I COMUNISTI NON SI ADEGUANO A PRODI

 

 

di Marco Ferrando

 

Dopo il voto del 12-13 giugno, il governo Berlusconi ha attraversato la crisi più grave della sua storia politica. La sua maggioranza era virtualmente dissolta, il partito principale della coalizione era per la prima volta allo sbando, le contraddizioni del suo blocco sociale precipitavano. Era vitale, tanto più in quel quadro, un’iniziativa di massa radicale della sinistra politica e sociale che puntasse alla caduta di un governo agonizzante attraverso un’autentica prova di forza. Invece è accaduto l’opposto. Nessuna iniziativa di lotta è stata assunta. Nessuna proposta di lotta è stata avanzata dai gruppi dirigenti della sinistra politica e sociale. Berlusconi ha avuto modo e tempo di lavorare alla ricomposizione, sia pure provvisoria, della sua maggioranza attraverso un gioco sapiente di pressioni e ricatti. Un governo che appariva morto ha potuto così rilanciare l’attacco finale alla previdenza pubblica, tagliare del 10% i fondi agli enti locali, annunciare una finanziaria da salasso, preservare le truppe d’occupazione in Irak. Nel frattempo Romano Prodi si augurava pubblicamente la continuità del governo Berlusconi fino al 2006 e larga parte del Centro dell’Ulivo lasciava filtrare sulla stampa la ragione vera di quell’augurio: la speranza che Berlusconi riesca a completare il grosso del “lavoro sporco” su pensioni e sanità, in modo che il futuro governo dell’Ulivo possa disporre di un margine di manovra più ampio e di un rapporto di forza più favorevole nei confronti di un movimento operaio  sconfitto. La domanda è d’obbligo: può il movimento operaio cacciare Berlusconi restando subalterno a Romano Prodi  quando l’intera prospettiva dell’alternanza Prodi presuppone oggi la paralisi dell’opposizione?

 

Rutelli difende le controriforme di Berlusconi

Peraltro l’estate ha chiarito agli occhi di tutti i contenuti programmatici dell’alternanza Prodi.

Quando Rutelli dichiara che il futuro governo Prodi preserverà le controriforme di Berlusconi in fatto di pensioni, di lavoro, di scuola, non fa affatto una “provocazione”, ma una confessione di verità. L’alternanza liberale è tutta interna alla logica bypartisan del superiore interesse del grande capitale. E questa logica celebra come valore proprio la massima continuità programmatica e d’azione dei governi che si succedono. Del resto: il governo Berlusconi non ha forse preservato la controriforma Dini, il pacchetto Treu, la macelleria sociale della legislatura precedente? Se l’azione antioperaia di Berlusconi ha potuto dispiegarsi con tanta radicalità è proprio per il fatto che ha potuto avvalersi dei passi compiuti dai precedenti governi. Questo significa allora che tra un governo Berlusconi e un governo Prodi non vi sarebbe alcuna differenza? No, ma si tratta di intendersi. Le differenze riguardano la composizione politica, i blocchi sociali di riferimento, il rapporto con le burocrazie sindacali, il tasso di europeismo (imperialistico)… Ma non riguardano affatto la sostanza di classe del menù antioperaio, tanto più nella fase di stagnazione capitalistica che investe l’intera Europa. Ed anzi se la grande industria e le grandi banche oggi sponsorizzano l’alternanza Prodi e il rilancio della concertazione, è proprio perché ritengono che quel menù, per essere digerito pacificamente dalle masse, richieda  la corresponsabilizzazione della sinistra politica e sociale, a partire dalla CGIL per finire (se serve) col PRC.

 

Bertinotti si adegua a Prodi (con il trucco delle primarie)

Tanto più paradossale  appare in questo contesto l’apertura di Bertinotti alle primarie programmatiche con Prodi e alla relativa disciplina di maggioranza. L’idea è stata presentata al partito con candore: “Cosa c’è di meglio di un’ampia verifica democratica nel popolo delle sinistre per spostare a sinistra il programma di Prodi? Come si può negare il valore della democrazia operaia e di massa?”

Il piccolo particolare sta nel trucco.

L’Assemblea programmatica costituente e le successive assemblee di verifica che Bertinotti prospetta non hanno nulla a che vedere con assemblee sindacali o di fabbrica, socialmente omogenee e per questo (potenzialmente) “democratiche”. Sono assemblee inevitabilmente segnate da quote di presenza prestabilite dalle nomenclature politiche e istituzionali dell’Ulivo, calibrate dagli stessi gruppi dirigenti in base ai rapporti di forza interni alla coalizione e ai suoi partiti. In quelle assisi la quota di rappresentanza del PRC e di esponenti di movimento o di sindacato ad esso vicini sarebbe, per definizione, minoritaria. Chi può seriamente pensare il contrario?

Quindi il programma del futuro governo Prodi sarebbe …“democraticamente” sancito, in misura determinante, dai  portavoce ulivisti dell’industria, delle banche e dai loro diretti sostenitori. Contro le esigenze e la volontà di quel popolo della sinistra che in questi anni non ha atteso le primarie per manifestarsi: in opposizione alle missioni militari, a difesa delle pensioni, per l’estensione dell’articolo 18, trovando il Centro dell’Ulivo su ognuno di questi terreni dall’altra parte della barricata.

Significa allora che la proposta di Bertinotti è priva di senso? Tutt’altro. Il suo significato sta esattamente nel messaggio di rassicurazione che essa offre  direttamente a Romano Prodi: “Il programma di governo sarà sostanzialmente il tuo ma devi aiutarmi a farlo digerire al mio partito e ai movimenti predisponendo una parvenza di cornice “democratica” per la sua approvazione. Perché solo così potrò cercare di motivare il mio “adeguamento”. Inoltre attraverso queste primarie otterremo entrambi un reciproco vantaggio. Mentre tu otterrai l’incoronazione presidenziale che cerchi rafforzando il tuo peso politico verso i DS e la Margherita, io otterrò l’incoronazione di leader della sinistra della coalizione ridimensionando ogni concorrenza”. E’ un caso che l’ala prodiana della Margherita si sia affrettata ad applaudire Bertinotti?

Ciò non significa affatto che l’operazione primarie si compia. Le contraddizioni interne a la Margherita e tra Margherita e DS costituiscono un fattore di ingombro.  Ciò che è certo è che dopo sei anni si è ricomposto quell’asse Prodi-Bertinotti che tra il 96-98 negoziò le peggiori misure antipopolari degli anni 90 (a partire dal pacchetto Treu). Non è poco per la borghesia italiana che infatti manifesta comprensibile sollievo. E’ un dramma per il PRC, per i movimenti, per le ragioni di lotta di questi anni.

 

Non si caccia Berlusconi, non si costruisce l’alternativa senza rompere con Prodi e i suoi banchieri

Progetto Comunista muove da una proposta  strategica opposta a quella del gruppo dirigente del PRC. Una proposta di rottura col Centro dell’Ulivo rivolta a tutto il movimento operaio, a tutti i movimenti, a tutte le loro organizzazioni, per la costruzione di un polo autonomo di classe. I fatti confermano che senza rompere con Prodi, Rutelli, D’Alema è impossibile liberare un’opposizione di massa radicale capace di puntare alla caduta del governo. I fatti dimostrano che senza rompere con Prodi, Rutelli, D’Alema non si può liberare alcun programma di alternativa vera.

Coloro che, anche “criticamente”, rimuovono la chiarezza di questo nodo, magari proponendo un negoziato più incalzante con Romano Prodi o semplicemente un maggiore investimento nei movimenti, non solo non indicano alcuna alternativa, ma coprono di fatto l’operazione in corso: nessun negoziato con i portavoce dei banchieri potrà trasformarli in amici dei lavoratori. Nessun movimento, per quanto grande, troverà uno sbocco corrispondente alle proprie ragioni entro l’abbraccio con i propri avversari. E’ tempo di chiarezza: o si sta dalla parte dei lavoratori e dei movimenti di lotta di questi anni per una alternativa di società e di potere o si sta dalla parte del padronato, dei suoi partiti, dei suoi governi, a difesa di questa società (e delle sue controriforme).

Il caso della proposta, avanzata da alcuni “critici”, di una “Consulta della sinistra di alternativa” che definisca un proprio programma è, al riguardo, emblematica. Noi non abbiamo obiezione alcuna, in sé, verso simile ipotesi. Proponiamo anzi che la si prepari concretamente senza limitarsi ad evocarla. Ma se in quella assise si proporrà, come già si preannuncia, un successivo negoziato di governo della sinistra alternativa con il centro liberale dell’Ulivo, il nostro dissenso sarà nettissimo. Non si tratta di cercare il minimo comun denominatore con Salvi e Mussi per poi trattare con Prodi. Si tratta di aprire una battaglia politica nella stessa sinistra alternativa che parli alla sua base di massa contro ogni sua subordinazione all’Ulivo. Una sinistra alternativa o è alternativa a Prodi o non è. 

Questo è lo spartiacque. Il resto è chiacchera e fumo.

 

Una proposta alternativa, unitaria ma chiara, per il VI congresso del Prc

Così è nel partito. Quelle componenti, oggi “critiche”, della maggioranza del PRC che fino ad ieri hanno votato disciplinatamente in Direzione Nazionale a favore della svolta governista e che l’altro ieri ancora magnificavano la “svolta a sinistra” dell’ultimo congresso, non possono continuare a navigare nell’ambiguità, nel tatticismo, nel sottile calcolo delle proprie convenienze.

Alla vigilia del VI Congresso non è in gioco il potere negoziale verso Bertinotti di questa o quell’altra frazione della sua maggioranza, magari in difesa della propria presenza in segreteria o nella speranza di conseguirla. In gioco c’è il partito, la sua ragione di classe, la stessa esistenza di un’opposizione comunista in Italia. Per questo fuori da ogni logica di componente, abbiamo avanzato una proposta chiara all’insieme di quei compagni e compagne del partito che, indipendentemente dalle loro vecchie collocazioni congressuali, vogliono oggi difendere la ragione di classe del PRC: la proposta di unire dal basso le nostre forze attorno ad un testo congressuale alternativo chiaro e inequivoco, che rivendichi la rottura con Prodi, la costruzione di un polo di classe anticapitalistico, il carattere irrinunciabile di un’opposizione comunista e di classe ai governi della borghesia italiana. Fuori dalla chiarezza di questi assi, ogni unità sarebbe un pasticcio opportunistico e un equivoco senza futuro. Su questi assi la più larga unità dell’opposizione interna alla svolta governista del partito potrebbe ostacolare seriamente la sua attuale deriva  indicando un’alternativa coerente. Ogni compagno, ogni compagna ha oggi davvero, più che mai, la responsabilità di una scelta potenzialmente decisiva per il futuro stesso del PRC.