Poste
Italiane S.p.A.: lo smantellamento del servizio pubblico
di
Sergio Zollo (*)
La
privatizzazione delle poste ha fatto seguito a quella delle ferrovie
ripercorrendone in tutto e per tutto le medesime tappe. Tale decisione politica
è stata determinata sostanzialmente dalla crisi economica che investe il
sistema capitalistico da oltre un quarto di secolo, una crisi che si aggrava
sempre più lasciando sempre meno margini di "manovra" a disposizione
dello Stato.
Così queste aziende del
pubblico impiego, che dal primo dopoguerra sino alla caduta della prima
repubblica hanno rappresentato per i partiti di governo un serbatoio elettorale
di voti e strumento di controllo sociale, sono state ristrutturate e
privatizzate adducendo esigenze di efficientismo e di modernizzazione.
I disservizi derivanti da una
gestione burocratica, incapace e corrotta, obbediente solo a logiche spartitorie
e clientelari, hanno giustificato attraverso opportune campagne mediatiche
l’esigenza di privatizzare.
Per
quanto concerne le poste, le tappe della privatizzazione sono state sancite dai
primi anni novanta, ma la lentezza nel perseguire gli interessi del capitale da
parte dei boiardi di Stato che si sono avvicendati ai vertici dell’azienda,
hanno costretto il governo D’Alema ad imprimere un’accelerazione nel
processo di ristrutturazione/privatizzazione affidando l'incarico, con pieno
mandato e con plauso anche dell’opposizione, ad un giovane e rampante
amministratore delegato, Corrado Passera.
Passera
ha avuto quindi carta bianca nella gestione dell’azienda con un solo
imperativo: togliere le poste italiane dall’assistenza economica statale nel
più breve tempo possibile. Unica condizione dettata dal governo D’Alema è
stata l’indicazione che i processi riorganizzativi non avrebbero dovuto fare
ricorso a "licenziamenti massificati".
La
solerzia e la determinazione di Passera è racchiusa nel suo "piano
d’impresa" che ha dettato le tappe del "risanamento" economico
delle poste dal 1998 al 2001.
La
sua ricetta, oltre a comportare pesanti tagli di personale, considerata maggiore
fonte di spesa, prevedeva di "scorporare" l’azienda poste in un
molteplice numero di aziende minori, come una sorta di bambola matrioska. Lo
scopo è quello di "lanciare" nel mercato le nuove aziende di servizio
derivate dai servizi esternalizzati, in cui affluiscono tutti i profitti mentre
i costi di gestione, le strutture, i macchinari continuano a gravare sulla
azienda madre, le Poste S.p.A., che conseguentemente si avvita nella crisi.
Attualmente
le aziende esternalizzate e controllate da Poste Italiane sono: Poste Vita
S.p.A., Sim Poste S.p.A., SDA Express Courier S.r.l., Bartolini S.p.A.,
Postecomm S.p.A., BancoPosta Fondi S.p.A. SGR, Postel S.p.A.
Ma
nel breve periodo sono già previste nuove e molteplici altre società.
I
profitti delle suddette aziende, non essendo gravati dai costi derivanti dalla
loro attività, di anno in anno aumentano. Il tutto al fine di rispettare il
regolamento Consob, il quale prevede che un’azienda per quotarsi in borsa deve
documentare un attivo di bilancio per almeno gli ultimi tre anni.
Quindi
dopo pochi anni queste "aziende satellite", chiaramente con bilanci
truccati poiché in essi non figurano i costi gestionali che invece vengono
fatti confluire in Poste Italiane, vengono collocate sul mercato azionario, in
Borsa, determinando un evidente fenomeno speculativo, sulle spalle dei
lavoratori.
La
frammentazione delle poste in decine di aziende contribuisce a dare forte
impulso alla precarizzazione del rapporto di lavoro, le aziende sinora create
fanno largo uso di personale in nero o assunto a termine senza alcuna garanzia
per i lavoratori.
Attraverso
le ingenti liquidità derivanti dalla vendita delle quote azionarie,
spropositatamente alte rispetto al loro valore effettivo, si dovrebbero
racimolare le plusvalenze necessarie per far fronte al "moncone" di
azienda poste rimasta, gravata da un rilevante deficit accumulato accollandosi
tutti i costi gestionali delle aziende esternalizzate.
Se
anche questa "gestione economica" alquanto disinvolta non sortisse
l’effetto desiderato, vi sarebbe sempre la carta di un’ulteriore
smantellamento o addirittura il fallimento stesso di quel che rimarrà
dell’azienda poste.
Questo
è in sintesi il magnifico progetto aziendale di recupero economico e di
privatizzazione di Passera e per questo remunerato, per quasi otto anni, con
ottocento milioni di vecchie lire l’anno.
Probabilmente,
per concepire un così pregevole "piano d’impresa" invece di
Passera, genio della Bocconi, sarebbe bastato un ragioniere diplomato alle
scuole serali, che sarebbe costato anche meno.
Ma
alla descrizione, in estrema sintesi, della condizione economica delle poste
bisogna aggiungere le conseguenze subite dai lavoratori postali.
Dal
1992, data in cui è cominciata la dismissione da parte statale delle poste, ad
oggi è stato un continuo aggravamento delle condizioni di lavoro all’interno
di tutti i settori di lavorazione postale.
Negli ultimi anni per rispettare
le tappe forzate del "risanamento” i lavoratori postali hanno conosciuto
un peggioramento delle condizioni di lavoro e di sfruttamento (aumento dei
carichi e dei ritmi di lavoro, aumento degli infortuni, anche mortali di cui due
casi a Venezia), di negazione dei propri diritti più elementari (ferie negate,
minacce di licenziamento), oltraggiati nella stessa dignità personale e
perseguiti in maniera pianificata con l’attuazione di mobbing diffuso.
Negli
ultimi quattro anni il personale delle poste è passato dalle 185.000 unità del
1998 alle attuali 163.000 unità con una perdita di 22.000 posti di lavoro.
Oltre
al blocco del tournover ed alla eliminazione dei lavoratori trimestrali vi sono
stati migliaia di dimissioni "spontanee" incentivate dal pesante
carico lavorativo conseguente al taglio del personale.
In
questa situazione il sindacalismo confederale CGIL, CISL e UIL è
sostanzialmente ostaggio degli organismi politici amministrativi dell'Azienda.
Il consiglio di amministrazione di Poste Italiane S.p.A. è infatti formato da
esponenti politici sia della maggioranza (centrodestra) che dell’opposizione
(centrosinistra) i quali convergono
negli interessi strategici aziendali.
Specialmente
nell’ultimo anno CGIL, CISL e UIL, sulla spinta della rabbia dei lavoratori,
hanno assunto un atteggiamento fittizio tale da dare l’impressione di volere
arginare l’arroganza e la determinazione aziendale: di fatto hanno recitato
per l’ennesima volta un consumato copione di scioperi farsa, con
l’attenzione a calibrare ogni agitazione in maniera tale che non fosse di
serio contrasto all'operato dell’azienda.
Il
sindacalismo di base non riesce ad essere espressione, sul piano della
rappresentanza, dei lavoratori che sempre più numerosi sono delusi
dall’azione sindacale confederale, presi come sono da deficienze
politico-organizzative. Infatti non esiste a livello nazionale un reale
coordinamento dell'azione sindacale, è presente una carenza di informazioni
derivate dalla mancata firma dei CCNL, subisce il mancato riconoscimento
sindacale da parte dell’azienda, un intreccio di fattori che determina una
difficoltà nell’azione sindacale.
A
tutto ciò bisogna aggiungere la carente risposta dei lavoratori postali anche
in presenza di serie piattaforme rivendicative che, seppur sporadicamente,
vengono proposte cosi come alle vertenze che si riescono ad organizzare a fronte
dei comportamenti aziendali. Evidentemente la storia di questa categoria di
lavoratori, priva di una tradizione di lotta, non permette una risposta adeguata
al tipo di attacco ricevuto.
Altra
grossa carenza registrata sia nel comportamento dei lavoratori che dei sindacati
del settore è la insufficiente capacità di raccordasi e rapportarsi con
iniziative di lotta comuni a tutta la classe.
Attualmente
Passera ha lasciato l’incarico; mentre le ultime notizie pare confermino il
mancato pagamento da parte del governo dei diritti per il servizio universale
che ammontano a circa 850 miliardi anno delle vecchie lire, 3500 miliardi di
lire per i quattro anni di gestione Passera.
Il
servizio universale è riconosciuto e retribuito dallo Stato alle poste per
ripagarlo della "perdita" che le poste hanno, in termini di
convenienza di mercato, nel servire zone disagiate del territorio nazionale,
quali possono essere ad esempio le zone poco accessibili di montagna ecc.
Senza
l’incasso del corrispettivo del servizio universale i conti di Passera
avrebbero fallito dimostrando a tutti che le sue alchimie contabili e le sue
strategie aziendali da illusionista non sono altro che fumo.
Per
questo motivo, prima che scoppi lo scandalo, Passera ha lasciato la mano al
nuovo amministratore delegato, Massimo Sarmi, che all’indomani della sua
nomina ai vertici si è triplicato lo stipendio rispetto alla già stratosferica
retribuzione di Passera (850 milioni annui).
Nel
2001 l’azienda, in forte ritardo sulle tappe del risanamento economico, ha
unilateralmente proclamato lo stato di crisi, potendo così derogare, nella
gestione del personale, alle norme contrattuali e di legge, e minacciando 8000
esuberi di personale con lo scopo evidente di far passare un provvedimento
capestro per i lavoratori il "Fondo di solidarietà".
Il Fondo di solidarietà, della durata di 10 anni, altro non è che un progetto aziendale per "svecchiare" il personale occupato e sostituirlo con personale precario, in apprendistato, sotto i 24 anni di età, a contratto triennale pagandolo il 70% del minimo tabellare contrattuale.
In sostanza, vengono mandati anzitempo in "pensione" con una sorta di "accompagno economico" lavoratori vicini all’età pensionabile per assumere al loro posto altri lavoratori che percepiranno il 70% dello stipendio, mentre l'azienda riceve altre agevolazioni statali sul piano contributivo per i nuovi assunti.
Da calcoli effettuati, si ottiene il risultato seguente: con la corresponsione economica di uno stipendio attuale, in futuro l’azienda poste potrà stipendiare due lavoratori assunti in apprendistato, abbattendo il costo del lavoro del 50% e introducendo ulteriori elementi di ricatto derivanti dalla precarizzazione del rapporto di lavoro, infatti alla scadenza triennale del contratto in apprendistato non vi è alcun obbligo da parte aziendale di trasformare il rapporto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato.
Il fondo di solidarietà è un fondo a costo zero per l’azienda in quanto esso è costituito da una quota di contributo statale e una quota prelevata dalla busta paga dei lavoratori in servizio, serve a pagare gli stipendi mensili dei lavoratori postali che "volontariamente" decidono di aderirvi sino al momento in cui essi riceveranno la pensione vera e propria, di regola uno o due anni, ma la pensione percepita subirà una flessione in percentuale.
L'opposizione a queste politiche esige il coordinamento, sulla base di una piattaforma programmatica di classe, dei militanti comunisti impegnati sul terreno sindacale, fuori di ogni settarismo di sigla sindacale. Una piattaforma unificante dei lavoratori, in grado di aprire una vertenza generale contro il Governo e il padronato.
Una vertenza che poggi da una
parte su forme di lotta efficaci ed avanzate che blocchino l'economia del Paese
fino al ritiro delle deroghe e dei disegni governativi, come lo sciopero
prolungato, e dall'altra sulla autorganizzazione e il coordinamento dei delegati
(assemblee e coordinamento dei delegati) che superino in avanti le burocrazie
sindacali.
(*) RSU Poste Venezia