L’esperienza del seminario di formazione per militanti di Grizzana

 

L’importanza dello studio della storia

 

di Fabiana Stefanoni

 

 

Lenin scriveva nel Che fare? che “senza teoria rivoluzionaria non vi può essere movimento rivoluzionario”: questa frase potrebbe compendiare il senso del percorso di formazione teorica dei giovani militanti di Progetto comunista che ha avuto inizio il 6 settembre 2002 a Grizzana Moranti (Bologna). Le tematiche affrontate a Grizzana vertono, in termini generali, sulla storia del Novecento e, in particolare, su quei passaggi di essa che, nel modo più diretto, offrono una lezione importante per il rilancio, oggi, di una prospettiva rivoluzionaria. Infatti, l’attento studio di nodi essenziali della storia del movimento operaio novecentesco non vuole affatto essere l’espressione di un’esigenza puramente “letteraria” o “accademica”: al contrario, si tratta di un momento fondamentale per la riattualizzazione degli assi strategici del marxismo-rivoluzionario e, quindi, per la costituzione di una nuova direzione rivoluzionaria, alternativa alla linea riformista del gruppo dirigente del PRC. L’importanza dello studio della storia sta, per noi, anzitutto nel fatto che da essa è possibile trarre preziose indicazioni strategiche per quello che è il senso ultimo della nostra battaglia nel PRC e nei movimenti: il ricondurre gli obiettivi immediati delle nostre lotte quotidiane ad un progetto rivoluzionario, sulla base di un programma transitorio.

 

Il seminario è stato articolato in più momenti: una relazione di Marco Ferrando dal titolo Riformisti e rivoluzionari: un confronto attraverso le esperienze del XIX e XX secolo e gli interventi di Francesco Ricci e Franco Grisolia, riguardanti rispettivamente L’opposizione di sinistra allo stalinismo e La Quarta Internazionale. Per finire, una riflessione più chiaramente legata al rilancio, nell’immediato futuro, di una serie di iniziative politiche che si intreccino col processo di costituzione dell’Associazione marxista-rivoluzionaria Progetto comunista (Michele Terra, Organizzazione e iniziative di Progetto Comunista: alcune ipotesi di lavoro).

 

Riflettere sulla storia del Novecento, ponendo a confronto le opposte esperienze del riformismo e del marxismo rivoluzionario, ci permette di gettar luce su alcune dinamiche dell’oggi. Anzitutto, come ha giustamente sottolineato Marco Ferrando all’inizio della sua relazione, importante è sfatare una serie di luoghi comuni che pretendono d’assegnare pari legittimità a riformisti e rivoluzionari nel richiamo al pensiero di Marx ed Engels, ridotti, di conseguenza, alla stregua di “politicamente anonimi” pensatori-filosofi. Al contrario, Marx ed Engels, ben lungi dal limitare la loro attività nell’astratto regno della teoria, hanno dato vita ad un’esperienza politica internazionale caratterizzata da chiare discriminanti che la rendono inconciliabile con qualsivoglia interpretazione riformista. Punto costante della militanza di Marx ed Engels è stata una chiara battaglia per l’egemonia, basata su un’esigenza di netta demarcazione teorica, strategica e programmatica, anche nei confronti di posizioni socialiste e “comunisteggianti”, alle quali venne contrapposta una chiara strategia rivoluzionaria.

 

Per quanto riguarda, più in particolare le esperienze del Novecento, l’analisi della parabola involutiva della II Internazionale - col progressivo allontanamento dalle premesse rivoluzionarie fino alla collaborazione coi governi di guerra – ci indica i rischi di una politica basata sulla separazione tra “principi” e “teoria”, tra il richiamo alla rivoluzione e una pratica, nei fatti, riformista. Sappiamo bene come, anche nel nostro partito, spesso e volentieri il richiamo alla “rivoluzione” e agli “altri mondi possibili” conviva sia con alleanze di governo locale coi partiti della borghesia sia con l’«irrinunciabile» prospettiva dell’alleanza di governo con «settori consistenti della sinistra moderata e riformista» (cfr. le tesi di maggioranza allo scorso Congresso del PRC e il documento 1 alla II Conferenza nazionale dei GC). Similmente, abbiamo assistito, da parte di alcuni, a rimandi - puramente letterari - al leninismo e all’esperienza dell’Ottobre, tristemente (“incredibilmente”, verrebbe da dire, se non fosse che prodezze di questo tipo non sono nuove nella “storia dei comunisti”…) conciliati con una strategia riformista di alleanze di classe (cfr. gli emendamenti alle tesi di maggioranza allo scorso Congresso del PRC e il documento 3 alla II Conferenza GC). Al contrario, come si è cercato di evidenziare al seminario di Grizzana, attualizzare Lenin e l’esperienza bolscevica deve significare anzitutto riprenderne gli insegnamenti politico-strategici: la necessità della conquista rivoluzionaria del potere politico come premessa necessaria di qualsiasi ipotesi di trasformazione sociale; il rilancio del partito come mezzo per conquistare le masse ad una prospettiva rivoluzionaria; l’opposizione di principio ai governi della borghesia; la necessità di una rivoluzione socialista internazionale e, quindi, di una chiara prospettiva internazionalista.

 

Proprio quest’ultimo punto è fondamentale oggi per la nostra battaglia politica. Il percorso che stiamo intraprendendo, verso la costituzione di Progetto comunista in una nuova Associazione marxista-rivoluzionaria per la rifondazione della IV Internazionale, va proprio nel senso di ribadire questo essenziale principio del bolscevismo: non si dà reale progetto rivoluzionario se non all’interno di una prospettiva internazionale. Non a caso, Lenin parlava di necessità di una III Internazionale ancora nel 1914, quando la presa del potere da parte dei bolscevichi non sembrava all’ordine del giorno. E non a caso la stessa rivoluzione d’Ottobre venne intesa come l’avvio della rivoluzione internazionale. Qui sta il senso e il valore politico della seconda parte del seminario di Grizzana (Opposizione di sinistra allo stalinismo e Quarta internazionale): analizzare quel patrimonio di esperienze che, opponendosi alla degenerazione staliniana dell’URSS, hanno inteso ribadire il carattere internazionale del socialismo e, quindi, della lotta di classe. Francesco Ricci, nella sua relazione, si è soffermato sugli anni che vanno dal 1923 al 1933, durante i quali in Russia si venne nettamente delineando l’implacabile critica di Trotsky alla crescita smisurata dell’apparato burocratico sovietico: un pericoloso meccanismo che già lo stesso Lenin, negli ultimi anni della sua vita, aveva chiaramente individuato. È proprio l’abnorme sviluppo della burocrazia che, associato all’isolamento della rivoluzione (impedita nel suo necessario sviluppo in Occidente), ci permette di comprendere il fallimento di quella straordinaria esperienza rivoluzionaria.

 

Dalla presa d’atto dell’irreversibilità del processo di degenerazione dell’URSS (e, quindi, della III Internazionale) prende corpo dopo il 1933 la lotta per la IV Internazionale. Come sottolineato nella relazione di Franco Grisolia, tra i punti discriminanti di quella battaglia vi erano la presa d’atto della necessità di una rivoluzione politica nella stessa Unione sovietica nonché la netta opposizione alla politica dei “fronti popolari” e all’idea che fossero possibili e auspicabili alleanze di governo coi partiti della borghesia. In alternativa alla politica degenerata dell’Internazionale di Stalin, si trattava di riprendere le acquisizioni programmatiche delle origini della III Internazionale, riferendosi alle basi fondamentali del leninismo. E da questo stesso patrimonio oggi è necessario ripartire, come giovani militanti comunisti, per il rilancio di una prospettiva rivoluzionaria; prospettiva che, a meno di restare una vuota parola d’ordine, necessariamente si deve intrecciare con la lotta per la rifondazione della IV Internazionale.