A proposito di un dibattito estivo

O Gramsci o Togliatti

La storia (del togliattismo) maestra di "compromessi dinamici" con la borghesia: ma Gramsci non c'entra

 

di Francesco Ricci

 

Sul polverone sollevato dal Corriere della Sera quest'estate ci sarebbe poco da dire. Più che oscure finalità politiche sembrava celare la necessità redazionale di riempire qualche pagina lasciata vuota dai pettegolezzi politici correnti.

L'articolo di Silvio Pons (direttore dell'Istituto Gramsci) rivelava le sue reali ambizioni fin dal titolo -"Gramsci tradito da Togliatti, nuovi indizi per un complotto"- echeggiante misteri nello stile del miglior Dumas (Montecristo) piuttosto che non ricerche d'archivio e rigore storico.

Pons annunciava il ritrovamento negli archivi del Comintern a Mosca di una lettera di Julia e Eugenia Schucht a Stalin del dicembre '40. In questa lettera, la moglie di Gramsci e una delle cognate chiedono un intervento di Stalin a tutela del lascito culturale del dirigente comunista sardo (morto nel '37 in prigionia): non fidandosi di Togliatti e alludendo a sospetti di Gramsci stesso in tal senso.

Le puntate successive di questo feuilleton non mettono conto nemmeno di essere riassunte qui. Il Corriere -dopo aver inventato il "caso"- ha interrogato storici e semi-storici, in particolare quelli considerati "esperti" del Pci e di Togliatti. Gran parte di questi (Vacca, Agosti, Lepre) pur con argomenti diversi hanno assolto Togliatti da ogni accusa, rivendicandone i meriti nell'aver indirizzato il partito nell'alveo democratico, ecc.

 

La parte più interessante del dibattito è continuata su Liberazione.

La prima difesa è stata lasciata a Tonino Bucci (18/7/03) che ha gridato al complotto "contro la storia del Pci", aprendo un fuoco di sbarramento contro tutto e tutti, senza ben prendere la mira, nell'evidente scarsa conoscenza, per così dire, dei temi in discussione. Cessato il fuoco dell'obice, è partito alla carica con la sciabola sguainata Alberto Burgio (filosofo e dirigente dell'area dell'Ernesto). "Contro Togliatti solo sospetti" ha sentenziato già dal titolo. E, col tono di un giureconsulto più che con argomenti storici, dopo aver fatto notare che la lettera pubblicata dal Corriere è indicativa solo dei sospetti delle sorelle Schucht ma non contiene nessuna prova valida in un tribunale, ha assolto Togliatti. Non solo: essendo Togliatti prosciolto per l'inconsistenza delle prove... con doppia capriola logica Burgio ne ha assicurato a questo punto il ruolo imprescindibile nella "storia dei comunisti", dando in conclusione una spolveratina all'altare su cui viene da decenni celebrato il rito canonico: Gramsci-Togliatti-Longo-Berlinguer... e (si presume ma per modestia non viene esplicitato) Grassi-Burgio. Fin qui nulla di particolare, si dirà. Salvo l'opportunità di segnalare che nell'opera di salvaguardia delle "grandi icone del comunismo mondiale" (sic) dal tentativo di "criminalizzarle", Burgio mette in fila accanto a Lenin anche il traditore del suo testamento (letteralmente): Stalin. Pur rimarcando che con le ricostruzioni scandalistiche del Corriere Stalin viene presentato come migliore di Togliatti: laddove secondo Burgio la giusta gerarchia andrebbe rovesciata.

 

A risistemare un po' le cose, almeno dal punto di vista storico, ci ha pensato Antonio Moscato. Il suo articolo su Liberazione ("Molto rumore per nulla?", 27 luglio 2003) ricostruisce le coordinate della vicenda che Bucci e Burgio hanno ignorato o ignorano (i due termini sono interscambiabili). Su questi punti il nostro giudizio è simile alle conclusioni di Moscato. Gramsci ruppe con Togliatti e con le posizioni del Pci e dell'IC stalinizzata e fu per questo isolato in carcere dal partito; Togliatti pubblicò le opere di Gramsci, ma lo fece piegandole (specie i Quaderni) a una lettura falsificata che trasformava Gramsci in precursore della "via italiana al socialismo" (leggi: gradualismo); mentre le opere "meno duttili" di Gramsci -gli scritti sull'Ordine Nuovo in particolare- che non potevano servire a questo scopo, furono ristampate con incredibile ritardo (nel 1966!); Togliatti -a differenza di Gramsci- fu non solo artefice ma dirigente di primissimo piano dello stalinismo.

 

Non è questa la sede per approfondire il ruolo di Gramsci dalla fondazione del Pcd'I a Livorno in poi. Può essere però utile richiamare alcune tappe dell'evoluzione della sua battaglia per respingere le letture "togliattiane" di Gramsci ma anche per evidenziare i limiti di una certa lettura antistalinista che ha teso (pensiamo a Maitan e a Moscato) a enfatizzare alcune differenziazioni di Gramsci dallo stalinismo per presentare il dirigente rivoluzionario se non proprio come un trotskista come un surrogato del trotskismo in Italia: ignorando viceversa o comunque non contribuendo a ricostruire la storia dimenticata della battaglia dell'Opposizione italiana allo stalinismo che fu combattuta su un terreno realmente marxista rivoluzionario, cioè trotskista (ci riferiamo alla Nuova Opposizione Italiana di Pietro Tresso, e in generale ai comunisti italiani direttamente legati a Trotsky e alla battaglia per la costruzione della Quarta Internazionale).

 

E' stata più volte pubblicata (anche da Liberazione) la famosa lettera scritta da Gramsci nel '26 a nome dell'Ufficio Politico del Pci al Comitato Centrale del PC russo. In questa lettera (ma in una lettera del '24 la posizione di Gramsci sul ruolo di Trotsky nell'Ottobre è più netta) Gramsci in realtà si schiera -seppure con scarsa convinzione e senza argomentazioni- con la maggioranza russa (Stalin-Bucharin) contro le opposizioni. Eppure riconosce in Trotsky un "maestro" e invita il gruppo dirigente attorno a Stalin a "non stravincere", a non usare metodi amministrativi nel dibattito politico. Come è noto, Togliatti da Mosca si oppone alla consegna della lettera e su questo inizia un carteggio (1) con Gramsci e con i dirigenti del partito in Italia per convincerli. Per Togliatti non basta schierarsi con Stalin, bisogna "aderire senza limiti" alla linea della maggioranza (l'espressione è sua) e non permettersi nessun distinguo. Gramsci gli risponde: "il tuo modo di ragionare mi ha fatto un'impressione penosissima".

Alla fine, comunque, la lettera non arrivò mai a tutti i membri del CC e venne letta solo da alcuni dirigenti russi (se ciò avvenne per una censura operata autonomamente da Togliatti, o perché -secondo documenti trovati negli archivi russi in tempi più recenti- il gruppo dirigente in Italia accettò la posizione di Togliatti di aspettare altre sedi per porre la questione, è relativamente secondario).

 

Ma la differenziazione di Gramsci si spostò in seguito sul terreno più squisitamente politico. Sappiamo ad esempio dalle testimonianze del fratello Gennaro (che lo visitò in carcere nel giugno del '30), di Athos Lisa (che fu in carcere con lui) che Gramsci non condivise la "svolta ultrasinistra" dell'Internazionale, il cosiddetto "terzo periodo", quello in cui Stalin e Togliatti teorizzavano il "socialfascismo" e cioè l 'equivalenza tra socialdemocrazia e fascismo o addirittura la maggior pericolosità della socialdemocrazia rispetto al fascismo (fino a sostenere, in nome del "tanto peggio, tanto meglio", che l'eventuale vittoria di Hitler in Germania avrebbe comportato come elemento positivo il risveglio della classe operaia e dunque nuove vittorie dei comunisti...).

 

Nel '28-'30 Gramsci era quindi in dissenso netto. Non servirebbero peraltro testimonianze dirette per esserne certi: basterebbe ricordare che la sua battaglia contro Bordiga per riorientare il Pci e liberarlo delle posizioni settarie che lo avevano caratterizzato sin da Livorno (battaglia a cui Gramsci fu spinto e convinto specialmente nella discussione a Mosca con i dirigenti dell'Internazionale, Trotsky in primo luogo) era nata in polemica con il rifiuto bordighista della tattica del fronte unico (che l'Internazionale vedeva come uno strumento per smascherare il ruolo reale delle tradizioni riformiste e guadagnare ai Pc la maggioranza dell'avanguardia e delle masse).

Infatti se per tutta una fase -anche in virtù del ruolo relativamente secondario che ricopriva- Gramsci aveva accettato la direzione di Bordiga sul partito, digerendo le Tesi di Roma del '22 (il primo reale congresso programmatico) che l'Internazionale aveva severamente criticato (attraverso la penna di Trotsky) perché respingevano le principali acquisizioni tattiche del Terzo congresso dell'IC, dopo il periodo moscovita si era deciso a condurre la battaglia nel Pci. Battaglia che culminerà con la vittoria delle sue tesi nel congresso di Lione (1926). Tesi inconciliabili con le teorizzazioni "socialfasciste" di Stalin e Togliatti che per certi versi riprendevano -in termini peggiorativi e con fini meno nobili- alcune posizioni del settarismo bordighista.

 

I sospetti di Gramsci in carcere (sospetti che solo Tonino Bucci ignora, mentre persino lo storico ufficiale per antonomasia del Pci, Spriano, riconosce -pur negandone il fondamento) derivano dunque essenzialmente da questo: Gramsci sa di essere in dissenso col partito. E quella è un'epoca in cui a chi dissente non viene riservato un trattamento d'onore. Difatti il collettivo comunista in carcere lo ha isolato perché nelle discussioni esprime il proprio dissenso. E dal partito "esterno" gli arrivano solo lettere strane, come quella di Grieco (del '28) in cui si esalta il suo ruolo nel gruppo dirigente del partito: una lettera che lo insospettisce perché viene letta dalla censura (e un magistrato gli fa una battuta su "certi amici che forse lo preferiscono dentro") rivelando il suo ruolo nel gruppo dirigente, mentre per ragioni di sicurezza contro la repressione fascista gli organigrammi del partito erano tenuti segreti. Scarsa importanza ha poi l'aver dimostrato (come ha fatto Spriano - 2) che la polizia fascista già conosceva la composizione del gruppo dirigente del Pci e quindi Grieco non avrebbe compromesso ulteriormente la posizione di Gramsci. Grieco ignorava evidentemente cose che Spriano ha potuto scoprire decenni dopo negli archivi. Questo episodio rimarrà impresso nella mente di Gramsci tanto che, ancora quattro anni dopo, in una lettera alla cognata Tatiana, fa riferimento a "certi stupidi" che scrivono lettere pericolose (Grieco) e ad altri "meno stupidi" che le hanno ispirate (riferendosi evidentemente a Togliatti, di cui Grieco erano stretto collaboratore).

Gramsci, insomma, sospetta di essere stato abbandonato dal partito. E questo spiega il tono di alcune sue lettere che -fino alla ricostruzione delle vicende sopra citate e al ritrovamento anche in tempi recenti di ulteriori documenti- sono state lette più come un documento umano che politico, vedendo in esse uno scoramento personale, familiare, con riferimenti all'allontanamento della moglie Giulia, ecc.; mentre certi passaggi, riletti alla luce dello scenario politico sopra sommariamente indicato, assumono ben altra rilevanza.

 

Si tratta, come il lettore che ci ha seguiti fin qui avrà constatato, di vicende intricate: rese di ancor più difficile lettura dalla necessità di scrostare la storia da decenni di falsificazioni operate dagli storici stalinisti. Torneremo in modo più approfondito (anche sulla nostra rivista teorica, MR) su questi temi perché la storia del comunismo italiano è di grande importanza per chi è impegnato nella rifondazione comunista. A mo' di conclusione possiamo qui riepilogare alcuni punti. Primo, Gramsci sicuramente non condivise tutte le svolte dell'Internazionale caduta nelle mani di Stalin. Secondo, Togliatti -viceversa- fu di quelle svolte non un riluttante interprete ma uno dei principali ideatori. Il suo ruolo per un lungo periodo come numero due nell'Internazionale; lo zelo con cui difese i "processi di Mosca" e coniò contro il gruppo dirigente bolscevico, il Comitato Centrale di Lenin quasi al completo che veniva processato, la definizione di "agenti del fascismo in seno al movimento operaio"; il suo sostenere ancora nel '56 (nella famosa intervista su Nuovi Argomenti) che in quei processi ci fu certo qualche "eccesso" giustificato però dal fatto che sul banco degli imputati sedevano dei "terroristi"; il suo ruolo come liquidatore della rivoluzione in Spagna negli anni Trenta; la sua partecipazione allo scioglimento del KPP (per "trotskismo") alla vigilia dell'invasione nazista della Polonia; e l'intera vicenda di quei decenni fanno di Togliatti l'esatto capovolgimento di Gramsci.

 

Non servono squadre di investigatori e il ritrovamento di nuove "prove" (per usare l'espressione del Responsabile Giustizia del partito, Burgio) per confermare le responsabilità e il ruolo di Togliatti. Basta studiare la storia su manuali non falsificati. Ma il crimine maggiore di Togliatti, se si vuole, è davanti a tutti. Togliatti (e il gruppo dirigente che aderì allo stalinismo) reintrodusse nel Pci quel concetto di collaborazione di classe contro cui il Pcd'I di Livorno era nato. L'idea secondo la quale i comunisti possono collaborare o partecipare a governi con la borghesia cosiddetta "progressista" (idea canonizzata a metà degli anni Trenta e sperimentata disastrosamente con i fronti popolari in Francia e Spagna, e poi con la partecipazione, anche in Italia, alla ricostruzione dello Stato borghese nella dopoguerra). Contro questa "teoria" il marxismo rivoluzionario si è battuto fin dai tempi di Marx ed Engels. Non in nome di una qualche estraneità morale dei comunisti alla "gestione del potere" ma in nome dell'estraneità di classe che i comunisti devono necessariamente mantenere nei confronti dei governi della borghesia, distruggendo ogni illusione in essi che può essere coltivata dai lavoratori, se vogliono realizzare il governo e il potere dei lavoratori, il dominio del proletariato.

 

Come si vede il dibattito su Gramsci e Togliatti si fa a questo punto meno "storico" e più attuale (dimostrando peraltro che la Storia è meglio non lasciarla agli storici -veri o presunti- ma va conosciuta a fondo da ogni militante comunista). Allora non ci stupiamo se anche quest'estate, come ogni anno, la segreteria nazionale del Prc ha mandato una propria delegazione sulla tomba di Togliatti per commemorare "il grande dirigente comunista". E' giusto, in fondo, che il gruppo dirigente del partito che vuole condurre il Prc a un governo di collaborazione di classe (con l'Ulivo), riedizione in sedicesimo dei governi di collaborazione di classe di cui Togliatti fu il Migliore dei maestri, celebri il dirigente stalinista. E noi non ci stupiamo -a differenza di Moscato- che Liberazione affidi la ricostruzione della storia prevalentemente ai disinvolti Bucci e Burgio, con un evidente disinteresse alla formazione storica dei militanti. L'"antistalinismo bertinottiano" a cui Moscato fa buona guardia (lamentando la scarsa vigilanza dei bertinottiani stessi -3) è un recipiente vuoto. L'etichetta garantisce il ripudio dello stalinismo, ma il contenuto ne conserva intatta la sostanza. Si rifiuta "l'ipotesi novecentesca di conquista del potere", per usare le testuali parole di Bertinotti (4), perché il potere porterebbe solo corruzione, sciagure e stalinismo: ma non si disdegna la "conquista" di qualche ministero in un governo liberale: ovviamente "per rendere efficace il movimento e dare forza alle sue ragioni". Palmiro Togliatti può essere legittimamente invocato come musa ispiratrice di questa politica. Ma Antonio Gramsci non c'entra. Per nulla.

 

 

(1) Il carteggio tra Togliatti e il gruppo dirigente italiano e altri documenti preziosi possono essere letti in Gramsci a Roma, Togliatti a Mosca. Il carteggio del 1926, a c. di C. Daniele, con un saggio di G. Vacca, Einaudi, '99).

(2) P. Spriano, Gramsci in carcere e il partito, Ed. Riuniti, '77 ed edizione aggiornata l'Unità '88.

(3) Cfr. gli articoli di Moscato in Bandiera Rossa News 157 e 158 (19 e 20 luglio).

(4) Fausto Bertinotti, "Caro Pierluigi...", carteggio con P. Sullo su Carta, anche in Liberazione dell'11/09/03.