I 21 giorni che sconvolsero la FIAT di Melfi: intervista ad uno dei protagonisti, Antonio D’Andrea.

 

Dieci anni fa nasceva, a S. Nicola di Melfi, l’ultimo stabilimento dell’impero Fiat, quello del just in time, della pace sociale, dello sfruttamento e delle vessazioni sulla catena di montaggio. L’arrivo del padronato piemontese viene accolto con grande giubilo dalla gente del luogo: “si sta per materializzare il sogno di non dover più emigrare con la valigia di cartone, in cerca di fortuna altrove”. Questo è il leit motiv che entusiasma tutti. Però ci sono delle condizioni che la Fiat impone che comportano l’accettazione supina delle gabbie salariali, attraverso l’escamotage della differente denominazione (Sata), la deroga al divieto del lavoro notturno per le donne, sindacati accomodanti o inesistenti, tanto c’è la truffa della “partecipazione operaia” alle decisioni aziendali.

Questo è il giocattolo esportato nella colonia lucana. Chi non si adegua è “irresponsabile, non merita di stare nella famiglia Fiat e quindi che ritorni nei campi”. Tanto l’esercito industriale di riserva è vastissimo in Lucania e nella vicina Puglia. E’ questo “il prato verde”. I “cafoni” di siloniana memoria, che si ammazzano per stipendi ridicoli, lo Stato che finanzia “l’impresa”, i padroni che incassano. Non sarà un caso che con l’esplosione della crisi Fiat, nel 2002, della baracca degli Agnelli che rischia di affondare, l’unico stabilimento che funziona è quello lucano?

Si produce e senza conflitti. I delegati sindacali troppo radicali vengono “deportati” in altri reparti o licenziati. Chi si scorda di Tonino Innocenti ed altri compagni, licenziati, dopo esser stati scaricati dai sindacati di appartenenza? Ma la rabbia operaia comincia ad aumentare. Un’ avanguardia, che radicalizza anche la FIiom, cresce e comincia anche ad orientare i metodi di lotta: sciopero prolungato fino alla vittoria è questo il senso dei “21 giorni che sconvolsero Melfi”, come amano dire gli operai protagonisti. Perché, come ha giustamente affermato Campetti sul Manifesto del 27 aprile, “questi ribelli di oggi che hanno svelato l’inganno della fabbrica miracolosa sono i nipoti dei briganti che si battevano contro i Savoia, i figli dei braccianti che occupavano le terre, i fratelli dei ragazzi di Scanzano e di Rapolla.”

Conosciamone unodei protagonisti più riconosciuti dalla classe operaia lucana, Tonino D’Andrea, quarantenne, segretario del circolo aziendale Fiat del Prc di Melfi, circolo che all’ultimo congresso si è schierato in maggioranza sulle posizioni del secondo documento .

 

Da quanti anni sei in azienda?

Sono esattamente dieci anni. Sono ritornato dall’emigrazione al Nord, con la mia valigia di cartone come tanti altri meridionali e sono entrato in fabbrica nel marzo 1994.

Come è nata la mobilitazione dei 21 giorni?

Non è certamente nata a caso. Io ed altri compagni, conosciuti in fabbrica, abbiamo messo da subito in discussione l’accordo sindacale che ha portato alla nascita dello stabilimento con il modello della “fabbrica integrata”. Infatti era sicuramente da sospettare che nei discorsi di capi e capetti aziendali si parlasse dell’inutilità del sindacato, poiché si sarebbe adottato un modello “partecipativo” che, a parole, avrebbe coinvolto i lavoratori nei processi decisionali. A questa truffa, abbiamo risposto con la creazione della Fiom. Abbiamo battagliato su molte vertenze interne, ma in posizione fortemente minoritarie, anche come sindacato. Poi, sai, la coscienza si forma anche sulla “pesantezza” dello sfruttamento che fa dire basta! Anche a chi era molto prudente nei rapporti con la proprietà.

Quale è stato il ruolo dei sindacati nella mobilitazione?

Cisl, Uilm e Fismic sono stati dall’altra parte della barricata, con i padroni. Anche con provocazioni, hanno fatto di tutto e di più per sminuire la lotta, per dare man forte al padronato e farci tornare in fabbrica sconfitti. Ovviamente una nostra sconfitta significava il mantenimento dei privilegi di cui hanno goduto sin dalla nascita della fabbrica.

La Fiom, grazie soprattutto al lavoro dei compagni di base che con me l’hanno creata, ha avuto un ruolo combattivo e importante. Così come compagni dei Cobas come Tonino Innocenti, licenziato dalla FIAT, qualche tempo fa.

Perché Melfi è stata un’eccezione dal punto di vista contrattuale e della pace sociale, e poi non lo è stata più?

Non a caso i dirigenti piemontesi, prima di impiantare lo stabilimento in Basilicata, hanno fatto degli studi e si sono ispirati al toyotismo, riducendo il numero dei dipendenti per massimizzare il profitto. E ancora non a caso, scelgono la Basilicata, terra vergine dal punto di vista industriale, con un’economia tradizionalmente agricola, puntando sulla pace sociale. Inoltre invogliava la bassa tradizione sindacale e il ricatto occupazionale sui giovani che, con la nascita dello stabilimento Fiat e del relativo indotto, vedevano concretizzare il sogno di non emigrare con la valigia di cartone come i loro padri. Molti lavoratori si sentivano “fortunati” per poter lavorare in fabbrica nella loro Terra ed hanno accettato spesso molti soprusi e condizioni di lavoro tristissime, pur di conservare il posto di lavoro. Noi, in una piccolissima avanguardia, abbiamo combattuto sin dagli inizi per creare sulla catena di montaggio, una coscienza rivoluzionaria. Dopo dieci anni cominciamo a raccogliere i frutti del nostro lavoro.

Come è nata l’idea dello sciopero prolungato fino alla sconfitta del padrone?

Degli scioperi precedenti, specie sui carichi di lavoro, ne avevamo già fatti. Con tutte le difficoltà esistenti di coinvolgimento dei lavoratori, e anche di alcuni compagni aderenti alla Fiom stessa.

Comunque siamo stati gli unici a dire, sin dagli inizi, che solo lo sciopero prolungato avrebbe dato i suoi frutti. Questa coerenza, unita al peggioramento delle condizioni di lavoro, ha favorito la vittoria di questa linea anticoncertativa. La generalizzazione delle lotte come Melfi, Scanzano ha dimostrato che il governo e il padronato possono essere battuti dal fronte delle lotte.

Siete pronti a sostituire le rsu, compromesse con i vertici aziendali, con rappresentanti della lotta dei 21 giorni?

Il cambiamento è necessario e deve rispecchiare le lotte che ci sono state. Agli operai spiegheremo che non bisogna più farsi truffare e votare rappresentanti che nei 21 giorni stavano con il padronato. Chi non ha rappresentato i lavoratori, ma i propri interessi o quelli della Fiat, dovrà andarsene a casa. Chi sarà eletto dovrà rispecchiare la nuova realtà ed i nuovi rapporti di forza creatisi con il conflitto.

Cosa è cambiato dopo i 21 giorni in fabbrica?

L’accordo stipulato con l’azienda è entrato in vigore il 1 luglio ed ha migliorato il clima in azienda. Certamente il padronato potrebbe preparare un’offensiva per rivalersi e riprendere ciò che è stato costretto a concedere. Noi saremo sempre vigili e pronti a lottare. Non dormiremo sugli allori.

Tu sei il segretario del circolo aziendale Fiat del Prc, che conta 40 iscritti. Non pensi che la linea dello sciopero prolungato fino alla sconfitta del padronato, attuata a Melfi, sia in contrasto con la linea  della maggioranza del Prc che con l’accordo di programma e di governo con l’Ulivo, si prepara ad avallare una nuova fase neoconcertativa, che vede protagonisti Montezemolo, la triade sindacale confederale e il centro liberale dell’Ulivo?

Io sono convinto di sì. I 21 giorni hanno creato una coscienza nuova di lotta, anche in chi ci riteneva avventuristi, quando coerentemente affermavano l’esigenza dello sciopero per sconfiggere il padrone. Indietro non si torna. Il Prc deve decidere di stare o dalla parte degli operai o nel governo borghese dell’Ulivo. Berlusconi ed il suo governo vanno cacciati subito, ma non per Prodi. Non dobbiamo dimenticarci che l’Ulivo al governo ha adottato tutti gli strumenti legislativi possibili contro la classe operaia, dalla flessibilità alla guerra.

La maggioranza del Prc vuole formare un governo nazionale con i banchieri e i rappresentanti politici della borghesia? Io dico che sarebbe il fallimento della rifondazione comunista e devastante per la nostra base di riferimento.

Cosa ti ha spinto ad aderire all’Associazione Progetto comunista, sinistra del Prc?

Sono entrato nel Prc nel 1995 e sin da subito sono stato concorde con le posizioni della sinistra. A partire dal primo congresso al quale ho partecipato, leggendo le mozioni, mi sono convinto politicamente a sostenere quelle di minoranza. Il processo di maturazione politica ha portato alla mia adesione, unita a quella di altri compagni di lotte della Fiat, all’Amr Progetto comunista. Molto semplicemente mi ha convinto l’idea di indipendenza di classe che Progetto esprime, nel Partito e fuori: o stare con i governi della borghesia o stare con i lavoratori e gli sfruttati. Io ho scelto di stare con chi sta con i proletari, come noi della Fiat di Melfi.

I comunisti non possono entrare nei governi borghesi. Debbono stare con gli operai e le loro lotte di classe, contro il padronato ed i loro governi, siano essi di destra o di centrosinistra. Tutte le esperienze di comunisti nei governi borghesi sono state fallimentari e negative per la classe operaia. Si potrebbero citare tanti esempi nefasti. Ma l’opposizione comunista non va sciolta o abolita da Bertinotti. La battaglia per “tenerla in piedi” va cominciata a partire dal congresso del Partito, rafforzando le nostre posizioni coerenti di sinistra del Prc e sconfiggendo anche quelle falsamente antagoniste alla linea governista del segretario nazionale.