Il
governo Ulivo-Prc in Campania
Una
scuola di collaborazione di classe
di Valerio Torre
Considerando quanto sia
fondamentale nell’ottica del futuro accordo nazionale Ulivo‑Prc per il
2006 la vicenda del governo della regione Campania, è il caso di ritornare
sulle vicissitudini, in altra occasione già analizzate (1), della
corresponsabilizzazione del nostro partito nelle politiche antioperaie e di
favore per il ceto imprenditoriale che la giunta Bassolino ha sinora impunemente
varato.
Nel 2000, Rifondazione
entrò in quella maggioranza ponendo tre punti "qualificanti" della
sua presenza: no ai ticket sanitari;
no ad impianti di termodistruzione; approvazione del salario sociale per i
disoccupati.
Orbene, il primo di essi
è sinora stato rispettato: non certo per il "peso" politico e
l’autorevolezza del Prc rispetto alla coalizione, quanto perché
quest’obiettivo è stato strenuamente difeso dallo stesso Bassolino per
potersi presentare come difensore delle classi disagiate. Tuttavia, proprio
negli ultimi giorni di agosto, l’assessore regionale alla sanità, Rosalba
Tufano, si è visto costretto ad elaborare, per far fronte all’enorme dissesto
finanziario, un piano economico che prevede, oltre alla dismissione di immobili
e ad accordi di partnership con
imprese farmaceutiche private, proprio l’introduzione dei ticket
sui ricoveri ospedalieri.
Il secondo "no"
è già stato seccamente ed inappellabilmente smentito dall’autocratica
decisione del presidente della Giunta regionale, che ha imposto la costruzione
del termovalorizzatore ad Acerra nonostante la ferma opposizione dell’intera
popolazione, appoggiata, non solo in sede giudiziaria ma anche nel picchettaggio
del sito dell’impianto e nei blocchi stradali, persino dal sindaco di Forza
Italia. In proposito, la denuncia del segretario regionale del Prc, Vito Nocera,
è grave: Bassolino è da lui stato, giustamente, accusato di voler
strumentalizzare l’emergenza rifiuti sul territorio campano allo scopo di
vincere le resistenze popolari ed imporre la costruzione del termodistruttore a
dispetto delle proteste; tuttavia, il partito, che del no alla termodistruzione
aveva fatto il suo vessillo a livello nazionale, non è stato e non sarà
conseguente nel mettere in discussione la propria partecipazione alla
maggioranza. L’impressione generale è che, dopo essere scesa in piazza in
difesa dei cittadini acerrani, Rifondazione "prenderà atto"
dell’ineluttabilità della decisione ed ordinatamente ripiegherà verso una
tranquilla riassunzione del proprio subalterno ruolo nella coalizione. Alla
faccia di tutti i bellicosi proclami sinora fatti!
Ora, generalmente, il
gruppo dirigente della maggioranza del Prc ci ha abituati a veder rimuovere,
tanto più rapidamente quanto più sono espressione di intransigenza (di
facciata), i "paletti" inizialmente posti: perciò, non deve più di
tanto stupire che all’abbandono delle posizioni di principio con tanto clamore
sbandierate nella fase delle trattative programmatiche con il centrosinistra non
faccia seguito un onesto ripensamento della scelta di partecipare a governi di
centrosinistra. Quando, poi, lo stesso gruppo dirigente può addirittura
rivendicare con fierezza il conseguimento di uno degli obiettivi posti,
decantando peraltro la propria capacità di avere "spostato a
sinistra" l’asse della coalizione, appare evidente che un serio bilancio
della politica di collaborazione di classe è assolutamente impensabile.
È, in fondo, quanto è
accaduto con il salario sociale, la cui legge istitutiva è stata approvata
-primo ed unico caso in Italia- dalla regione Campania. Ma è il caso di
procedere con ordine.
Il salario sociale
costituisce un vecchio pallino di Rifondazione comunista, consacrato in una
dimenticata proposta di legge (2) che,
sullo sfondo di uno slogan illusorio ed ingannatore, dal sapore parakeynesiano
("redistribuire la ricchezza, cambiare la vita"), prevedeva
l’istituzione della "retribuzione sociale" con la solita ricetta di
incentivi alle imprese che avessero assunto un fruitore del sussidio e
addirittura l’immediata perdita della sovvenzione per il disoccupato che
avesse rifiutato una qualsiasi offerta di lavoro, persino a tempo parziale:
tutto questo per la durata di soli tre anni.
Naturalmente, tale
progetto legislativo è rimasto nei polverosi archivi di Montecitorio.
Ma, nel luglio del 2002,
in sede di approvazione della legge di bilancio della regione Campania, grazie
anche al voto favorevole di Alleanza nazionale, quel che non era riuscito a
livello nazionale vide la luce sul territorio regionale. Un miracolo! Ma, come
vedremo, san Gennaro, l’unico al quale probabilmente i prodigi riescono, non
ci aveva messo per nulla lo zampino.
Sulla stampa del partito
(3) l’entusiasmo andò alle stelle: si parlò di "fatto politicamente straordinario", frutto del lavoro
svolto "con pazienza sul versante sociale (il rapporto costante con i
movimenti di disoccupati) e su quello politico‑istituzionale (la
definizione della cornice normativa e l’individuazione delle risorse)";
si sottolineò il “fastidio” da parte di chi "punta per il Mezzogiorno
a concentrare ogni risorsa in direzione di incentivi per le imprese"; si
definì "uno schiaffo allo strapotere dell’impresa" la scelta di
"utilizzare risorse finanziarie a sostegno del reddito di chi è privo di
un lavoro".
Come spesso accade nel
nostro partito, tali grida di giubilo servivano a mascherare una ben diversa
realtà: trattandosi di provvedimento contenuto nella legge di bilancio,
occorreva approvare la relativa legge attuativa e, soprattutto, destinarvi le
risorse. Quest’ultimo aspetto, tanto enfatizzato da Nocera e De Cristofaro
era, al contrario, il più carente, dal momento che il Consiglio regionale aveva
previsto, per il finanziamento della misura (300 miliardi di vecchie lire)… il
censimento, l’immissione sul mercato e la successiva vendita di parte del
patrimonio immobiliare regionale. Una bazzecola, insomma!
Ebbene, a distanza di
oltre un anno da quello "storico" provvedimento, non si è provveduto
neanche a stilare la lista dei beni da dismettere. Con la conseguenza che il
salario sociale è rimasto aria fritta, mentre il "rapporto costante con il
movimento dei disoccupati" si è frattanto così deteriorato che è oggi
palpabile al loro interno l’egemonia sia di frange camorristiche che di
movimenti neofascisti. Ed il partito, invece di tentare di spezzare
quest’egemonia, ha pressoché abbandonato a sé stesso il movimento, sposando
una linea "istituzionale" (di cui l’assessore provinciale del Prc,
Corrado Gabriele, si è fatto promotore): un roboante "piano per il
lavoro", consistente in nient’altro che nell’istituzione di in un
centro di colloquio ed orientamento dei disoccupati per venire incontro alle
esigenze delle imprese.
Ma non è finita qui.
Infatti, un disegno di legge proposto dalla Giunta ha partorito un’altra
“perla”: il reddito di cittadinanza. Si tratta di un sussidio di 300 euro
mensili per circa ventimila nuclei familiari. Roba da ex E.C.A., insomma. E,
come se non bastasse, anche in questo caso l’iter per l’effettiva erogazione è tutt’altro che agevole: il
d.d.l. dovrà essere discusso da due commissioni consiliari e, quindi dal
Consiglio regionale. Una volta approvato, la Giunta dovrà emanare il
regolamento attuativo e, quindi, rimettere l’effettiva applicazione della
misura ai Comuni interessati, i quali dovranno pubblicare i bandi, vagliare le
domande degli interessati… che nell’attesa potranno grattarsi la pancia
leggendo sulla stampa le espressioni di “soddisfazione” degli esponenti del
Prc (4).
Insomma, il salario
sociale, il reddito di cittadinanza ed altre misure così concepite -che non
mettono affatto in discussione il capitale ed il carattere liberale e borghese
delle coalizioni di centrosinistra che le approvano- appaiono come il prezzo (un
ben misero prezzo!) che queste, soddisfatte, pagano per la collaborazione che
Rifondazione comunista offre loro.
Ed è molto verosimile
che, sul piano nazionale, in vista dell'accordo di governo per il
post-Berlusconi, il "laboratorio Campania" sia di esempio per Prodi e
la borghesia "progressista": una vera e propria scuola di come si
pratica la collaborazione di classe.
1. Progetto
comunista, vecchia serie, aprile 2002.
2. N. 6722, presentata il 1° febbraio 2000.
3. Liberazione,
13 luglio 2002, Il salario sociale è
realtà, di Vito Nocera e Peppe De Cristofaro.
4. il manifesto,
12 luglio 2003.