UN POLO DI CLASSE PER L’ALTERNATIVA
Il
VI Congresso del PRC non sarà un Congresso ordinario. La svolta impressa da
Fausto Bertinotti nella direzione di un governo con l’Ulivo (rinominato)
mette di fatto in discussione la stessa ragione sociale del nostro partito.
Sull'altare dell'accordo di governo della Grande Alleanza Democratica si
sacrifica persino la rivendicazione
del ritiro immediato delle truppe dall'Irak e della fine dei bombardamenti:
sostituita dal riconoscimento delle elezioni truffa organizzate dagli Usa e
dalla prospettiva di una "Conferenza internazionale" che dovrebbe
portare al ricambio delle truppe occupanti con truppe di altri Paesi
imperialisti. L'applauso che la stampa borghese tributa a questa linea e il
disagio dei militanti e dei movimenti sono il miglior metro di giudizio di
questa deriva.
L’ingresso
del PRC in un futuro governo Prodi o nella sua maggioranza significherebbe di
fatto il passaggio del nostro partito dalla parte della borghesia italiana.
Non si può stare, allo stesso tempo, dalla parte degli operai di Melfi e in
un governo benedetto dalla Fiat. Non può esistere alcun programma comune tra
lavoratori e padroni, tra i giovani noglobal e i banchieri di Maastricht, tra
i pacifisti e i sostenitori dell’Europa in armi, tra i difensori dei popoli
oppressi e i sostenitori delle occupazioni coloniali. O si sta di qua, o si
sta di là. Questo è il nodo del VI Congresso.
Un
anno e mezzo fa, all’inizio della “svolta governista”, avevamo richiesto
un Congresso straordinario del PRC che desse per tempo la parola a tutti i
compagni del partito. Questa richiesta democratica è stata respinta da tutte
le altre componenti del PRC. E’ stata una grave responsabilità, che ha
consentito alla Segreteria nazionale di perseguire indisturbata la nuova
rotta. Ma ora tutti i compagni e le compagne del partito –al di là di ogni
vecchia divisione di mozione- hanno la possibilità di porre un argine a
questa deriva, di promuovere e sostenere una proposta alternativa: una
proposta che certo rivendica la cacciata di Berlusconi, ma dal versante dei
lavoratori e non dei padroni. Per questo riteniamo essenziale che il vasto
sentimento nel partito contro la svolta possa tradursi in una proposta
congressuale chiara, capace di raccogliere dal basso la diffusa domanda di
unità e al tempo stesso di evitare ogni ambiguità.
Per
la rottura del PRC con Prodi, per un polo autonomo di classe
La
rottura del PRC col centro dell’Ulivo (Margherita, maggioranza DS, SDI,
UDEUR) è imposta dalle più elementari ragioni di classe. E’ una rottura
che si articola in una proposta più generale di autonomia di tutti i
movimenti dalla borghesia italiana. Il nostro partito deve avanzare la
proposta di un polo autonomo di classe
a tutti i protagonisti di tre anni di mobilitazioni contro Berlusconi, a
partire dai lavoratori e dai giovani; a tutte le loro organizzazioni di massa
(CGIL, sindacalismo di classe, rappresentanze del movimento
antiglobalizzazione e contro la guerra); a tutte le forze di sinistra che
hanno sostenuto il referendum del PRC sull’articolo 18 (Sinistra DS, PdCI,
Verdi). Si tratta di una sfida che non intende affatto accantonare la critica
alle dirigenze di tali organizzazioni e forze politiche ma, anzi, vuole essere
un’occasione per smascherare la subordinazione di molte di esse alle
politiche filopadronali dell’Ulivo. E’ stata proprio tale subordinazione
che ha impedito l’affondo contro questo governo: scioperi simbolici e
centellinati, il rifiuto di una piattaforma unificante di mobilitazione hanno
permesso a Berlusconi di rilanciare l’offensiva. Le lotte a oltranza e
vincenti a Scanzano in Fincantieri e soprattutto a Melfi hanno dimostrato non
solo l’inconsistenza delle obiezioni alle forme di lotta radicali ma le
potenzialità di una prospettiva di loro unificazione in un vero sciopero
generale prolungato attorno a una comune piattaforma che punti alla caduta del
governo.
Per
un’alternativa di societa’ e di potere. L’alternativa è
anticapitalistica o non è
Non
c’è alternativa possibile a braccetto delle classi dirigenti. Innanzitutto,
un programma di alternativa vera è chiamato a cancellare l’intera stagione
di controriforme portate avanti dai governi di centrodestra e centrosinistra:
le “riforme” pensionistiche di Berlusconi e Dini; legge 30 e pacchetto
Treu; legge Bossi-Fini e legge Turco-Napolitano. E lo stesso vale per la
scuola, per l’università, per ogni campo di vita sociale. Un’alternativa
che risparmiasse le controriforme dell’Ulivo sarebbe nei fatti
un’alternanza liberale.
In
secondo luogo un vero governo di alternativa dovrebbe realizzare un programma
basato su un forte aumento di salari e pensioni, un vero salario garantito ai
disoccupati senza contropartite di flessibilità, una forte espansione della
spesa sociale a partire dall’istruzione e dalla sanità.
In
terzo luogo, un’alternativa vera dovrebbe contrapporsi con radicalità a
decenni di politiche di privatizzazione e riassetti proprietari,
concretizzarsi nella nazionalizzazione, senza indennizzo e sotto il controllo
dei lavoratori, delle imprese e dei servizi privatizzati, delle aziende in
crisi, che licenziano, che inquinano.
E’
vero: questo programma non è compatibile con il capitalismo italiano e la UE.
Ma questo dimostra una volta di più la necessità di superare l’illusione
neoriformista di un’Europa sociale in ambito capitalistico. L’alternativa
è anticapitalistica o non è, su scala sia italiana che europea. Spetta ai
lavoratori, ai giovani, al blocco sociale alternativo emerso nelle
mobilitazioni di questi anni rifondare la società, a partire da un sostegno
incondizionato al diritto di resistenza di tutti i popoli oppressi contro il
capitalismo e l’imperialismo.
Cacciare
Berlusconi per un’alternativa di classe deve essere una parola d’ordine
centrale. Ma proprio quella parola d’ordine implica l’opposizione
comunista a un eventuale governo d’alternanza. Se i comunisti hanno
interesse a concorrere alla sconfitta di Berlusconi sullo stesso terreno
elettorale al fine di legarsi ai sentimenti delle masse, hanno al tempo stesso
la necessità di preservare la totale autonomia politica della propria
opposizione a un governo borghese dell’Ulivo. Di più: dovrebbero sviluppare
un’opposizione radicale a quel governo e alle politiche di concertazione.
Ogni
altra soluzione significherebbe un inaccettabile compromissione del PRC; sia
nel caso di un ingresso diretto del PRC nel governo Prodi, sia nel caso di un
appoggio esterno del PRC al governo che coinvolgerebbe in egual misura le
responsabilità del partito (come nel '96-'98).
Nessun
governo della borghesia, di centrodestra o di centrosinistra, può essere
privato di un’opposizione di classe e comunista.
Non
è tempo di tatticismi: è tempo di fare una battaglia chiara e unitaria. E
sulla base di questo appello a una battaglia unitaria di opposizione alla
svolta governista costruiremo un testo alternativo per il prossimo congresso
discutendolo a partire da assemblee in ogni federazione che culmineranno in
una assemblea nazionale di delegati il 13 e 14 novembre a Rimini che varerà
il testo definitivo del nostro progetto. Progetto Comunista propone a tutti i
compagni e le compagne del partito -al di là di ogni vecchia divisione di
mozione- di promuovere e sostenere una proposta congressuale realmente
alternativa attorno a questi assi chiari.
Maria
Pia Gigli (Comitato Politico Nazionale Prc)
Franco
Grisolia (Direzione Nazionale Prc)
Francesco
Ricci (vicepresidente Collegio Nazionale di Garanzia Prc)
(Seguono
alcune centinaia di firme; la versione integrale di questo testo è
consultabile sul sito www.progettocomunista.it)