso non vengano nemmeno attivati (costringendo gli studenti che non possono pagarsi costosissimi master privati a optare per i percorsi più brevi e professionalizzanti);

- l'ingerenza dei privati è sempre più forte: i singoli atenei sono liberi di attivare corsi ad hoc, spesso funzionali a soddisfare le esigenze del padronato locale (che potrà guadagnarne anzitutto con manodopera a costo zero attraverso gli stages e le attività di tirocinio, svolte gratuitamente presso le aziende);

- il progressivo smantellamento delle strutture e i tagli alle agevolazioni (case dello studente, borse di studio, esoneri: sempre più spesso gli enti per il diritto allo studio vengono dati in mano a privati, che li trasformano in vere e proprie imprese a scopo di lucro) rende l'università un privilegio per pochi.

Oggi il governo Berlusconi, procedendo sulla stessa strada, introduce il cosiddetto percorso a "Y" (1+2+2), con due percorsi paralleli e distinti: dopo un primo anno in cui si frequentano materie comuni, ci sarà la netta distinzione tra un percorso professionalizzante - che conduce alla laurea triennale (1+2) - ed un percorso “specialistico” (1+2+2) per chi può permettersi di conseguire la “laurea magistrale”. Le conseguenze sono evidenti:

- anzitutto, l'università diventa un terreno di competizione per le aziende: cominceranno a fiorire corsi professionalizzanti con valore didattico pari a zero e in balia degli interessi delle imprese (non a caso, nel testo del decreto si dice esplicitamente che i corsi professionalizzanti “saranno maggiormente caratterizzati dalla presenza di stages e attività di tirocinio”);

- verranno introdotte ulteriori tasse (per l'accesso ad ognuno dei tre livelli), che renderanno obbligatoria la scelta del percorso professionalizzante per la gran parte degli studenti (percorso che, ovviamente, nella migliore delle ipotesi non farà che creare una massa di manodopera sottopagata per un mercato del lavoro sempre più caratterizzato da una selvaggia precarizzazione);

- l'ulteriore frammentazione del percorso di studi trasformerà l'istruzione secondaria in un amalgama scriteriato di corsi e attività lavorative, senza alcuna possibilità di dar vita ad attività didattiche significative e approfondite: anche dal punto di vista didattico, si nega per l'ennesima volta il valore sociale dell'istruzione.

Nessuna seria protesta viene dal centrosinistra: del resto l'aziendalizzazione dell'università italiana è stata avviata proprio dai ministri ulivisti Berlinguer e De Mauro. Non solo: in più occasioni, il Centro liberale dell'Ulivo (ora “Uniti per l'Ulivo”) ha dichiarato, per bocca di suoi autorevoli esponenti, che un futuro governo di centrosinitra non metterà in discussione, nei suoi caratteri essenziali e portanti, l'attuale progetto berlusconiano-morattiano (“non possiamo continuamente fare e disfare”, ci insegna ipocritamente il saggio D'Alema). Anche l'Ulivo vuole la scuola-azienda di Confindustria e del padronato italiano. Per questo è estremamente grave che la maggioranza dirigente dei Giovani Comunisti, nel momento in cui afferma di voler difendere la scuola pubblica dagli interessi dei privati, si dichiari favorevole all'entrata del Prc in un governo con i partiti che rappresentano la grande borghesia italiana (che certo non ha a cuore le sorti della scuola/università pubblica!). Come Giovani Comunisti che sostengono le posizioni della sinistra rivoluzionaria del partito riteniamo che, per opporsi alla svendita della scuola pubblica, sia necessario prospettare un’alternativa di sistema: un'altra università possibile non passerà certo per un governo con Berlinguer e De Mauro!