Lettera aperta ai/alle Giovani Comunisti/e impegnati/e nelle mobilitazioni studentesche

 Per l'autonomia di classe del movimento studentesco

 Contro l'accordo di governo tra Prc e Ulivo, per la costruzione di un polo di classe anticapitalista: "un' altra scuola possibile" non passerà per un governo con Berlinguer e De Mauro

 

di Luca Belà, Nicola Di Iasio, Fabiana Stefanoni

 

"Riforma" Berlinguer e "riforma" Moratti: la scuola di classe dei due poli borghesi

 

Con l'inizio dell'anno scolastico è entrata in vigore - sebbene con ritardi e nel il buio più totale circa i tempi d'attuazione - la riforma Moratti, che segna un'accelerazione in senso privatistico e aziendalistico dei processi di smantellamento della scuola pubblica avviati dal Centrosinista. Nel più vasto quadro dei drastici tagli ai servizi pubblici voluti dalle finanziarie di entrambi i poli della borghesia italiana - ulteriormente legittimati a livello internazionale da Ocse e Wto con i recenti accordi Gats - la scuola italiana procede a grandi passi verso la totale privatizzazione.

La Riforma Moratti non segna un salto qualitativo rispetto all'immediato passato, ma si pone nel solco delle politiche dei ministri ulivisti Berlinguer e De Mauro: è stato proprio il Centrosinistra, confermandosi rappresentante privilegiato della grande borghesia italiana, ad attuare i passaggi più deleteri in direzione della svendita dell'istruzione pubblica.

A partire dall'estate del '99, infatti, sono state approvate le famigerate leggi di Parità e Autonomia scolastica, che garantivano rispettivamente: l'inserimento a pieno titolo (con tanto di finanziamenti pubblici) delle scuole private parificate nel sistema dell'istruzione pubblica e l'autonomia finanziaria e didattica dei singoli istituti. In termini concreti, la legge di Parità Scolastica (il cosiddetto sistema integrato pubblico-privato) significa che le scuole private a pagamento, perlopiù d'ispirazione confessionale, accessibili solo ai rampolli della borghesia, ricevono non solo piena legittimità, ma anche cospicui "incentivi" economici da Stato e Regioni. La legge di Autonomia scolastica non solo ha permesso ai singoli istituti di autoregolarsi in materia di finanziamento - con la conseguente gerarchizzazione delle strutture in base alle disponibilità economiche - ma, soprattutto, si è dimostrata funzionale all'ingerenza delle imprese private nell'ambito formativo. Significativo è il fatto che l'attuale governo reazionario delle destre non abbia ritenuto di dover modificare tali leggi, ritenendole abbondantemente in linea con gli interessi di Confindustria e padronato.

Del resto, la riforma Berlinguer sistematizzava un principio che oggi viene ripreso ed esteso con gioia dalla ministra Moratti: le imprese locali, padroni e padroncini, sono riconosciuti "soggetti formativi" e, in virtù dell'autonomia - pensata proprio in vista di un più intenso raccordo con le imprese -, hanno acquisito diritto d'intervento nella programmazione dei percorsi didattici. Da qui, l'alternanza scuola-lavoro eretta a principio, col connesso sfruttamento di forza-lavoro a costo zero attraverso gli stage in azienda, momenti formativi imprescindibili agli occhi dei ministri di entrambi gli schieramenti (e agli occhi del padronato italiano, ben lieto di vedersi addirittura garantiti cospicui incentivi in cambio del disturbo: si veda, tra l'altro, l'art 2 del Libro Bianco di Marco Biagi, che prevede il finanziamento a tutte le forme di lavoro non retribuito mascherate col pretesto della formazione).

Un altro aspetto ben radicato nella precedente riforma è ora ripreso ed aggravato dalla Moratti: il doppio canale tra istruzione liceale e formazione professionale, che convoglia fin dai 14 anni gli studenti proletari verso la seconda, in gran parte gestita da soggetti privati e totalmente in balia delle esigenze di grandi e piccoli capitalisti. La cosiddetta scuola di secondo grado diventa, in questo modo, uno dei tanti mezzi attraverso cui la selezione di classe segna, fin dall'adolescenza, il destino dei figli delle famiglie più disagiate.

Ma la riforma Moratti è soprattutto la riforma del Vaticano e, grazie ad essa, il governo delle destre si presenta come l'alfiere degli interessi di quel blocco sociale che fa riferimento alla chiesa cattolica e alle connesse scuole di stampo confessionale: sono stanziati ben 90 milioni di euro (per il triennio 2003-2005) per le famiglie che iscrivono i figli alle scuole private (anche se non bisogna dimenticare le non indifferenti agevolazioni elargite già ai tempi del governo D'Alema...) ed è stata approvata una legge che prevede l'immissione in ruolo degli insegnanti di religione cattolica designati dalle curie vescovili, con lo stesso trattamento economici e giuridico degli altri docenti e con la possibilità, addirittura, di accedere alle altre classi di concorso (alla faccia degli oltre 100 mila precari che da anni aspettano l'assunzione).

L'opposizione alla riforma Moratti deve essere netta e totale. Come comunisti, dobbiamo rivendicare il ritiro immediato della riforma stessa, nel quadro più ampio di un'opposizione di classe al governo Berlusconi fino alla sua cacciata. Non a caso, la riforma si accompagna ai drastici tagli previsti dalle finanziarie, intenzionate a far ricadere sulle spalle dei lavoratori della scuola il deficit di bilancio. In questo contesto vanno letti una serie di provvedimenti relativi alla riorganizzazione dei tempi e degli spazi formativi: l'abolizione del tempo pieno, il taglio degli organici, l'accorpamento degli insegnamenti, il ricorso ad appalti esterni per lo svolgimento di funzioni amministrative.

Ma l'opposizione a questa riforma non va slegata dalla consapevolezza che essa non rappresenta nulla di particolarmente nuovo rispetto al quella dell'Ulivo, spalleggiata ed acclamata dalla burocrazia Cgil nonché da Udu/Uds e Sinistra Giovanile: lo scopo del Centrosinistra era e resta quello di mostrarsi, agli occhi del padronato, il rappresentate ideale degli interessi del capitalismo italiano, per il quale è stata progettata una scuola funzionale agli interessi della produzione e dello sfruttamento, senza alcun riguardo per il valore sociale dell'istruzione. A partire da questa consapevolezza, deleterio sarebbe per i Giovani Comunisti, per la possibilità di un loro radicamento nelle lotte studentesche e ai fini dell'egemonia anticapitalistica, l'annunciato accordo politico di governo tra Prc e Ulivo in vista della prossima legislatura.

 

I governi regionali: un'accelerazione dei processi di privatizzazione e destrutturazione

 

La Devolution bossiana aggrava un altro aspetto introdotto dal Centrosinistra nella passata legislatura: il conferimento di maggiori poteri alle regioni in fatto di gestione dei servizi sociali, tra cui la scuola. Con la riforma del capo V della Costituzione, il padronato italiano otteneva in regalo dall'Ulivo la possibilità di controllare in maniera più diretta e capillare il sistema dell'istruzione, con l'opportunità di interventi ad hoc a seconda delle esigenze del tessuto produttivo locale. Questo ha significato - e continua a significare - maggior frequenza di privatizzazioni, arbitrarietà nella gestione dei fondi pubblici (spesso e volentieri convogliati negli istituti professionali, gestiti in gran parte dai privati) e dei criteri d'assegnazione di esoneri e borse di studio (con tendenza al privilegio del criterio "meritocratico").

Non a caso, le regioni hanno fatto da anticipatrici di successive manovre nazionali che andavano nel senso della destrutturazione del sistema pubblico. E' il caso della legge Rivola del '99 in Emilia Romagna (varata dal Centrosinistra), in assoluto la prima legge in Italia a prevedere finanziamenti pubblici agli istituti privati. Ovviamente, le regioni governate dal Centrodestra non hanno esitato a volgere la "regionalizzazione" della scuola a vantaggio degli istituti confessionali: con la politica dei famigerati "buoni scuola", che porta alle estreme conseguenze i principi che stanno alla base delle Leggi nazionali di Parità, i finanziamenti vanno ormai quasi esclusivamente agli iscritti alle scuole private: è il caso della Lombardia, dove gli studenti delle statali si devono letteralmente accontentare delle briciole lasciate dai più fortunati colleghi delle ricche scuole e università private, le quali, non a caso, proliferano sul territorio.

Ma, anche a livello regionale, il Centrosinistra non manca di competere col Centrodestra: la legge recentemente varata dalla Regione Emilia Romagna (col voto favorevole del Prc, che fa parte dell'alleanza di governo) è emblematica: riconfermando il principio alla base delle leggi nazionali di Parità, la legge prevede finanziamenti diretti e indiretti agli istituti privati (come le scuole materne) e potenzia il "sistema integrato istruzione-formazione professionale", con tanto di finanziamenti adibiti a tale tipo di formazione (per più del 90% gestiti da privati). Il fatto che il Prc si sia reso complice, in Emilia Romagna, di questo attacco padronale al diritto allo studio riconferma la necessità di una rottura con le giunte locali di Centrosinistra: ogni alleanza di governo con le forze borghesi dell'Ulivo ci rende complici di manovre contrarie agli interessi degli studenti e dei lavoratori della scuola.

Una vera opposizione alla disgregazione del sistema scolastico nazionale - disgregazione che passa anche dalla proliferazione di leggi regionali che reinterpretano a piacimento dei padroncini locali le leggi nazionali - non può che passare dall'abbandono di qualsiasi avvicinamento al Centro liberale dell'Ulivo e dall'uscita immediata da tutte le giunte di collaborazione di classe. Solo a partire da queste premesse i Giovani Comunisti potranno efficacemente intervenire nel movimento studentesco a difesa degli interessi di classe del proletariato e contro l'abbandono della scuola agli interessi del capitale finanziario.

 

L'Università di Zecchino e De Maio: selezione di classe, ingerenza dei privati, mercificazione dei saperi

 

L'autunno sarà segnato dal tentativo, da parte del governo delle destre, di infliggere un'altra batosta al diritto allo studio, attraverso una nuova riforma dell'Università. Il testo - per quanto provvisorio - è già in discussione e delineato nei suoi caratteri essenziali.

Significativo è il fatto che la Moratti abbia affidato il compito di redigere la bozza della riforma a De Maio, il rettore di una grande università privata italiana, la Luiss. Ma, anche in questo caso, il Centrodestra trova la strada dello smantellamento del diritto allo studio ben spianata dal governo precedente: la nuova proposta di riforma si compone di una serie di emendamenti che non fanno altro che rafforzare le direttive della Zecchino (la riforma dell'Università voluta dal Centrosinistra).

Anzitutto viene riconfermato in pieno il principio dell'autonomia didattica e finanziaria degli atenei, che, già con la Zecchino, diventano veri e propri poli aziendali in concorrenza tra loro e gestiti a piacimento da "rettori-manager", liberi di procurarsi finanziamenti e collaborazioni di qualsiasi tipo ne "bel mondo" dell'impresa e di elevare a piacimento le tasse universitarie. Tra gli aspetti cardine della collaborazione con le imprese - celebrata dall'Ulivo e concretizzata attraverso apposite "convenzioni" con le stesse - vi è l'utilizzo indiscriminato degli stage in azienda: per le imprese, si tratta di un regalo non indifferente di forza-lavoro a costo zero (con tanto di riconoscimento per l'impegno formativo). Ma, soprattutto, col sistema dei "crediti formativi" (altra chicca del Centrosinistra), ora in vigore e riconfermato dalla "bozza De Maio", le prestazioni gratuite in azienda acquistano "peso didattico", ovvero equivalgono alle altre attività formative.

Altro aspetto saliente della riforma Zecchino era lo scorporamento dei corsi universitari in "lauree" (3 anni di frequenza) e "lauree specialistiche" (ulteriori 2 anni di frequenza). Si trattava di un "ingegnoso" sistema per incrementare la selezione di classe all'Università: chi mai riusciva ad arrivare - pagando cospicue tasse - alla laurea di primo livello, si trovava di fronte, per accedere ai livelli successivi, a invalicabili quote d'iscrizione, decise arbitrariamente dai CdA degli atenei. E' un fatto tanto più grave se si considera che ad oggi non tutti gli atenei hanno attivato dei corsi di specializzazione (per cui per molti studenti il fermarsi al primo livello è pressoché obbligatorio) e che tutto questo va di pari passo con il progressivo smantellamento delle già poche strutture studentesche (case dello studente, mense, sale studio) e dei già pochi sostegni economici per gli studenti proletari (esoneri tasse, borse di studio, buoni pasto).

Niente di questo quadro delineato dal polo borghese dell'Ulivo cambia, nella sostanza, con la nuova proposta di riforma: a Moratti e De Maio non resta che infliggere il colpo finale al diritto allo studio universitario. Da quello che è possibile dedurre dalla bozza, a parte i cambiamenti puramente d'immagine (la laurea specialistica si chiamerà, d'ora in poi, laurea di secondo livello), pare che con la nuova riforma si intenda canalizzare la formazione universitaria fin dal primo livello di laurea. Detto in altre parole, se il precedente assetto prevedeva un triennio formativo volto all'acquisizione di conoscenze di base, ora anche la laurea di primo livello potrà configurarsi come esclusivamente professionalizzante, direttamente volta a soddisfare le esigenze delle imprese locali: ne seguirà un incremento delle ore dedicate a stage e "tirocini formativi" in azienda. Se da un lato questa anticipazione alla "prima laurea" dei meccanismi di selezione di classe si spiega con l'esigenza di soddisfare le richieste del padronato di forza-lavoro a costo zero, dall'altro lato essa risponde anche all'esigenza di ridurre i costi dell'Università stessa, considerati i pesantissimi tagli previsti dalle ultime finanziarie. Verificata l'impossibilità da parte di molti atenei di attivare i corsi di specializzazione, non resta che... disincentivare la maggior parte degli studenti a proseguire gli studi.

Proprio alla luce di ciò si chiarisce, a nostro avviso, un altro aspetto peculiare dell'attuale proposta di riforma: il fatto che ancora maggiori libertà vengono lasciati ai singoli atenei nello stabilire quali corsi attivare e quali no, quali criteri di accesso individuare per ogni corso di laurea specialistica (a numero ovviamente chiuso) e, come sempre, quali "contributi" far pagare. Non è difficile immaginare che gli studenti degli atenei delle zone depresse del paese saranno costretti a ripiegare esclusivamente sui corsi "professionalizzanti" del primo livello. Evidentemente, sarà impossibile procedere ai livelli superiori anche attraverso il trasferimento in atenei più ricchi, dato che i criteri di selezione saranno rigorosamente meritocratici, stabiliti da arbitrari regolamenti didattici d'ateneo, accompagnati da tasse altissime e dall'obbligo di frequenza, che taglia preventivamente le gambe a chi mai pensasse di lavorare per mantenere i costosissimi studi. Insomma, sembrano dirci gli addetti alla riforma: "studenti proletari ringraziate il cielo se, una volta aver scampata la canalizzazione precoce a 14 anni verso le scuole professionali, riuscirete a permettervi un corso di laurea breve e privo di valore legale per l'accesso ai concorsi pubblici! l'università "vera" è roba per pochi ricchi e fortunati..."

Le cose non vanno certo meglio per quanto riguarda la ricerca: i tagli sono ben noti, tanto che recentemente hanno provocato addirittura le dimissioni in massa dei baroni-rettori: il contentino promesso con la tassa sul fumo per finanziare la ricerca avrà pure convinto i signori rettori a tornare sui loro passi (ma qualcuno credeva che facessero sul serio?) ma non ha certo soddisfatto le centinaia di migliaia di borsisti che dovranno scordarsi per sempre un posto fisso da ricercatore ed uno stipendio dignitoso; né il personale amministrativo, che sarà costretto a rassegnarsi al destino dell'appalto a privati, con tutti gli annessi e connessi in termini di tagli del personale e precarizzazione del rapporto lavorativo. Non bastasse tutto questo, come previsto dall'art 1 del Libro Bianco di Maroni, le Università ricevono l'autorizzazione a svolgere attività di fornitura o intermediazione di manodopera (quello che, per intenderci, un tempo era compito esclusivo degli uffici di collocamento): l'istruzione universitaria è così ridotta a mera appendice della liberalizzazione del mercato del lavoro.

Anche le Università italiane si avviano, evidentemente, a diventare fondazioni di diritto privato. Ma è bene ricordare che questo processo è stato innescato dal Centrosinistra e che le politiche filopadronali della destra non sono altro che variazioni sullo stesso tema: la riforma De Maio null'altro fa se non drammatizzare aspetti ben delineati dalla riforma dell'Ulivo, difesa a spada tratta dalle organizzazioni studentesche organiche al Centrosinistra, quali, anzitutto, Udu e Sinistra Giovanile. Per questo, è necessario che i Giovani Comunisti intervengano in modo capillare negli ambiti universitari, presentandosi quali rappresentanti delle istanze di chi ha subito e sta subendo gli effetti devastanti delle politiche classiste e filopadronali del Centrodestra e del Centrosinistra. Ciò sarà possibile solo se i Giovani Comunisti e il Prc abbandoneranno la sciagurata ipotesi di un'alleanza di governo con chi si è fatto promotore di riforme dell'Università direttamente volte ad escludere dal diritto allo studio gli studenti proletari.

 

Alcune parole d'ordine: occupazione, intervento nei collettivi autorganizzati, egemonia anticapitalista

 

Necessario è che, in autunno, i Giovani Comunisti si facciano promotori di momenti di mobilitazione e lotta studentesca, partecipando attivamente a cortei, occupazioni, assemblee, autogestioni. Compito dei Giovani Comunisti è quello di rilanciare un percorso di lotta a medio e lungo termine contro ogni logica privatistica all'interno della scuola e dell'Università, cercando in questo modo di non disperdere i frutti delle mobilitazioni degli scorsi anni. Ma rilanciare le lotte significa anche e soprattutto individuare in una prospettiva rivoluzionaria e anticapitalistica l'unica prospettiva in grado di liberare la scuola e l'Università dalla logica del profitto e della mercificazione. Da qui, individuiamo come luogo centrale della costruzione del conflitto i collettivi studenteschi autorganizzati, all'interno dei quali i Giovani Comunisti devono lavorare in modo assiduo, aperto e leale per la costruzione di una soggettività studentesca nazionale capace di rappresentare un riferimento alternativo alle organizzazioni riformiste spesso maggioritarie nel movimento studentesco (Udu, Sinistra Giovanile e satelliti vari) e che, negli anni passati, hanno contribuito a creare disillusione tra gli studenti, trasformandosi, all'indomani del '94, in agenti del Centrosinistra e della concertazione studentesca (assumendo così il ruolo di ammortizzatori del conflitto).

Tra gli studenti medi, l'intervento dei Giovani Comunisti dovrà far sì che la riforma Moratti venga accolta con scioperi, cortei, occupazioni, assemblee permanenti. Similmente, nell'Università la nuova proposta di riforma e ogni singolo provvedimento dei vari atenei che vada nel senso del restringimento del diritto allo studio dovrà tradursi in mobilitazione permanente che chieda il ritiro delle proposte stesse. E' quanto hanno fatto i compagni dell'Università di Cagliari lo scorso autunno: all'indomani dell'approvazione da parte del CdA dell'ateneo cagliaritano di un regolamento tasse che prevedeva un aumento del 100%, hanno dato vita ad un comitato ("Studenti antagonisti contro le tasse") che ha organizzato l'occupazione di varie facoltà, occupazione che è stata tenuta in vita per due mesi, scandita dalle parole d'ordine "no all'aumento delle tasse, no all'Università di classe".

Ma dobbiamo lavorare anche affinché le esperienze di autorganizzazione e occupazione si traducano nella consapevolezza che l'assunzione di una chiara prospettiva anticapitalistica è la condizione per pensare ad "un'altra scuola possibile". Occorre avanzare piattaforme rivendicative che prefigurino una scuola finalmente intesa come soddisfazione di un bisogno sociale, ovvero una scuola liberata dall'oppressione capitalistica. Con la partecipazione attiva agli scioperi e alle mobilitazioni dei lavoratori della scuola, i comunisti devono rivendicare: un'istruzione gratuita e accessibile a tutti fino ai livelli superiori d'istruzione (con la gratuità totale di libri di testo, alloggi, mense, trasporti); l'abolizione immediata delle leggi di Parità e Autonomia e della riforma Moratti nonché il ritiro della riforma De Maio; l'abolizione di ogni forma di finanziamento diretto e indiretto alle scuole private; la riduzione del numero massimo di alunni per classe; l'estensione dell'istruzione pubblica e del suo servizio (a partire dalla scuola per l'infanzia). Accanto ai momenti di occupazione e agli scioperi, occorre dar vita, rilanciando in particolare i circoli universitari, a singole vertenze contro lo smantellamento dei servizi pubblici, il rincaro prezzi, la repressione autoritaria del dissenso (V. la figura del preside-padrone e l'abolizione del diritto all'assemblea d'istituto). Obiettivo e rivendicazione costante e immediata deve essere la cacciata del governo Berlusconi, per la costruzione di un polo di classe anticapitalista.

 

Per l'autonomia di classe del movimento studentesco, contro l'accordo di governo Prc-Ulivo

 

Premessa necessaria affinché i Giovani Comunisti possano porsi come referente di classe nelle mobilitazioni di studenti e lavoratori della scuola è l'abbandono immediato del percorso, purtroppo già avviato, verso un'alleanza di governo tra il nostro partito e i liberali dell'Ulivo (si parla ormai di un coinvolgimento diretto del Prc con propri ministri in una futura coalizione di governo col Centrosinistra). Sarebbe, se si realizzasse, un'ipotesi sciagurata, in totale contraddizione non solo con la stagione dei movimenti che ha attraversato l'Italia, ma anche con la rivendicazione di "un'altra scuola possibile", di un'istruzione gratuita e accessibile a tutti. E' una scelta che ci renderebbe complici di quelle forze politiche che hanno dimostrato in maniera lampante di voler destrutturare la scuola pubblica in senso filopadronale e che hanno aperto la strada agli attuali progetti di totale aziendalizzazione della scuola di Moratti e Berlusconi. Soprattutto, la partecipazione del Prc ad un futuro governo di Centrosinistra priverebbe il movimento studentesco della possibilità di trovare nei Giovani Comunisti un punto di riferimento per la difesa della scuola pubblica contro gli interessi dei liberali e delle forze padronali. Già lo stiamo sperimentando nelle regioni in cui il nostro partito è in alleanza di governo con il Centrosinistra: i Giovani Comunisti e il Prc nel suo complesso rischiano di diventare addirittura la controparte di quegli studenti e lavoratori della scuola che lottano per la salvaguardia dell'istruzione pubblica. Tanto più disastroso sarebbe un nostro coinvolgimento diretto in un governo nazionale: vorrebbe dire la rinuncia a rappresentare gli interessi di quei tanti giovani e studenti che si sono affacciati alla lotta nei movimenti, significherebbe aiutare la borghesia a subordinare le battaglie degli studenti e dei lavoratori della scuola. A questa sciagurata prospettiva i Giovani Comunisti devono opporsi, in primo luogo chiedendo che la "svolta" governista venga discussa nella base del partito, con la richiesta di un Congresso straordinario.

Il nostro intervento capillare nelle mobilitazioni studentesche deve coniugarsi col rifiuto di qualsiasi ipotesi di collaborazione di classe con chi, per anni, ha contribuito attivamente alla svendita della scuola pubblica, alla precarizzazione dei lavoratori della scuola, alla repressione del dissenso studentesco. I movimenti studenteschi possono essere realmente rilanciati solo nel nome di una reale prospettiva anticapitalistica, a partire dall'autonomia di classe del movimento studentesco: solo un’alternativa reale di società e di potere potrà liberare la scuola e l’Università dalle logiche del profitto e della mercificazione, non certo un governo con Margherita e maggioranza Ds.

 

Per tutte queste ragioni, facciamo appello a tutti i Giovani Comunisti impegnati nella costruzione di momenti di lotta studentesca, attivi nei collettivi studenteschi e nei circoli universitari, coinvolti nelle lotte contro lo smantellamento dell'istruzione pubblica affinché si impegnino a contrastare, in tutte le sedi del partito, l'annunciata dissoluzione del Prc come forza di opposizione, per impedire che i Giovani Comunisti, anziché porre - come dovrebbero - nell'opposizione ai partiti della borghesia la propria discriminante, si rendano complici degli attacchi padronali alla scuola pubblica.