La scuola di classe dei due poli borghesi

 

di Luca Belà e Giuseppe Fenu

 

 

 

“Ragionando alla maniera dei capitalisti, cosa determinerebbe la preferenza tra investire in una fabbrica di salsicce oppure in una fabbrica di istruzione? Solo il plusvalore, niente altro.”

K. Marx “Il Capitale”, Libro I, parte V, Capitolo XIV

Karl Marx, paragonando la produzione della cultura alla produzione di salsicce, ragionava sulla possibilità, per il sistema economico, di introdurre nel sistema formativo le stesse categorie produttive del mercato. Non era evidentemente quella la situazione allora, anche perché l’istruzione era a solo beneficio di quella minoranza che era già ai vertici del controllo politico ed economico delle nazioni.

Già osservava, però, che in un progetto di sviluppo dell’istruzione, teso al soddisfacimento delle esigenze di potenziamento della produzione, sarebbe stato necessario allargare la base degli istruiti concedendo a una parte della massa la possibilità di arricchirsi culturalmente, rinunciando così, almeno parzialmente, al potere che l’analfabetismo diffuso aveva dato alle classi dominanti sulla stragrande maggioranza della popolazione, quel controllo emotivo che fino ad allora aveva regolato i flussi sociali. Nasceva dunque per le classi dominanti un nuovo problema: come far progredire il livello di specializzazione degli operai senza dar loro la possibilità di pensare autonomamente?

La storia ha fatto di questa materia un’ampia raccolta di espedienti: dalla divisione tra la scuola media e l’avviamento professionale alla creazione di istituti professionali specializzati nel formare manodopera esclusivamente per le fabbriche del vicinato.

Ma, in fondo, qualcuno potrebbe obiettare, non è forse vero che le classi dominanti, veri reggenti filosofi della civiltà occidentale, “lavorano” per costruire quel modello di istruzione dove si è già dirigenti o operai ancor prima di iniziare a formarsi? Certamente la politica che i governi di centrosinistra e di centrodestra hanno portato aventi negli ultimi anni da alla domanda una risposta inequivocabile, rendendo ancor di più il valore della considerazione marxiana.

E così oggi ci troviamo di fronte all’ennesimo attacco al nostro sistema formativo già duramente indebolito dai precedenti ministri Berlinguer e De Mauro, espressione di governi di centrosinistra. I loro enormi e complessi progetti di riforma, tesi ad una completa canalizzazione del sistema formativo, hanno esaltato una scuola che servisse a formare operai in affitto e lavoratori precari abituati ad obbedire. Se questi progetti sono rimasti sulla carta alcuni scampoli di riforma sono, invece, diventati legge. Nella passata legislatura è stata approvata, ad esempio, la parità giuridica tra scuole pubbliche e private, presupposto di quella economica, che porterebbe nelle casse del Vaticano e della Confindustria buona parte delle risorse destinate all’istruzione. E’ stata anche introdotta l’autonomia scolastica, che ha portato i presidi manager e che vorrebbe trasformare le scuole in aziende in concorrenza l’una con l’altra.

E’ su queste solide basi che, oggi, si sviluppa l’attacco frontale della Moratti, Ministro dell’istruzione (Privata?).

 

Tenteremo qui di descrivere i passaggi importanti delle proposte che paiono i più rappresentativi della logica della riforma. Alcuni punti verranno ripresi in più parti perché nell’ambito dell’istruzione i provvedimenti hanno spesso ripercussioni sia sul piano economico che su quello della didattica. Intendendo per riforma sia gli innumerevoli progetti organici alla stessa, sia tutti quei passaggi, che apparentemente slegati rispondono alla logica della trasformazione del servizio scolastico.

 

Il progetto di riforma della Ministra Moratti è stato inserito nel cospicuo pacchetto di deleghe che il governo Berlusconi si è riservato. Lo strumento della delega è di fatto una limitazione della rappresentanza delle forze politiche, e nei fatti un esautorazione del potere legislativo parlamentare. La scelta di delegare, anche in materia di istruzione, appare oltre che un espediente per evitare l’opposizione ovattata del centrosinistra, un rimedio per non far comprendere la reale assenza di contenuti del progetto. E’, infatti, questo uno dei principali limiti della Riforma Moratti: non avere in realtà pensato un’ipotesi, giusta o sbagliata, di istruzione, ma di avere reso, tramite inequivocabili segnali, servizi alle casse dello stato e a quelle delle scuole private. Tra l’altro le numerose bozze fino ad ora presentate rendono difficile determinare importanti modalità di attuazione come ad esempio la questione fondamentale dei cicli.

La Riforma è stata presentata con la passerella, stile Millionaire, degli “Stati generali della scuola”. Si è voluto presentare quell’uditorio, formato dai componenti dello Staff della Moratti (Pubblicitari esperti di marketing, vallette, illustri pedagoghi, mai visti in una scuola) come luogo di “democrazia diretta” dove gli studenti e i docenti manifestamente in disaccordo con il ministro sono stati tenuti all’esterno del palacongressi con l’ausilio delle benevolenti manganellate della polizia, e di qualche Bravaccio, assunto per l’occasione. Il decreto delega e la massiccia presenza delle forze dell’ordine non sono riuscite a tenere a casa gli studenti che in tutte le città d’Italia, si sono mobilitati in decine di migliaia e che, pur alla loro prima esperienza di piazza, non si sono fatti strumentalizzare dalle organizzazioni studentesche legate al centro sinistra ma hanno saputo riconoscere chi per primo aveva attaccato il diritto allo studio, (Vedi Roma dove alcuni importanti dirigenti dei DS e della Margherita sono stati contestati e fatti allontanare da giovanissimi studenti).

Pur essendo slegate da un progetto omogeneo le variazioni, che la Moratti propone, risultano ulteriormente peggiorative di un sistema già messo in ginocchio dai suoi predecessori.

Il profilo economico pare essere uno dei pilastri fondamentali della riforma; sotto quest’ottica vengono inserite diverse novità egualmente cariche di significato e di conseguenze.

Non a caso è stato inserito il significativo richiamo sul ruolo della famiglia, riconoscendo il valore legale a quei percorsi a responsabilità familiare, o di altre istituzioni sociali, fruibili in ambiente extrascolastico. L’acquisizione di questi crediti, previsti dalla quarta classe dell’istruzione primaria, vengono certificati dall’istituto di appartenenza. I percorsi extrascolastici in questione riguardano insegnamenti di vario tipo, alcuni dei quali vengono, attualmente, impartiti dalle normali scuole pubbliche. Su questi temi l’equipe morattiana rivendica di aver concesso una maggiore autonomia allo studente, che potrà, in questo modo, scegliere le discipline che maggiormente lo realizzano, cioè: libertà di pagare da parte di chi può permetterselo, libertà di rimanere escluso da buona parte delle formazione, per chi non possiede le risorse necessarie. Tra l’altro l’impegno, anche economico, della famiglia in corsi di approfondimento extrascolastici riveste un valore aggiunto, eliminare tutta una varietà di insegnamenti ed avviare una serie di tagli, sia di tipo strutturale che materiale. Gli istituti pubblici divengono in questo senso solo un centro di certificazione degli studi effettuati all’esterno, per lo meno per gli studenti che se lo possono permettere.

La diminuzione delle conoscenze trasferite sembra entrare in conflitto con la disposizione riguardante l’aumento delle ore lavorate dai docenti. In effetti non è logico che a fronte di un minor servizio vi possa essere l’esigenza di appesantire gli orari di lavoro. Il tutto si comprende nella logica della destrutturazione del servizio pubblico; infatti accanto alla su indicata disposizione si precisa che non sono previsti stanziamenti per le supplenze al di sotto dei quindici giorni, e che gli altri docenti disponibili, anche di materia diversa, debbano a turno supplire alle assenze dei colleghi. Tra l’altro, giusto per non creare false speranze pecuniarie all’interno del corpo docente, il documento di programmazione economico finanziaria per il 2002 dispone una serie di tagli agli stipendi base per i professori; in più elimina il personale ausiliario, imponendo l’appalto a ditte esterne di tutto il lavoro dagli addetti alle segreterie e dai vari collaboratori scolastici.

Il tutto fa prevedere un cospicuo aumento del bacino d’utenza delle scuole private che, a prescindere dall’aumento delle mansioni, e conseguentemente di stanziamenti (Si parla di 100 miliardi in più nel 2003 e 150 nel 2004), avranno a disposizione una serie di armi in più rispetto al passato. Infatti la Finanziaria del 2002 ha disposto che la composizione delle commissioni per gli esami di maturità dovrà essere formata solo da componenti interni, quindi da quegli stessi istitutori, che stipendiati dagli alunni non avranno nessun interesse a bocciare chi avrebbero dovuto formare a pagamento. Tale disposizione ha effetti anche sulla scuola pubblica, infatti non dovendo sostenere le spese di trasferta delle commissioni esterne lo stato risparmia diversi miliardi all’anno, poco importa che in questo modo l’oggettività della prova lascerà spazio alla rappresentazione soggettiva che il corpo docente si è fatta dell’individuo all’interno di una convivenza di anni. 

La stessa previsione dei buoni scuola sarà un elemento importante per la sorte futura degli istituti privati, non solo sul piano economico, trasferendo la spesa privata sulle casse dello stato, ma anche su quello ideale, infatti sarebbe il passo decisivo della parità in senso economico.

Sempre sul piano del risparmio è stata proposta la soppressione di tutte le forme di tempo lungo e di tempo prolungato. Tali esperimenti avevano portato discreti benefici sia sul piano dell’apprendimento che su quello della sorveglianza. Infatti aumentando l’orario di impegno nella scuola numerosi studenti hanno avuto l’opportunità di approfondire i loro studi, e le loro famiglie vedere risolte buona parte delle problematiche attinenti ai loro impegni lavorativi.

La soppressione del tempo prolungato, così come l’eliminazione delle discipline collaterali, educazione artistica, fisica, musicale, non fa che ulteriormente avvantaggiare le fabbriche dell’istruzione privata. 

Discorso simile merita la nuova organizzazione delle scuole elementari che torneranno a funzionare secondo il vecchio cliché. Infatti si tornerà al vecchio modello del maestro prevalente, affiancato nel caso da altri due colleghi senza nessuna mansione specifica. Si perde così tutta una serie di competenze, e di posti di lavoro, essenziali nell’apprendimento infantile.

Tra l’altro l’autoritarismo con il quale è stato portato avanti il tentativo di riforma si traduce concretamente nei numerosi passaggi sulla valutazione del comportamento degli studenti, sottendendo un’idea di scuola non più solo luogo di formazione culturale, ma di educazione all’obbedienza, al rispetto dell’autorità, al richiamo dei valori ideali conservatori.

Il fulcro ideale della riforma rimane la negazione, seppur velata, dei doveri dello Stato sulla formazione individuale. Il non richiamo ai dettami costituzionali, la mancanza di una definizione certa di obbligo scolastico ne sono solo alcuni significativi esempi. Il richiamo costituzionale, emblema di ogni “buona” riforma burocratica, è stato casualmente dimenticato nel tentativo di mascherare ogni vincolo alle misure del governo. L’indefinita allusione all’obbligo scolastico, vista più come monito morale che come vincolo materiale, danno riprova che l’interesse vero della Riforma non è mai stato quello di fare della scuola un luogo di crescita intellettuale, ma una batteria di formazione di volontari, dove gli studenti non si formano, si allevano.

Non possiamo dunque parlare di riforma in senso stretto, perché manca di un elemento sostanziale, la programmazione rispetto a degli obbiettivi di tipo formativo, il traguardo da raggiungere, piuttosto che l’adeguamento al livello istruttivo europeo pare che sia coniugare il più armoniosamente possibile il binomio autorità - risparmio. E’ corretto, però, interpretare questa carenza come una volontà della ministra e del governo. Ad una bassa qualità del sistema formativo corrisponde una maggiore possibilità per il capitalismo italiano di eliminare qualsiasi potenziale di conflittualità sociale. Infatti minore è il numero delle persone capaci di interpretare gli accadimenti e le storture del sistema, minori saranno i pericoli di contestazione. Per questo motivo è essenziale che chi è impegnato nel settore dell’istruzione, dai professori agli studenti, smettano di credere di far parte di un mondo a sé stante, di un microcosmo particolare, ma al contrario è necessario far rientrare le giuste rivendicazioni della scuola all’interno di una unica vertenza sui diritti e sul lavoro.