Le ragioni dell'opposizione di principio dei comunisti ai governi della borghesia

 

di Francesco Ricci

 

Il tema della partecipazione od opposizione di classe dei comunisti ai governi della borghesia attraversa il dibattito di due secoli del movimento operaio. Questo dibattito è in genere completamente ignorato dal gruppo dirigente maggioritario del Prc (in tutte le sue varianti), come se la storia del movimento operaio, i suoi successi e le sue sconfitte, lo scontro tra il marxismo rivoluzionario e il riformismo, non avessero alcuna rilevanza per lo sviluppo odierno di un partito che pure si chiama "rifondazione". L'argomento che in genere viene utilizzato in replica a chi fa riferimenti storici è che "ogni situazione è diversa" e che "non si possono paragonare le vicende odierne e quella di cento anni fa". Messa così, evidentemente, l'esperienza storica (persino l'esperienza di anni recenti) finisce con l'essere inutilizzabile ed oggetto di convegni seminariali o di qualche pagina commemorativa, magari nostalgica, su Liberazione. E' questo il modo migliore per consentire -magari in nome della "concretezza"- un continuo tornare su sentieri già battuti e che non conducono da nessuna parte: o meglio conducono, nella fattispecie, all'abbandono dell'indipendenza di classe, condizione indispensabile di una vera rifondazione comunista.

Per questi motivi riteniamo utile pubblicare qui un testo dell'Internazionale Comunista. Come i nostri lettori potranno constatare: ha ottant'anni ma non li dimostra, sembra scritto ieri.

Questo testo oltre a ribadire come questione fondante del marxismo fin dalle sue origini l'opposizione a ogni governo all'interno della società capitalistica (si veda in proposito, qui a fianco, l'intervento di Ricci, pubblicato su Liberazione del 24 agosto, dove si richiama la critica spietata di Marx ed Engels alla partecipazione del socialista Louis Blanc al governo provvisorio del febbraio '48); questo testo dell'Internazionale dimostra come, al contempo, Lenin e Trotsky (ma anche la Luxemburg, Gramsci, ecc: essendo questi concetti patrimonio comune e indiscusso nel movimento comunista di quell'epoca, in ogni sua tendenza) non proponessero in contrapposizione alla partecipazione al governo una chiusura settaria e la separazione dalle masse e dalle loro aspirazioni. Anzi: proprio l'opposizione di principio a qualsiasi governo borghese veniva vista come lo strumento per guadagnare nelle lotte le masse al superamento di ogni illusione nella riformabilità del capitalismo e alla necessità -conseguentemente- di una prospettiva rivoluzionaria, via d'accesso a un governo dei lavoratori. (l'unico al quale i comunisti possono prendere parte o sostenere).

In questo senso, la parola d'ordine del "governo operaio" non era intesa solo come parola d'ordine di agitazione, obiettivo realizzabile nelle situazioni pre-rivoluzionarie. Era anzi intesa anche come parola d'ordine di propaganda, da utilizzare con funzione tattica per sfidare pubblicamente le forze riformiste, socialdemocratiche (oggi, potremmo dire, quelle che hanno sostenuto il referendum sull'art. 18, non certo la maggioranza dirigente liberale dei Ds di Fassino) a rompere con la borghesia e la sua rappresentanza (tradotto per l'oggi: con il centro liberale dell'Ulivo, coi Prodi e i D'Alema) per costruire una prospettiva (anche di governo, appunto) dei lavoratori, autonoma e contrapposta alla borghesia e al suo dominio. Nel caso si fossero realizzati, simili governi avrebbero rappresentato un passo verso il dominio operaio (la dittatura del proletariato); nel caso - più probabile- di un rifiuto dei dirigenti riformisti a rompere con la borghesia, i comunisti avrebbero potuto -grazie all'utilizzo di questa tattica unitaria- procedere nella conquista della maggioranza dei militanti di quelle forze. 

Questa tattica -che a noi sembra di estrema attualità- è come si vede l'esatto opposto di quella presunta tendenza all'isolamento settario di cui vengono accusati, nel Prc, coloro che rifiutano per Rifondazione uno sbocco di governo con ministri nel futuro possibile Prodi bis. E' anzi interessante ricordare che questo approccio fu respinto nell'Internazionale solo dalle sue ali estremistiche (tra cui Bordiga e la maggioranza dirigente del Pcd'I, in quanto la sezione italiana sarà guadagnata a queste posizioni qualche anno dopo, con la vittoria di Gramsci al congresso di Lione).

Fu lo stalinismo con la stagione tragica dei governi di "fronte popolare" a oscurare questo patrimonio teorico che non corrispondeva ad astrazioni intellettuali ma che viceversa era stato consolidato con la stessa esperienza dei bolscevichi: i quali avevano guadagnato nel corso del '17 -grazie a questa tattica di opposizione di principio e di unità nelle lotte- la maggioranza negli organismi di lotta (i soviet). Ed è insomma paradossale che Fausto Bertinotti e la maggioranza dirigente del Prc -che pure rivendicano una "rottura con lo stalinismo"- si riallaccino viceversa proprio all'essenza dello stalinismo (e della socialdemocrazia), cioè alla collaborazione di governo con la borghesia "progressista"; mentre il comunismo di Lenin e dell'Internazionale precisava, come si può leggere nel testo qui sotto, la necessità di mantenere l'opposizione di classe anche nei confronti di governi "di sinistra", cioè formati solo o prevalentemente da partiti operai ma basati su un programma di difesa degli interessi borghesi.

 


 

La posizione dei marxisti rivoluzionari

Il governo operaio

 

 

Riproduciamo estratti dalla Risoluzione sulla tattica (approvata dal IV Congresso dell'Internazionale Comunista, 1922)

Il governo operaio dovrà dunque essere sbandierato come parola d'ordine di propaganda generale. Ma, come parola d'ordine di politica attuale, il governo operaio appare della più grande importanza nei Paesi in cui la situazione della società borghese è particolarmente poco sicura, dove il rapporto di forze tra partiti operai e borghesia pone all'ordine del giorno la questione del governo operaio come soluzione, come necessità politica. In questi Paesi la parola d'ordine del governo operaio è un'inevitabile conseguenza di tutta la tattica del fronte unico.

I partiti della Seconda Internazionale cercano, in questi Paesi, di salvare la situazione predicando e realizzando la coalizione dei borghesi e dei socialdemocratici. I più recenti tentativi messi in atto dai partiti della Seconda Internazionale (per esempio in Germania) tendono, pur rifiutando di partecipare apertamente a tali governi di coalizione, a realizzarli in forma mascherata (...); sono soltanto un inganno raffinato nei confronti delle masse operaie.

Alla coalizione, aperta o mascherata, tra borghesia e socialdemocrazia, i comunisti oppongono il fronte unico di tutti gli operai e la coalizione politica ed economica di tutti i partiti operai contro il potere della borghesia, per il suo rovesciamento definitivo. Nella lotta comune di tutti gli operai contro la borghesia, tutto l'apparato dello Stato dovrà essere in mano al governo operaio e le posizioni della classe operaia ne saranno rafforzate.

Il più elementare programma di un governo operaio deve consistere nell'armamento del proletariato, nel disarmo delle organizzazioni borghesi controrivoluzionarie, nell'instaurazione del controllo sulla produzione, nel far cadere sui ricchi il peso determinante delle tasse e nel fiaccare la resistenza della borghesia controrivoluzionaria.

Un governo di questo genere è possibile soltanto se nasce dalla lotta stessa delle masse, se si fonda su organismi operai adatti alla lotta e creati dai settori più ampi delle masse operaie oppresse. (...). Ma va da sé che la nascita di un vero governo operaio e il mantenimento di un governo che faccia una politica rivoluzionaria condurranno necessariamente alla lotta più accanita e, eventualmente, alla guerra civile contro la borghesia. (...)

Malgrado i suoi grandi vantaggi, la parola d'ordine del governo operaio ha anche dei pericoli, come tutte le tattiche di fronte unico. Per parare questi pericoli, i partiti comunisti non devono perdere di vista il fatto che, se ogni governo borghese è allo stesso tempo capitalistico, non è altrettanto vero che ogni governo operaio debba essere un governo proletario, cioè uno strumento rivoluzionario del potere del proletariato.

L'Internazionale Comunista deve prevedere le seguenti possibili varianti:

1) un governo operaio liberale (...);

2) un governo operaio socialdemocratico (...);

3) un governo dei contadini e degli operai (...);

4) un governo operaio con la partecipazione dei comunisti;

5) un vero governo operaio proletario che, nella sua forma più pura, non può essere impersonificato che dal partito comunista.

I due primi tipi di governo operaio non sono governi operai rivoluzionari ma governi, camuffati, di coalizione tra la borghesia e i dirigenti operai controrivoluzionari. Questi "governi operai" sono tollerati dalla borghesia nei momenti critici, quando è indebolita, e le servono per ingannare il proletariato sul vero carattere di classe dello Stato; o anche per sviare l'attacco rivoluzionario del proletariato e prendere tempo, con l'aiuto dei dirigenti operai corrotti. I comunisti non dovranno partecipare a governi del genere. Al contrario, dovranno smascherare implacabilmente di fronte alle masse il vero carattere di questi falsi "governi operai". (...)

Gli altri due tipi di governo operaio ai quali possono partecipare i comunisti non sono ancora la dittatura del proletariato; non costituiscono ancora una necessaria forma di transizione verso la dittatura ma possono costituire un punto di partenza per la conquista di tale dittatura. Tuttavia la dittatura reale del proletariato non può essere realizzata che da un governo operaio composto da comunisti.

 


No a un governo dei banchieri con i lavoratori

 

di Francesco Ricci

 

E' possibile conciliare gli interessi della borghesia e dei lavoratori e quindi costituire un governo con rappresentanti di entrambe le classi?

Intorno a questa domanda ruoterà nei fatti il prossimo congresso del partito. E a questa domanda vorrei rispondessero i dirigenti delle diverse tendenze che stanno intervenendo in questo dibattito.

Ricordando che si tratta di una domanda a cui si può rispondere solo con un "sì" o con un "no", secondo il principio del terzo escluso.

L'intera storia del movimento operaio (che altri preferiscono ignorare) è ruotata intorno a questa domanda. La risposta dei rivoluzionari da Marx in poi è sempre stata "no". Non per qualche astratto principio etico, ma per una ragione banale: lo sfruttatore non può accordarsi con lo sfruttato -pena la rinuncia al suo ruolo. Compito dei comunisti (costituiti in "partito indipendente contrapposto a tutti gli altri") è allora proprio quello di contrastare ogni illusione dei lavoratori in una impossibile collaborazione con la borghesia e i suoi governi. Per fare questo è necessario non isolarsi, non separarsi dalle lotte. Solo nelle lotte i comunisti possono guadagnare i lavoratori alla necessità di un governo realmente loro, della classe operaia.

Se non questo, cosa intendeva altrimenti dire Rosa Luxemburg (lo chiedo al compagno Bertinotti, che spesso si è dichiarato affine a questa grande rivoluzionaria) quando affermava (anche sulle barricate) che i comunisti devono stare sempre all'opposizione finché non sono in grado di rovesciare il capitalismo?

E non è appunto questo elementare concetto di classe che difendeva già Marx già nel 1848 attaccando ferocemente il riformista Louis Blanc che, viceversa, rispondendo "sì" alla nostra domanda iniziale, pensava di poter rappresentare gli interessi degli operai in un governo della borghesia (nato peraltro dalla rivoluzione che aveva cacciato la monarchia orleanista)? Marx definiva Blanc: "ministro dei pii desideri" (e difatti Blanc stando al governo non riuscì a ottenere nemmeno la riduzione della giornata lavorativa a dieci ore). Ed Engels (in una lettera del '94 a Turati) spiegava: "Dopo il febbraio '48 i socialisti democratici francesi hanno commesso la colpa di accettare qualche seggio nel governo. Minoranza in un governo dei repubblicani borghesi, essi hanno sostenuto le responsabilità di tutte le infamie votate dalla maggioranza (...)." Per Engels la colpa di Blanc non si fermava lì, perché "mentre tutto ciò succedeva, la classe operaia era paralizzata dalla presenza al governo di questi signori che pretendevano di rappresentarla." Altro che "governare coi movimenti"!

Per questo Marx ed Engels salutavano come un "punto di partenza storico gigantesco" la Comune di Parigi, in cui i lavoratori invece di collaborare con un governo di borghesi "illuminati" avevano costituito per la prima volta "un governo degli operai per gli operai".

Si può anche sbuffare sull'elaborazione marxista: ma si dovrà pur riconoscere che in tutta la storia non vi è -a mia conoscenza, ma sono disposto ad essere smentito- un solo caso in cui un governo con rappresentanti delle due classi fondamentali della società abbia prodotto avanzamenti di qualsiasi genere per i lavoratori. E viceversa in ogni caso governi simili hanno paralizzato le lotte (basti ricordare che durante il primo governo Prodi si è toccato il record negativo delle ore di sciopero).

Al prossimo congresso, al di là del numero dei documenti, tutto il partito sarà chiamato a rispondere alla domanda: è possibile un governo che concili gli interessi dei banchieri di Prodi e degli operai di Melfi?

Progetto Comunista risponde "no"; i compagni Bertinotti e Ferrero rispondono "sì". E le altre tendenze? A me pare che i compagni dell'Ernesto alla fin fine rispondano "sì", come riconosce nel suo intervento il compagno Pegolo. Difatti -se capisco bene- è proprio perché pensano possibile uno sbocco di governo che propongono di definire dei punti qualificanti per il confronto (i "paletti"). Si tratta, io credo, di una posizione che è solo apparentemente più realistica -come non sarebbe più realistico se una pecora intavolasse una discussione con un lupo affamato, ponendo come condizione per il dialogo un'alimentazione vegetariana.

Non mi pare chiara quale sia invece la risposta dei compagni di Erre. All'epoca del primo Prodi affermavano che bisognava far nascere il governo perché le masse potessero "fare quell'esperienza"; nei mesi scorsi hanno appoggiato la costituzione delle commissioni di confronto con l'Ulivo e dal V congresso fino a qualche settimana fa hanno sostenuto la linea di maggioranza che ci ha portato coerentemente fino qui; ora Cannavò esprime "perplessità" sull'accordo di governo.

A un certo punto comunque tutti dovranno dare una risposta alla domanda iniziale, attenendosi possibilmente al precetto evangelico: sia il tuo sì, sì e il tuo no, no. Il resto appartiene all'opportunismo.