A sessant'anni dalla morte di Pietro Tresso

L'opposizione italiana allo stalinismo

 

 

di Roberto Angiuoni ed Eugenio Gemmo

 

Per troppo tempo argomenti “delicati”, come quello delle vittime dello stalinismo e della sua politica, sono scivolati nel dimenticatoio collettivo.

Rispetto alla ricostruzione storiografica dell'epoca dominata dallo stalinismo -che ha condizionato e determinato le sorti di intere generazioni- organizzazioni come il Pci non sono esenti da rilevanti responsabilità per non aver voluto assumersi il compito, pesante ma ineludibile, di spiegare in modo esauriente come e perché migliaia di rivoluzionari siano caduti per volontà della burocrazia sovietica. La storia di Pietro Tresso può servire, per il soddisfacimento del tema in questione, da “elemento chiarificatore”,

Esattamente sessant’anni fa, Pietro Tresso, meglio noto attraverso gli pseudonimi di “Blasco” e “Julien”, straordinario “pioniere del comunismo” per le sue qualità politiche e, soprattutto, “morali”, per la enorme dedizione e per l’estrema abnegazione concentrate in favore della causa socialista, perdeva la vita sotto la tetra scure dello stalinismo e dei suoi agenti.

“Comunista esemplare”, stando al giudizio attribuitogli dal celebre scrittore Ignazio Silone, Tresso appartiene alla lunga lista delle vittime, illustri o meno, della cinica macchina parassitaria instauratasi in Russia dopo la morte di Lenin, sulla pelle del bolscevismo, dei lavoratori e della rivoluzione mondiale. Prima e dopo di lui perirono in egual maniera e per le medesime “colpe” -in primo luogo, la “difesa dell’Ottobre” e la volontà di estensione planetaria delle sue conquiste progressiste- Lev Trotsky (il “Leone” della rivoluzione, leggendario fondatore dell’Armata rossa e padre della Quarta Internazionale) e suo figlio Lev Sedov, Ignace Reiss, Erwin Wolf, Rudolf Klement, Andres Nin, Christian Rakovsky, i “trotskisti” di Grecia, Cina, Vietnam, ecc.

Il racconto dei quarant’anni di attività politica del “trotskista”, nato a Magrè di Schio nel 1893, è qui lestamente riassunto: accompagnato “fedelmente” da miseria, privazioni e sofferenze, Pietro Tresso muove i primi passi del suo impegno rivoluzionario nel campo del sindacato, nelle file della Gioventù Socialista. Chiamato alle armi nel 1915, torna a casa da “tenente”, nonostante l’imputazione inizialmente inflittagli per la sua “importuna” militanza. Nel 1921 è tra i fondatori con Bordiga e Gramsci del Partito Comunista d’Italia (PCd’I); s’intenderà alla perfezione col marxista sardo -di cui diventerà anche uno degli “allievi prediletti”- tanto da continuare in suo nome, e fino all’esalazione del suo ultimo respiro, la battaglia contro Stalin e burattini saltimbanchi del tipo di Togliatti.

Blasco è consapevole del pericolo che storicamente accomuna e colpisce tutti i rappresentanti del marxismo conseguente: quello (come ricorda Lenin) del tentativo opportunista di una loro “canonizzazione” e “trasformazione in icone inoffensive”. Prevedendo le fattispecie che vedranno il passaggio di Gramsci nella categoria dei “miti flessibili” o dei “modelli duttili” adatti ad ogni tipo di circostanza (ancora oggi, nel ginepraio del riformismo bertinottiano, il suo nome iniquamente è avanzato nel mentre si rimuovono, con tanto d’ultimo timbro congressuale, i suoi preziosi insegnamenti: quelli sulla necessità della costituzione di un partito rivoluzionario d’avanguardia nella società e sull’ineluttabilità di un lavoro egemonico dei comunisti nei movimenti, e si preparano nefasti accordi di governo con la borghesia liberale) o in quella dei “convinti apologeti” dello stalinismo, Tresso scrive (“E’ morto un grande militante: Gramsci”):

I filistei e i burocrati, quelli che oggi cercano di sfruttare Gramsci a vantaggio del tradimento e della truffa staliniana, già ci presentano un Gramsci truccato, irriconoscibile agli occhi di coloro che lo hanno conosciuto e a lui stesso, se fosse ancora vivo (…) Tutta l’attività di Gramsci, tutta la sua concezione dello sviluppo del partito e del movimento operaio si oppongono in modo totale allo stalinismo, alle sue infamie politiche, alle sue spudorate falsificazioni.”

E’ certo, aggiungiamo noi, come il suddetto protagonista di Livorno, abbia reagito alle prime purghe staliniane e al furioso antitrotskismo in voga a quei tempi, ossia con un profondo senso di sconforto. Una “opposizione di sinistra” intesa quale “agenzia fascista in seno alla classe operaia” è stata un’idea agitata e sviluppata unicamente da Togliatti, non riconducibile, dunque, a nessuno degli scritti o interventi gramsciani.

Mettendo precisamente in evidenza la lettera (del 1926) attraverso cui Gramsci -a nome dell'Ufficio politico del Pcd'I- chiedeva al Comitato centrale del Pc russo il rispetto per le opinioni di Trotsky e dell’opposizione tutta, Tresso continua sottolineando anche che, in guisa a questo gesto e alla rottura morale e politica col partito stalinizzato, “Gramsci era stato ufficialmente destituito come “capo” del partito” e “al suo posto era stato collocato quel clown buono per tutti gli usi che risponde al nome di Ercoli (Togliatti )” (…) “Gramsci –conclude- è morto per un colpo al cuore, forse non sapremo mai che cosa ha contribuito di più ad ucciderlo: se gli undici anni di sofferenza nelle prigioni mussoliniane o i colpi di pistola che Stalin ha fatto tirare nella nuca di Zinoviev, di Kamenev, di Smirnov, di Piatakov e dei loro compagni nei sotterranei della Ghepeù.”

Nella lotta al fascismo e nell’ambito del lavoro d’analisi sui processi causali che hanno generato quel che non è stato altrimenti di un semplice e feroce “fenomeno distillato del capitalismo” (Trotsky), Tresso trasfonde la sua passione più totale e i suoi sentimenti mai celati; dopo la partecipazione al IV Congresso dell’Internazionale Comunista (Comintern) e al II Congresso dei Sindacati Rossi (Profintern), avrà il compito oneroso di tener testa alla barbarie di Mussolini e di riorganizzare il partito. Non sarà facile per lui, anche perché nello stesso tempo, come lui stesso spiega in un altro scritto, lo stalinismo “ben lungi dal costituire una barriera al fascismo, ne facilita la presa sulle masse e diviene un ausiliario delle sue vittorie”. Basta ricordare in tal proposito, che proprio Tresso, bersaglio costante del “duce” e delle sue squadre d’azione, diverrà oggetto di quelle perfide elucubrazioni metafisiche dello stalinismo, tese ad etichettare i “quadri” più audaci e onesti del marxismo quali “spie al soldo dei fascisti”. Gran faccia tosta, questa, da parte di coloro i quali offriranno in Italia l’altra guancia al regime di Mussolini, arrivando addirittura ad un appello ai “ fratelli in camicia nera” (vedi Togliatti,Per la salvezza dell’Italia, riconciliazione del popolo italiano”, 1936), favoriranno l’ascesa di Hitler in Germania (ponendo in essere il loro “4 agosto”, ricorda Trotsky), apriranno la strada a Franco in Spagna e sigleranno nel ’39 l’accordo con i nazisti! In particolar modo, l'opera detrattiva nei riguardi di Tresso e il suo allontanamento dal PCd’I trovano origine nel X Plenum del Comitato Esecutivo Internazionale, allorché Blasco è nel frattempo partecipe del XII Congresso del partito a Berlino come rappresentante del PCd’I. E' questo il tempo della cosiddetta “svolta del terzo periodo”: adottando una linea ultrasinistra, Stalin, con i suoi yesmen italiani e non, sancisce l’inesorabile declino del capitalismo, l’imminenza di una vittoria comunista in Europa e nel mondo, la trasformazione della socialdemocrazia in baluardo “socialfascista. La politica intrapresa è legata contiguamente alla messa al bando di ogni tipo d’opposizione, ma Tresso non resterà muto dinanzi a questo aberrante costrutto della “maggioranza”.

La ragionata constatazione della possibile reversibilità della crisi capitalistica, l’avversione alla scellerata equiparazione posta tra fascismo e socialdemocrazia, il rilancio di una politica alternativa e sensata di fronte unico sono gli argomenti, privi di qualsiasi idiosincrasia, di cui si serve in questa fase, dando prova di una indubbia lucidità nel bilancio del contesto contingente. Questo passo critico in avanti, insieme con l’avvicinamento al trotskismo, non gli costerà poco; il 9 giugno 1930 Tresso, con la compagnia di Leonetti e Ravazzoli (saranno per il misero e laido Longo i “tre compari”), seguito da Recchia e Bavassano, sarà espulso dal Pcd’I.

Pur profondamente provato da questo determinante episodio, Blasco, certamente non contrito per le sue scelte, s’immerge nuovamente nell’attività pratica e, in special modo, in quella dell’opposizione di sinistra allo stalinismo (in Italia con la Nuova Opposizione Italiana, in Francia nella Ligue Communiste). La continuazione del percorso già segnato dai passi di Marx, Engels, Lenin, Luxemburg e Liebknecht non permette, a Tresso e ai “trotskisti” di tutto il mondo, attimi d’esitazione o lunghe procrastinazioni.

Ormai dirigente dell’Opposizione di Sinistra Internazionale, partecipa nel 1932 e nel 1936, rispettivamente, ai congressi di Copenhagen e Parigi, corroborando le proprie energie in vista delle nuove e pesanti asperità di marca “frontepopulista”. Improvvisamente, con una svolta a 360° rispetto all’approccio del “terzo periodo”, lo stalinismo dà vita alla linea d’accordo con la borghesia “democratica” (sic!): politica, quest’ultima adottata, da sempre feconda di risultati tragici per il movimento operaio tutto e dai quali lo stesso Prc, ad oggi, sembra non aver tratto alcuna lezione utile per le prospettive del “domani” (2006?).

La centralità di Pietro Tresso nel raggiungimento dello storico traguardo della fondazione (a cui prende parte da delegato) della IV Internazionale nel 1938 e la sua elezione nel Comitato Esecutivo Internazionale non passano ovviamente inosservati. Già impossibilitato ad un lavoro scevro da  impedimenti e clandestinità, nel maggio 1942 vediamo il suo arresto da parte della polizia di Petain e l’inizio del lungo travaglio che lo condurrà fino alla morte.

Schernito e umiliato dagli stalinisti nel carcere di Puy-en-Velay (Haute-Loire), riuscirà comunque ad evadere dalla prigionia, nell’autunno del 1943, con altre 78 persone.

Tuttavia, per lui non ci sarà nessun “ritorno alla libertà” : il 26 o 27 ottobre, infatti, insieme con i trotskisti Salini, Sadek, Reboul, nel campo “Wodli” a Raffy sarà giustiziato dai “partigiani sovietici”, dagli stessi individui che mai lo hanno perduto d’occhio, prima e dopo la carcerazione.

Giovanni Sosso (“capitano Jean”, uomo dal passato misterioso, quindi degno della fiducia staliniana), come immediato responsabile, e Giulio Cerreti (poi componente del C.C. del PCI), quale principale “mandante”, sembrano i diretti chiamati in causa sulla vicenda dell’assassinio. Ma son gli interi apparati del PCI (non col solo Togliatti, complice o, almeno, condiscendente su questo ed altri crimini dello stalinismo), e del PCF, con i loro “migliori” dirigenti ancor presenti sul palcoscenico della politica, ad esser chiamati precipuamente in causa.

Gianfranco Berardi (si veda Assassinii nel Maquis. La Tragica morte di Pietro Tresso di P.Brouè e R.Vacheron, edito nel 1995 da “Prospettiva edizioni”), già giornalista dell'“Unità” e militante del PDS, ha rivelato, in particolar misura, i tentativi, risalenti alla data del 26 dicembre del 1984, del PCI di Natta, Occhetto e di D’Alema di distruggere tutta la documentazione (allora nelle mani di Leonetti), e i “contributi” di Togliatti, relativi al caso dell’omicidio di Tresso.

Ciò non soltanto sta a dimostrare, a tanti anni di distanza dalla morte dei suoi rappresentanti più validi e conosciuti, l’eterna attualità della battaglia di Tresso e del “trotskismo”, ma è la prova contundente della eterna e “scomoda” portata dell’analisi marxista-rivoluzionaria.

La presunta crisi dell’”alternativa rivoluzionaria”, di cui tanto e in modo fuorviante si è parlato, è stata ed è soltanto una sostanziale crisi di verità.

Ancora oggi, il vero nodo da sciogliere, per il nostro partito e non solo, sta nella reale liberazione teorico-politica dallo stalinismo e dalla collaborazione di classe che lo stalinismo ha riportato nel movimento operaio (dopo che il movimento operaio se ne era separato rompendo con la II Internazionale degenerata e fondando le sezioni dell'Internazionale Comunista, tra cui il Pcd'I) e nel recupero obbligato del progetto più grande intrapreso nella storia dell’uomo: la consegna del potere nelle mani degli oppressi. A questo progetto comunista Pietro Tresso offrì la propria militanza rivoluzionaria e la propria vita esemplare.