LE MOBILITAZIONI CONTRO IL DDL MORATTI

 

Potete leggere qui sotto alcune riflessioni di Luca Scacchi, ricercatore universitario e dirigente di Progetto Comunista, che sta seguendo le mobilitazioni contro il ddl Moratti. Sono note molto utili per conoscere le lotte dei precari dal punto di vista della parte docente, per evidenziare alcuni limiti della protesta, per cercare di allargare la lotta a studenti e personale non docente.

Nei prossimi giorni sono previste manifestazioni, sit in, assemblee a livello regionale. Daremo comunicazione delle realtà più significative.

Fabiana Stefanoni 


LE MOBILITAZIONI CONTRO IL DDL MORATTI

 

di Luca Scacchi

 

La situazione delle mobilitazioni è alquanto complessa. Il ddl Moratti sullo stato giuridico dei docenti, la riforma del 1+2+2, la revisione dei criteri di finanziamento ai singoli atenei sono tre provvedimenti molto intrecciati che portano a compimento il processo avviato dalla ruberti nel 90: la stratificazione dei titoli di studio superiori e dei diversi corsi di laurea. 

Il ddl sullo stato giuridico, varato a luglio di improvviso in una nuova formulazione, assomma una serie di provvedimenti che vanno oltre l'esaurimento ruolo ricercatori a tempo indeterminato ed il precariato dei ricercatori (tra l'altro esteso a tutte le figure docenti, compresi gli ordinari), introducendo cattedre temporanee finanziate da privati, la scomparsa del tempo parziale (favorendo i liberi professionisti), commissioni di concorso "prevalentemente elettiva" (chi e come decide la parte non elettiva?), un titolo di professore incaricato per ricercatori che comporta obblighi senza diritti e adeguato stipendio (partecipazione e voto in organismi accademici, pagamento corsi, ecc), l'introduzione di una quota salario variabile per ateneo (questa è tenuta in silenzio, ma è una delle leve più forti per introdurre le differenziazioni fra docenti e atenei), parificazione dei master e delle scuole specializzazione al dottorato per la carriera universitaria ecc.

La riforma dell'1+2+2, oltre a scombussolare tutto a riforma appena avviata, di fatto introduce la canalizzazione rigida sul +3, reintroducendo il diploma universitario dopo il suo sostanziale fallimento di metà anni 90, irrigidendo la divisione tra corsi alti (a numero chiuso ovviamente) che andranno a sfociare nel proseguimento verso la laurea quinquennale (e quindi elimineranno la tecnicizzazione dei corsi di studio introdotta con il 3+2, da tutti i docenti considerato uno dei maggiori problemi, e saranno preferibilmente concentrati negli atenei alti, con risorse e capacità di ricerca) e corsi bassi, tecnicizzati, con un titolo di studio molto settorializzato e poco spendibile (in termini di forza lavoro, poco valorizzante), preferibilmente relegati nei piccoli atenei diffusi sul territorio  in maniera clientelare ed inutile negli anni 90, al sud, ecc.

La riforma dei criteri di finanziamento è un po' la leva con cui entrambe le riforme otterranno il loro effetto. Attualmente (dal 93) gli atenei ricevono i soldi statali da due fondi (per quasi tutti questa quota rappresenta il 70/80 % del bilancio, un'eccezione era e credo sia ancora il Politecnico di milano dove scendeva al 50%), il fondo ordinario (diviso tra gli atenei in base alla grandezza, o meglio in base al 90 e rotti % del bilancio del 1994), ed uno gestito dal Miur, che si allargava lentamente ma progressivamente (circa 1% all'anno), che veniva ripartito da una commissione nazionale sulla base della qualità (???) degli atenei. la proposta della Moratti e di ripartire con criteri meritocratici anche il fondo ordinario, con cui si paga la spesa corrente nelle università (dal riscaldamento agli stipendi). Nel momento in cui verranno tagliati i soldi con cui si garantisce il normale stipendio ad un docente o ricercatore, sarà normale passare a forme di precariato anche alto (per ora lo assumo per tre anni, poi si vedrà se ci sono i soldi); nel momento in cui non sono in grado di pagare un laboratorio, le spese per le ricerche nelle tesi, i docenti per il biennio, verrà naturale per i piccoli atenei concentrarsi sui corsi triennali (soprattutto se verranno alzati i criteri minimi per i corsi di laurea, numero docenti, ecc).

Il problema principale mi sembra che sia che tra gli studenti ci sia una bassissima percezione del senso della riforma. Nel personale universitario sta partendo una mobilitazione che racchiude interessi e posizione diverse, unificate dal no alla riforma ma molto spaccati al loro interno. Occorre evitare che prevalga la passività degli studenti e il carattere talvolta "corporativo" delle mobilitazioni dei ricercatori: si aprirebbe il fianco al passaggio di alcune idee forze (efficienza degli atenei, autonomia, professionalizzazione, differenziazione stipendi, titoli, ecc) su cui poi il centrosinistra capitalizzerà il suo ruolo (un po' come è già avvenuto con la Ruberti).

Inoltre:

- la situazione in snur-parte docenti sembra abbastanza destrutturata, un organizzazione dei docenti non esiste realmente  e si sta costruendo un coordinamento concreto a partire da quello che sta succedendo... (quindi ognuno, atenei, centro nazionale, vari docenti fa un po' quello che vuole)

- parallelamente al ddl sullo stato giuridico sta avanzando rapidamente anche la 1+2+2. La Moratti ha aperto 6 tavoli di discussione con Cun, ordini professionali, Crui, studenti ecc per definire, ENTRO 45 GIORNI, i nuovi ordinamenti didattici. Quindi per natale si dovrebbe chiudere o perlomeno definire meglio la situazione anche su questo fronte.

- la situazione delle mobilitazioni in corso è di forte allargamento, molte assemblee nelle facoltà, molta partecipazione e radicalità soprattutto dei ricercatori. La fase di rinvio della didattica si sta concludendo, nei prossimi giorni si terranno soprattutto momenti pubblici (assemblee e lezioni in piazza, cortei, ecc), tentando di coinvolgere molto anche gli studenti (es: ieri presidio in sapienza e davanti al ministero dei romani; domani corteo cittadino all'Aquila, il 21 in toscana, il 22 a Padova del veneto, ecc). l'ateneo della basilicata e il cdf di lettere di Trieste è arrivato a sospendere l'attività didattica ad oltranza (sino a ritiro del provvedimento).

-la Crui è uscita qualche giorno fa con un comunicato e anche il Cun (sostanzialmente simile), che però è valutato ambiguo. Non si chiede il ritiro secco, ma di rimandarlo a dopo la finanziaria, per valutare la fattibilità della riforma con un adeguato apporto finanziario. Punto di mediazione credo al ribasso tra chi è favorevole, chi pensa di gestire il passaggio con il minimo senza una leva economica che costringe a scelte pesanti (per es sul precariato), chi è contrario. L'unico punto di merito nel comunicato è quello sui ricercatori (neanche quello sul tempo parziale e definito), probabilmente per rispondere alla loro crescente rabbia.

I problemi:

- 1) Spaccature per interessi e sedi. Nonostante per ora il fronte sia abbastanza unito, si vedono spaccature esistenti e possibili. Le spaccature presenti: innanzitutto non tutti gli atenei sono in mobilitazione (25/30 su una settantina). Una parte dei docenti 1° e 2° fascia sono sostanzialmente favorevoli alla riforma, sono soprattutto i ricercatori a tirare. I docenti professionisti sono premiati dalla riforma e silenti (economia, legge, ecc) e quindi molte facoltà di questo tipo non sono in mobilitazione. Insomma, già adesso si mobilita solo una parte del corpo accademico (è la sintesi Crui ne è una dimostrazione). Le spaccature possibili: la riforma colpisce differentemente i grandi ed i piccoli atenei (ad esempio, il problema del precariato: in una fase di stretta sul bilancio, non è detto che un ateneo abbia i soldi per confermare un docente a scadenza dei 6 anni), quelli con i soldi e quelli senza. I ricercatori in attesa di assunzione mirano soprattutto ad ottenere quella. In alcune realtà gli studenti appoggiano, in altre protestano contro il blocco della didattica. Finché si sta sul no al ddl si compattano interessi diversi, ma intrecciandosi le riforme (didattica, stato giuridico, revisione dei criteri di finanziamento degli atenei), se il miur si fa furbo e tratta per pezzi separati la tenuta del fronte è meno certa, anche perchè sono carenti i momenti ed i luoghi di coordinamento e verifica delle mobilitazioni, i sindacati (tutti) sono deboli e si lavora per atenei o coordinamenti di categoria (rettori, conf presidi, coord ricercatori non assunti, ecc).

- 2) Tempi e forme della mobilitazione. Anche qui la situazione è complessa. Il rinvio dell'anno accademico termina in tempi brevi. L'assunzione di un blocco indeterminato suscita perplessità nei ricercatori perché appare loro difficile da gestire da un punto di vista legale (la delibera di potenza è impugnabilissima per interruzione pubblico servizio, anche perchè il senato non agisce registrando le mobilitazioni dei docenti e quindi per impossibilità a garantire la didattica, ma blocca per sua scelta politica). Il problema che si configura è quello della durata, di come trovare forme di mobilitazioni che riescano a mantenere l'opposizione al ddl e l'attenzione dell'opinione pubblica. Due punti sembrano abbastanza fermi: a metà novembre c'è lo sciopero unitario della scuola, si pensa di estenderlo lo stesso giorno o in uno ravvicinato a tutto il comparto (università, ricerca, ecc). Nel momento in cui il ddl arriva in aula, la convocazione di uno sciopero generale lungo (concentramento della mobilitazione per bloccarlo).